La sfida dell’accoglienza
Sono quasi 4 milioni le persone che hanno lasciato l'Ucraina dal 24 febbraio. Molte di loro si sono rifugiate in Polonia, che da sola ha accolto più di 2 milioni di vite in fuga. La Moldavia, un Paese di due milioni e mezzo di abitanti. Ha ricevuto quasi 400.000 profughi in meno di un mese. Esodi di questa portata in un arco di tempo così ristretto non si erano visti in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Neanche durante la crisi in Siria, che pure ha fatto segnare un record nel numero delle persone richiedenti asilo in Europa, avevamo assistito a qualcosa di comparabile. Quel che oggi è avvenuto in un mese, allora era avvenuto nell'arco di due anni dall'inizio della guerra; inoltre i profughi si erano per lo più addensati alle porte dell'Europa in Turchia, oltre che in Giordania e Libano, piuttosto che entrare nell'Unione europea.
I flussi di rifugiati dalla Siria del 2015 hanno lasciato cicatrici profonde nelle nostre società. La cattiva gestione di quella crisi ha contribuito al successo in tutta Europa di leader e partiti populisti grazie anche alle paure di una popolazione che, soprattutto nelle zone rurali, ha spesso avuto l’impressione di essere stata sopravanzata numericamente dai nuovi arrivati. I sondaggi Eurobarometro ci dicono che in tutti i Paesi europei l'opinione pubblica tende a sovrastimare, e non di poco, la quota di immigrati e rifugiati sul totale della popolazione. In Italia il cittadino medio è addirittura convinto che gli immigrati siano un quarto della popolazione residente quando in realtà solo una persona su dieci residente in Italia è immigrata.
Sin qui sembrano prevalere i sentimenti di solidarietà. Anche Paesi in passato ostili nei confronti dell'immigrazione- come Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia -hanno accolto di buon grado milioni di persone. Questo si spiega con ragioni storiche (ostilità nei confronti dell'occupante russo), religiose (cristianesimo dominante in Ucraina) culturali (la popolazione dell'Ovest dell'Ucraina si identifica nella cittadinanza europea) e con la presenza già prima della guerra di forti comunità ucraine in Paesi come la Germania, l'Italia, la Spagna oltre che nei Paesi all'Est dell'Unione.
La risposta dell'Unione europea sin qui è stata abbastanza tempestiva. Si è attivata per la prima volta la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea, che consente di concedere permessi di soggiorno fino a 3 anni ai nuovi arrivati, permette la riunificazione famigliare, ed estende ai nuovi arrivati un'assistenza sociale di base e la copertura del servizio sanitario. Si è concessa la possibilità ai profughi di viaggiare gratuitamente all'interno dell'Unione permettendo loro di raggiungere le destinazioni preferite. Ma il vero scoglio è se questi impegni saranno rispettati da tutti i Paesi, come verranno suddivisi i costi dell'accoglienza tra i Paesi dell'Unione, e come verrà aiutata la Moldavia posto che molti profughi vorranno rimanere vicini all'Ucraina. Il precedente della crisi in Siria è impietoso: allora non si riuscì neanche a mettere in atto una ricollocazione di l60.000 rifugiati.
A livello nazionale la cosa più importante è rendere i piani di localizzazione dei richiedenti asilo compatibili con la loro integrazione nel mercato del lavoro. I problemi sociali più esplosivi sono emersi quando la dispersione dei rifugiati in centri di accoglienza spesso localizzati in zone rurali li ha posti di fronte a realtà in cui avevano ben poche opportunità di impiego. Per correggere questo problema può essere utile un esperimento molto interessante condotto dall'Agenzia Piemonte Lavoro con il coordinamento dell'Agenzia nazionale per le Politiche attive del Lavoro. Il progetto Forwork (www.forworkproject.eu) ha consentito ai richiedenti asilo nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) del Piemonte di avere accesso a servizi volti a migliorare la loro partecipazione e integrazione nei mercati del lavoro locali. Ha offerto un supporto individuale da parte di un job mentor con varie attività aggiuntive opzionali, come servizi di collocamento, corsi di lingua e di educazione civica e brevi formazioni professionali. Per valutare l'efficacia della misura, la possibilità di partecipare a questo progetto è stata offerta solo a un campione casuale di Cas.
I risultati evidenziano come questi servizi abbiano portato a un aumento del tasso di occupazione dei partecipanti fino a 20 punti percentuali, a un aumento del 35 per cento de redditi e a una migliore conoscenza della lingua italiana, inclusa la capacità di comprensione e conversazione. I partecipanti dichiarano anche di conoscere, incontrare e fidarsi di un numero maggiore di italiani, con potenziali ricadute positive in termini di integrazione. Si tratta di interventi con costi limitati, circa 3000 euro per beneficiario; in compenso, grazie all'inserimento lavorativo permetteranno di risparmiare sui vari sussidi. Per una volta un'esperienza italiana può essere d'aiuto a tutta l'Europa nel gestire la nuova crisi dei rifugiati.
La Repubblica 31 marzo