La sinistra impari la lezione
di Norma Rangeri sul Manifesto del 27 settembre 2020
C' è una radicale,
profonda iniquità in questa nuova fotografia elettorale del Paese: è
la legge con la quale sono stati chiamati al voto oltre 50 milioni di italiani.
È utile ripeterlo finché non ci sarà modo di cambiarla.
Intanto perché è
sfacciatamente antidemocratica visto che cancella dal panorama
istituzionale chi non raggiunge il 3 per cento dei suffragi, e visto
che premia, oltre ogni giusta misura, chi riesce ad ottenere anche un solo
consenso in più dell'avversario. Uno specchio deformante che ingigantisce o
assottiglia le formazioni politiche senza curarsi delle loro reali
dimensioni.
Per di più, ironia
della sorte, va detto che proprio chi l'ha voluta, anzi imposta, il Partito
democratico (all'epoca renziano), è stato severamente e meritatamente
punito per non averla neppure saputa usare contro la vittoria
annunciata della destra.
Tuttavia sarebbe
riduttivo pensare di trovarci semplicemente di fronte ad un errore
tattico, perché, al contrario, la crisi del Pd è figlia di pesante
miopia politica, frutto della stupefacente sopravvalutazione, fino
alla sovrapposizione, con il "sistema Draghi", fino a scambiare il
prestigio internazionale del capo del governo con l'identificazione
programmatica tout court del partito.
Eppure Letta ieri,
nello sprofondo del day after, presentandosi al rendiconto con gli
elettori, ha rivendicato questo perentorio vade retro verso i 5S, non ha
fatto cenno all'intenzione di dimettersi subito, annunciando che al
prossimo congresso del Pd, fissato a marzo, non si ricandiderà come segretario,
per lasciare spazio ai più giovani.