Il mito della Vittoria
Il Foglio n.491
A
più riprese nei primi giorni di maggio, Johnson, Biden, Zelenskyj e
qualche altra voce parlano di volere la vittoria: non più di fermare la
guerra e di passare a trattative, ma di vittoria!
La
vittoria in guerra è un tragico mito che dà ragione alla violenza e non
alla ragione e al diritto. Una vittoria bellica è sempre seme di nuova
guerra, di rivincita.Chi vince è prigioniero della sua vittoria.E' uno
sguardo corto, stolto, fautore di nuovi disastri. La resistenza, invece è
il diritto umano in azione.
La
resistenza trattiene-ferma l'aggressione e la violenza, e non intende
sopraffare l'aggressore con la vittoria. La resistenza rende inutile
all'aggressore la sua violenza aggressiva e resiste usando la forza
umana del sopportare senza subire, del disobbedire che annulla la
prepotenza: infatti, ogni potere consiste nell'essere obbedito, la
disobbedienza lo svuota.La resistenza costa anche sacrifici e vite
umane, ma paga questo prezzo nell'atto di vivere di, di promuovere vita
libera: con questa forte coscienza morivano fortemente vivi fino ad
oggi, i partigiani resistenti al nazifascismo, per la libertà nostra
nella nostra Resistenza.
Abbiamo letto
le loro ultime lettere, di vita e speranza, non di odio e morte.La
resistenza non è guerra: si può anche morire per opporsi e resistere, ma
non è, come nella guerra, morire per voler uccidere.Chi muore per
uccidere affonda sotto il potere della morte, è servo della morte, cade
nella tragica illusione di vivere dando morte.
Questa
è la guerra, ben diversa dalla resistenza.La guerra ripete la violenza
che uccide.La resistenza sa anche morire ma per smettere di uccidere. La
resistenza è per il diritto umano, la guerra è per produrre più
morte.Vince in guerra che uccide di più. È la gara mortale.
Volere
la vittoria è volere guerra e non pace.La resistenza invece ottiene la
dignità di chi ha retto al male e si pone alla pari a trattare soluzioni
giuste del conflitto. La resistenza non solo è giusta, ma non porta
una violenza-vittoria-rivincita.
Vincere
vuol dire vincolare, legare. Il vinto veniva condotto in catene dietro
il carro di trionfo: questa è l'immagine profonda arcaica del pensiero
di guerra-morte-contro-morte ed è un pensiero cieco, ripreso oggi
pericolosamente come volontà dichiarata. Una cosa è liberarsi
dall'oppressione senza ripetere la sopraffazione, tutt'altro è lo
spirito del vincere: sopraffare, "ridurre sotto".
E
questo è il linguaggio rivelatore di un Occidente intriso di volontà di
egemonia, di conquista rapida di quei secoli, dedito al culto del
primato espansionista, nell'orgoglio anche religioso di essere il bene
contro il male.Non è certo questa la vera civiltà dell'Occidente:
diritto, l'umanesimo, l'arte, l'universalismo, la spiritualità plurale,
la laicità dello Stato.Putin merita certo, come ogni oppressore, di
essere destituito, spogliato di quel potere ma non lo vinci davvero
imitandone il vizio. La guerra è un tragico gioco di specchi, senza
uscita umanità di uscire dalla guerra, quella altrui e la nostra.
È in
gioco la vita. Aiutiamoci in questa impresa degna.la
vittoria è anzi parità, anzi fraternità, anzi giustizia, antipatiche,
infatti vita.E' il trionfo della forza bruta, antitesi del diritto
(Bobbio).
La logica di vittoria dice:
vinca il più armato e violento. Nulla di peggio della vittoria, semi di
violenza in risposta alla violenza vincente.
La vittoria non è il gioco
sportivo quando è leale, tantomeno è il pacato giudizio razionale di una
corte di saggi: vediamo torti e ragioni, riconosciamo le ragioni.No, è
la pura forza sfrenata che si pone come forza, non come ragione
(l'ultimo messaggio di Allende).
Insegniamoci
a vicenda a vivere senza uccidere, organizziamoci per vivere così, la
vittoria sarà essere civili, concittadini dell'unico mondo.Abbiamo forte
bisogno di criticare, dissacrare l'idolo della vittoria, maschera del
dominio omicidio, sorriso capzioso della Morte.
E.P.