Il viaggio di tre donne vedove
di Lidia Maggi
Riforma
19 agosto 2022
È accaduto nel passato e continua ad accadere: la fame spinge a mettersi in cammino. Persone costrette a lasciare tutto per un pezzo di pane. Il libro di Rut conserva la memoria dei viaggi di persone invisibili, senza potere.
La storia di questi migranti sarebbe andata perduta, dispersa
come affondano in mare i pochi averi dei naufraghi, se la Bibbia non
l’avesse custodita fino a farla diventare la storia di Dio. Vengono
ricordati i nomi di tutti i membri della famiglia, anche di quelli che
soccomberanno agli eventi infelici.
E già questa cura per la memoria di
tutti, di chi arriva alla meta, come di chi non ce l’ha fatta, dice lo
stile del racconto biblico che, più che interessarsi alla storia dei
potenti, si sofferma sulla storia dei perdenti, dei piccoli, delle
piccole, di chi non ha la possibilità di scrivere il proprio nome nelle
cronache ufficiali.
Di chi non ha il potere per fare la Storia.
Un uomo, con sua moglie e i suoi due figli, è costretto a lasciare la sua terra. La storia di quel viaggio è ambientata in un tempo lontano persino per il narratore: al tempo dei giudici. Prima, cioè, che Israele decidesse di avere un re quale garante della giustizia.
Un uomo, con sua moglie e i suoi due figli, è costretto a lasciare la sua terra. La storia di quel viaggio è ambientata in un tempo lontano persino per il narratore: al tempo dei giudici. Prima, cioè, che Israele decidesse di avere un re quale garante della giustizia.
Sono tempi bui
quelli, tempi di violenza e sopraffazione, tempi di carestia di senso,
oltre che di pane; tempi in cui la parola di Dio è esiliata.
E del resto, nella Bibbia, carestia e violenza vanno assieme. Quando non c’è cibo, si ha una situazione di ingiustizia che impedisce la condivisione del pane. La carestia è un segnale socioeconomico di una sterilità più strutturale, di un mondo segnato dalla carestia di cibo, di buone relazioni, di futuro.
Il libro di Rut si apre con la migrazione a Moab in cerca di cibo e con il successivo viaggio di ritorno a casa, intrapreso da donne vedove, senza futuro, senza cibo, chiuse nel loro dolore. Guardandole dall’esterno e vedendole ritornare, avremmo potuto riconoscere la loro disperazione dagli abiti del lutto. Il narratore biblico invece indugia su queste donne e racconta, con pochi tratti, la loro vicenda.
Ecco Noemi, sposata con Elimelec e madre di due figli, al tempo in cui si mise in viaggio verso Moab. Un viaggio della speranza che le fece trovare casa in terra nemica. Ma un paese che ti accoglie e ti nutre può ancora essere considerato nemico? Forse è per questo che i due figli di Noemi sposano senza indugio due donne moabite, Orpa e Rut. Poche righe per sintetizzare un tempo lungo, fatto di vita e di morte. Durante il lungo soggiorno a Moab muore Elimelec, il marito di Noemi, e poi anche i due figli, Malon e Chilion.
E ora guardate queste donne in viaggio. Guardatele con gli occhi di chi conosce la loro triste storia.
Il narratore ha voluto che le accompagnassimo in questo ritorno, che non le perdessimo di vista, e che il nostro cuore si legasse al loro nell’attesa di vederle risollevarsi. E Noemi si alzò per ritornare a casa. E mentre dialoga con le nuore, il nostro cuore è con lei. Conosciamo da dove viene, cosa ha passato. Non possiamo che accompagnarla nel suo viaggio di ritorno. Ci vuole coraggio per partire, lasciare il proprio paese in cerca di fortuna; ma quanta forza ci vuole per ritornare a casa con la sensazione di aver fallito il proprio progetto migratorio? Ritornare senza niente, più povera di come è partita.
Ci sono viaggi intrapresi per rispondere ad una chiamata, viaggi per visitare amici e parenti o mete sconosciute. Il libro di Rut, ambientato nel periodo estivo, al tempo della mietitura, ci ricorda, con lo stile leggero di una narrazione dai tratti quasi fiabeschi, che i viaggi disperati dei migranti non vanno mai in vacanza. Dietro ogni persona costretta a lasciare la sua terra, c’è una storia, un vissuto che non ha il potere di fare notizia, a meno che qualcuno si fermi ad ascoltarla.
Nel libro di Rut Dio non entra in scena in modo diretto. Il riscatto di queste donne non avviene miracolosamente per mano di Dio.
E del resto, nella Bibbia, carestia e violenza vanno assieme. Quando non c’è cibo, si ha una situazione di ingiustizia che impedisce la condivisione del pane. La carestia è un segnale socioeconomico di una sterilità più strutturale, di un mondo segnato dalla carestia di cibo, di buone relazioni, di futuro.
Il libro di Rut si apre con la migrazione a Moab in cerca di cibo e con il successivo viaggio di ritorno a casa, intrapreso da donne vedove, senza futuro, senza cibo, chiuse nel loro dolore. Guardandole dall’esterno e vedendole ritornare, avremmo potuto riconoscere la loro disperazione dagli abiti del lutto. Il narratore biblico invece indugia su queste donne e racconta, con pochi tratti, la loro vicenda.
Ecco Noemi, sposata con Elimelec e madre di due figli, al tempo in cui si mise in viaggio verso Moab. Un viaggio della speranza che le fece trovare casa in terra nemica. Ma un paese che ti accoglie e ti nutre può ancora essere considerato nemico? Forse è per questo che i due figli di Noemi sposano senza indugio due donne moabite, Orpa e Rut. Poche righe per sintetizzare un tempo lungo, fatto di vita e di morte. Durante il lungo soggiorno a Moab muore Elimelec, il marito di Noemi, e poi anche i due figli, Malon e Chilion.
E ora guardate queste donne in viaggio. Guardatele con gli occhi di chi conosce la loro triste storia.
Il narratore ha voluto che le accompagnassimo in questo ritorno, che non le perdessimo di vista, e che il nostro cuore si legasse al loro nell’attesa di vederle risollevarsi. E Noemi si alzò per ritornare a casa. E mentre dialoga con le nuore, il nostro cuore è con lei. Conosciamo da dove viene, cosa ha passato. Non possiamo che accompagnarla nel suo viaggio di ritorno. Ci vuole coraggio per partire, lasciare il proprio paese in cerca di fortuna; ma quanta forza ci vuole per ritornare a casa con la sensazione di aver fallito il proprio progetto migratorio? Ritornare senza niente, più povera di come è partita.
Ci sono viaggi intrapresi per rispondere ad una chiamata, viaggi per visitare amici e parenti o mete sconosciute. Il libro di Rut, ambientato nel periodo estivo, al tempo della mietitura, ci ricorda, con lo stile leggero di una narrazione dai tratti quasi fiabeschi, che i viaggi disperati dei migranti non vanno mai in vacanza. Dietro ogni persona costretta a lasciare la sua terra, c’è una storia, un vissuto che non ha il potere di fare notizia, a meno che qualcuno si fermi ad ascoltarla.
Nel libro di Rut Dio non entra in scena in modo diretto. Il riscatto di queste donne non avviene miracolosamente per mano di Dio.
Eppure, c’è qualcosa di profondamente divino, proprio perché
profondamente umano, nel coraggio e nell’amicizia di due donne, come
nella solidarietà di una comunità che permette loro di trovare le
risorse per risollevarsi. C’è qualcosa di profondamente umano, e dunque
divino, nello sguardo empatico che tu, lettrice, lettore puoi accendere
su queste vedove in viaggio. Dio agisce anche così, attraverso
l’attenzione di uno sguardo donato a chi è destinato a rimanere
invisibile. E il male può nascondersi in un semplice atto di
distrazione.