mercoledì 5 ottobre 2022

 

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CAPITOLO QUINTO

Bibliografia e annotazioni



 



 

Può essere utile partire da una constatazione: il termine ‘miracolo’ non ha corrispondente né in ebraico né in greco. Esso, così come lo usiamo noi oggi, traduce un'ampia costellazione di vocaboli che hanno sfumature di significato anche sensibilmente rilevanti. Esiste, quindi, anche un problema di traduzioni e di linguaggio. È lecito domandarsi fino a che punto sia corretto aver livellato e compreso tutto un vasto vocabolario sotto la voce miracolo. Oggi le traduzioni della Bibbia tentano di riproporre una terminologia più fedele. Si tratta di tentativi che, per quanto problematici, meritano la nostra attenzione. Ecco come si presenta il panorama dei termini usati nel Vecchio e nel Nuovo Testamento in un felice riassunto dello studioso cattolico Xavier Léon-Dufour:

«a) Il primo gruppo, il più importante nell'Antico Testamento, è costituito dalla coppia mōphetim e 'ōtot (gr. terata e sēmeia): «prodigi e segni». Non si tratta di due categorie distinte, ma della descrizione di ciò che noi chiamiamo miracolo.

Il termine mōphet (gr. teras) viene usato nel mondo pagano per designare qualcosa di straordinario (lat. portentum o anche monstrum), quale un terremoto (Erodoto) o il serpente gettato da un'aquila (Zeus) in mezzo ad un esercito (OMERO, Iliade, 12, 209). Nell'Antico Testamento, il mōphet, talvolta “presagio” (Is 8,18; Zac 3,8), non è prodotto necessariamente da una qualche forza soprannaturale (Ez 12,6-11); tuttavia ordinariamente ne è autore Dio, come nel caso della liberazione del salmista, prodigio agli occhi di tutti (Sal 71,7). Sempre si tratta di uno strumento di rivelazione, in altre parole di un ‘segno’ che annuncia l'azione divina, e, quindi, di un appello di Dio.

Il termine 'ōt (gr. sēmeion, da sēmainō, «ciò che indica») dice espressamente che, attraverso una cosa o un avvenimento, non necessariamente straordinario, «viene dato un insegnamento (Is 7,11; 37,7). È un segno di amicizia attraverso il quale Dio annuncia la propria fedeltà per il futuro»; così il sole o la luna (Gn 1,14), la circoncisione (Gn 17,10), il sangue dell'alleanza (Es 12,13), |'Emmanuele (Is 7,11). Nel Nuovo Testamento il termine designa ordinariamente «un evento straordinario carico di significato». Nei Sinottici è preso in senso peggiorativo, e in Giovanni diventa ambiguo.

La coppia terata/sēmeia è caratteristica del Deuteronomio. Essa indica il duplice aspetto che presenta l'avvenimento attraverso il quale Dio si manifesta: prodigio e prodigio fornito di significato. Di fronte a queste azioni divine, gli Egiziani dovranno riconoscere anch'essi l'opera di Yahweh (Es 7,5).

b) Il secondo gruppo associa. nell'Antico Testamento, alcuni termini imparentati nel significato: gebūrā (gr. dynamis) «atto di potenza» (Sal 106,2), gedulōt (gr. megaleia, lat. magnalia): «cose grandi» (2 Sam 7,23; Sal 106,21), messo talvolta in relazione con le niphia'ōt (gr. thaumásia): 'meraviglie'. «ciò che suscita ammirazione» (Sal 106,22), termine «che equivale quasi a `trascendente'» (A. LEFÈVRE, col. 1301); la stessa cosa, in senso collettivo, dice il termine pele (dalla radice pl' o plh: «mettere a parte, superare, essere al di là di ciò che si può fare o comprendere» Es 15,11). Si parla anche, semplicemente di ma'ase (gr. erga): le azioni di Dio (Es 34.10). Questi termini. raccolti insieme nel Sal 145,4-6, designano l'azione di Dio tanto nella storia quanto nella natura, per esempio la pioggia o il fulmine. Questo secondo gruppo sottolinea più il destarsi dell'ammirazione, provocata dall'azione divina onnipotente, che non l'aspetto del suo significato. I Sinottici conservano soprattutto dynameis, mentre Giovanni usa erga per dire le azioni del Padre e di Gesù.

c) Da questo rapido raggruppamento dei diversi termini, risaltano due orientamenti fondamentali. Le dynameis e le erga dicono immediatamente gli atti di potenza di Dio o di Gesù, di fronte ai quali si esplode in trasporti di ammirazione. I sēmeia manifestano la relazione di questi atti all'uomo, il quale viene da loro invitato a rispondere a Dio. Mentre le prime si impongono, i secondi rimangono ambigui. Le une e gli altri si riferiscono alle gesta di Dio a favore del suo popolo.

d) Il Nuovo Testamento segna una netta preferenza per dynameis (o erga) e sēmeia. I primi due termini sottolineano l'azione divina percepita dall’uomo, il terzo assume il punto di vista dell'uomo che deve scoprire l’azione divina. La lingua italiana ha raggruppato questi diversi temi sotto l'unico vocabolo ‘miracolo’; legato etimologicamente al latino mirari: ‘stupirsi’, questo termine indica la reazione dell'uomo di fronte all'azione di Dio, aspetto che nel greco originale si ritrova soltanto nel termine thaumásia, il quale è proprio tra quelli poco usati dal Nuovo Testamento. Per questo, numerosi critici vorrebbero tradurre letteralmente, nei Sinottici «atti di potenza» e in Giovanni 'segni'. Lo sforzo è degno di lode, ma se si vuol tener conto dell'insieme del Nuovo Testamento e rendere il contenuto semantico di ambedue i termini, penso sia preferibile continuare a parlare di «miracolo» in generale: il termine invita a partire dalla meraviglia che suscita un avvenimento sorprendente, per andare nella direzione del prima e del poi, per vedere cioè da dove ciò viene (dynameis/erga) e a che scopo è avvenuto (sēmeia). Con l’atteggiamento di stupore, il lettore è in prospettiva di dialogo, e non di fronte ad un fenomeno che lo schiaccia. Ma tutto questo non possiamo giustificarlo se non attraverso l'analisi dei racconti».

(XAVIER LEON-DUFOUR, I miracoli di Gesù, Queriniana, Brescia 1980, pagg. 20-22). Tutti gli studi contenuti in questo volume, in cui figurano posizioni anche notevolmente diverse, si rivelano fecondi e ricchi di stimolazioni.

Per chi fosse interessato ad approfondire il vocabolario e l'esegesi dei racconti di miracolo il libro più utile è probabilmente quello di Franz-Elmar Wilms che viene qui brevemente segnalato. Si tratta di un’opera fondamentale che il lettore ritroverà ancora in queste pagine. Così pure si veda E. JENNI - C. WESTERMANN, Dizionario Teologico dell'Antico Testamento, voi. I, Marietti Editore, Torino 1978, pag. 79.

 

 



 

Tentiamo di fornire un elenco dei racconti di miracolo contenuti negli evangeli e una loro classificazione, come si trova in CHARPENTIER, I miracoli del Vangelo, Gribaudi, Torino 1978, pag. 21.

Però la divisione tradizionale (qui riportata) dei racconti di miracolo in esorcismi, guarigioni, risurrezioni e miracoli sulla natura non tiene conto dello specifico dei miracoli evangelici, cioè il rapporto personale tra Gesù e i destinatari. Perciò è preferibile, seguendo lo studioso Xavier Léon Dufour, suddividere i 34 miracoli evangelici (sommati tutti i racconti sinottici e quelli di Giovanni) in quattro diverse categorie: 1) azioni benefattrici (16 guarigioni e 8 esorcismi); 2) gesti di liberazione (tempesta sedata, Gesù cammina sulle acque); 3) donazioni benefiche (pani, pesce, vino... in tutto 4); 4) gesti di legittimazione (in tutto 4). Si tenga presente che qui si parla di risurrezione in accezione del tutto diversa dalla risurrezione di Gesù. Sarebbe meglio usare un termine diverso o, comunque, essere coscienti che si parla in modo ‘improprio’ di risurrezione. Lazzaro, a differenza di Gesù, non vede che ‘dilazionata’ la propria morte. Gesù riceve dal Padre una vita nuova: egli è il vivente per sempre. Si veda al riguardo il nostro precedente volumetto Il vento di Dio (pag. 53). Dovremmo qui parlare piuttosto di rianimazione di morti.

 




 

FRANZ-ELMAR WILS, I miracoli nell'Antico Testamento, Edizioni Dehoniane, Bologna 1985.

Quando un libro è un gioiello: ecco come ci esprimiamo per fornire una valutazione riassuntiva di quest’opera preziosa. L'esegeta di mestiere la legge con utilità e piacevolezza; il lettore sinceramente desideroso di attrezzarsi per la lettura della Parola di Dio ne trae enorme profitto. Viene qui rigorosamente documentato lo ‘spostamento’ avvenuto in questi ultimi 50-60 anni negli studi biblici per quanto riguarda il miracolo: non si tratta più di considerarlo come ‘prova della potenza di Dio', ma soprattutto come 'segno' che rimanda a Dio. Per il giudizio sui segni non è decisivo che cosa essi comunicano; è importante piuttosto a chi rimandano (pag. 33). Non si tratta di aggrapparci al miracolo per il valore apologetico. I racconti di miracolo vogliono piuttosto ingenerare nel credente una ‘conversione’, una decisione di cambiamento della propria vita. Il miracolo è un 'segnale' che fornisce alcune tracce dell'amore invitante di Dio. l racconti di miracolo, che vanno  accuratamente distinti dal miracolo. sono testimonianze di fede. «Degli uomini formularono, in essi, l'esperienza del divino che era loro toccata» (pag. 7).

La conoscenza delle strutture e dei generi letterari in cui i racconti di miracoli ci sono giunti, una adeguata ricerca sulla situazione da cui tali racconti ci provengono e una diligente investigazione sui 'portatori della tradizione' permettono poi, con grande probabilità, di individuare con una certa precisione l'intenzione e i significati di tali pagine bibliche.

Il lettore appassionato e rigoroso apprezzerà tanto la prima parte del volume (costituita da una meticolosa indagine sui vocaboli) quanto la seconda, nella quale l'Autore, con semplicità e chiarezza difficilmente superabili, rilegge i racconti di miracolo più significativi del Vecchio Testamento e li accosta a quelli del Nuovo Testamento.

Inutile sottolineare che tale accostamento costituisce un metodo di assoluta necessità per la comprensione dei racconti miracolosi degli evangeli.

Il lettore della Bibbia, dunque, ha davanti a sé i racconti dei miracoli, mai il miracolo stesso. In questi testi hanno la parola uomini che hanno cercato la maniera più viva ed efficace per farci giungere la loro testimonianza di fede e l'appello che Dio ci rivolge oggi. «Il nostro impegno quindi non si rivolge al problema: che cosa e allora accaduto? Noi cerchiamo di conoscere a fondo ciò che gli autori dell'Antico Testamento vogliono dirci con i loro racconti e come noi possiamo oggi viverne da credenti» (pag. 149). Guai se ci capitasse di leggere i racconti di miracolo (del Vecchio e del Nuovo Testamento) come 'storia' nel senso moderno. Essi sono parola e racconto che ‘funzionano’ e significano solo da credente a credente. Sono racconti 'costruiti' per farci ricordare l'amore di Dio che viene da lontano ed è presente ancora oggi: hanno un carattere di richiamo, di memoria, di invito: «Il racconto miracoloso è un'impegnata attestazione di fede la quale vuole provocare» (pag. 345). Chi si trova davanti ai segni resta libero; può tenerne conto oppure trascurarli. Ma si può anche aggiungere che la fede dei singoli credenti conosce cammini diversi e sensibilità legittimamente diversificate. «Miracoli e segni possono non essere ugualmente accessibili a ciascuno. Il carattere di appello del segno non coglie in modo uguale ogni uomo, nella sua concreta situazione esistenziale. Dove l'uomo si sente personalmente toccato, un altro non sente di esserlo» (pag. 316). Ciò viene detto non certo per trascurare il messaggio che ci viene dai racconti di miracoli, ma per evidenziare come Dio ci 'chiama' per strade diverse e uno stesso racconto può parlare ad una persona in maniera diversa in tempi successivi.

Raccomandiamo ai lettori queste pagine. Esse sono comunque indispensabili per catechisti, animatori di comunità, presbiteri. La lettura non è difficile, ma richiede un  serio impegno.

 

(continua)