mercoledì 10 agosto 2022

USA: DOPO LA SENTENZA ANTI- ABORTO

 DOPO LA SENTENZA ANTI-ABORTO

Neonati nelle cassette negli Usa tornano le “ruote degli esposti”

dalla nostra inviata

Anna Lombardi

NEW YORK — Li chiamano “rifugi sicuri”: ma le “Safe Haven Baby Box” che negli ultimi tre anni un’organizzazione antiabortista ha collocato negli Stati più conservatori degli Stati Uniti sono solo il simbolo più estremo della disperazione di madri impossibilitate a crescere le loro creature. Versione contemporanea delle medievali “ruote degli esposti” apparse per la prima volta in Francia nel 1188, dove poter abbandonare i neonati senza essere visti, in America a stanno purtroppo tornando tristemente di moda: soprattutto dopo la decisione della Corte Suprema statunitense di revocare Roe v. Wade del 1973, la sentenza che garantiva il diritto federale a interrompere la gravidanza.

A Carmel, Indiana, per dire, ne era stata collocata una sul retro della locale stazione dei pompieri. In tre anni non era mai stata usata. Ma da quando, pochi mesi fa, è iniziato il dibattito sull’aborto nello Stato che poi venerdì scorso lo ha vietato fin dal concepimento – una delle leggi più restrittive varate fino ad ora – la cassetta si è improvvisamente riempita: e per sei volte di seguito.

A rispolverare l’arcaico metodo è stata l’attivista pro-life Monica Kelsey, 46 anni e una storia difficile alle spalle: adottata dopo essere stata abbandonata da una mamma teenager che era stata stuprata. Nel 2013 ha visto alcune rudimentali “cassette” a Città del Capo, Sudafrica, mentre compiva un tour di conferenze a favore dell’astinenza come metodo contraccettivo. Tornata in Indiana, ha dunque fondato un’organizzazione non profit, Safe Haven, appunto. E dopo averle attentamente studiate, è riuscita a far installare le sueprime “baby box” nel 2016. Si tratta di contenitori in metallo con dentro una culla da ospedale a temperatura controllata. Una volta che il bambino è dentro non sono possibili ripensamenti: si blocca automaticamente e dall’esterno non si può più riaprire. Viene invece attivato un allarme e il personale della struttura può accorrere e avere accesso alla culla. In contemporanea parte pure una chiamata al numero d’emergenza 911. Ora, esaltata dai tanti Stati che stanno varando leggi atte a impedire o rendere più complicato il ricorso all’aborto, Kelsey, ha avviato un vero lavoro di lobby: e, aiutatada altre organizzazioni e da politici anti-abortisti, sta facendo importanti pressioni sui governi conservatori affinché ne collochino di nuove. Sostenuta pure dalla giudice più conservatrice della Corte Suprema, quella Amy Coney Barrett chiamata da Donald Trump a sostituire la paladina dei diritti delle donne e icona femminista Ruth Bader Ginsburg dopo la sua morte, che ha più volte suggerito le Safe Haven Box come «valida alternativa all’aborto», perché «consentono alle donne l’anonimato ed evitano l’onere della genitorialità». Mentre pure l’altro giudice supremo Samuel Alito, quello che ha personalmente scritto la sentenza anti- Roe, le ha citate come esempio di «sviluppo moderno».

A chi si occupa professionalmente di adozione, la Safe Box però proprio non piace. Innanzitutto, spiegano, molte donne non sanno che usare la “scatola” mette legalmente fine ai loro diritti di genitori. E già due sono in causa per riavere indietro i propri bambini. Poi perché quei neonati non hanno praticamente più nessuna possibilità di risalire alle loro origini. E questo non riguarda tanto il nome dei genitori: ma, il diritto di essere al corrente di eventuali malattie ereditarie. Insomma: nell’estremo caso di un abbandono, meglio affidarsi a strutture ospedaliere. «Se un genitore usa le Safe Haven», dice in sintesi Ryan Hanlon, presidente del Consiglio nazionale per l’adozione parlandone al New York Times, «vuol dire che l’intero sistema ha fallito».

La Repubblica 8 agosto