martedì 4 ottobre 2022

 

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Ora tocca a noi fare miracoli...

 

GIANNI: Certo, questo Gesù è davvero singolare e dovette essere un tipo fuori moda anche al suo tempo. Se penso a quello che abbiamo letto dei suoi rapporti con il tempio, con i poveri, con le donne, con i potenti, allora capisco come i discepoli lo hanno potuto chiamare «figlio di Dio». Nella sua vita potevano vedere come ama Dio. Egli era per loro la rivelazione di Dio nel senso che Dio cominciava a diventare una parola meno vuota se dalle opere di Gesù potevano intravvedere la volontà di Dio, quello che Dio vuole da noi.

DORANNA: Chissà come è avvenuta in quest’uomo di Nazareth la scoperta che Dio gli aveva dato una «vocazione», una «funzione» tutta speciale? Forse lo avrà capito  anche lui, a poco a poco, tra gioia e fatica, tra speranza e paura. Anche per Gesù c'è stato un cammino di fede, un crescere...

FRANCO: Penso che abbiamo troppa paura di parlare dei tormenti interiori, delle incertezze, delle esitazioni, dei limiti e delle ricerche che accompagnarono la vita di Gesù. Anch'egli, come noi. ha fatto l'esperienza dei condizionamenti che venivano dalla sua «cultura» paesana, dei limiti derivanti dalla propria educazione. Oggi parlare delle «ombre» di Gesù potrebbe quasi sembrare blasfemo. Mi sembra un falso pudore che ci impedisce di farci più vicini al Gesù storico nel quale riconosciamo il figlio di Dio, colui nella cui carne Dio ha tatto fiorire il Suo volto, le Sue scelte, la Sua strada.

DORANNA: Tutto questo, dopo un primo moto di sgomento, mi sembra sanamente provocatorio. Come donna credo che molte fette della storia vadano ricuperate e ricostruite anche attraverso l'intuizione. Ebbene... che Gesù sia stato un uomo che, per esempio, ha dovuto superare il condizionamento maschilista della sua cultura, me lo dicono la mia esperienza e la mia intuizione. Ma... anche questa è stata per me una intuizione negata, «peccaminosa». Però alla intuizione vorrei aggiungere anche un po' di motivazioni, di seria esegesi. Nei testi biblici non riesco a trovare traccia di tutto questo cammino di Gesù.

FRANCO: Invece a me sembra che ci sia più di un brano biblico che dovrebbe essere attentamente vagliato. Ne prendo in considerazione uno solo, quello in cui si parla della fede di una donna pagana (Matteo 15, 21-28). Non sono così ingenuo da non conoscere quanto gli studi biblici hanno tentato di chiarire riguardo alle trasformazioni che il passo ha subito nella tradizione e nella redazione matteana in particolare. Le evidenti e consistenti differenze tra il testo di Matteo e quello di Marco ne sono spia più che sufficiente. Ma «anche se il brano evangelico appare fortemente elaborato in senso teologico e segnato dai problemi della chiesa primitiva, è però a livello Gesù che esso trova il suo fondamento storico necessario. Il detto sulla missione particolaristica non può che risalire a lui» (G. BARBAGLIO). Ebbene a me sembra possibile pensare che quando Gesù raccontò la parabola del buon samaritano si trovava in un tempo successivo all'episodio di cui ci parla Matteo al capitolo 15. Non è avventato dire che sono proprio i dialoghi con i non ebrei, specialmente con le donne, che mettono in crisi Gesù e lo provocano ad una ulteriore «apertura› all'azione di Dio, alla completa conversione.

DORANNA: Mi piace pensare che siano state delle donne a «convertire» Gesù!

FRANCO: Schalom Ben-Chorin, uno studioso ebreo particolarmente attento nei suoi studi sulla figura e l’opera di Gesù (Fratello Gesù, Morcelliana, Brescia 1985), parla espressamente dei vari pregiudizi che il rabbi di Nazareth ha progressivamente superato: «Lo stesso Gesù, originariamente, non era affatto libero da preconcetti nei confronti dei samaritani..., ma poi deve avere evidentemente riesaminato i propri pregiudizi, sicché possiamo ipotizzare che egli abbia pronunciato la parabola del buon samaritano dopo l'incontro presso il pozzo di Giacobbe» (pag. 145). Riguardo ai dialoghi con le donne, sia quella samaritana che quella pagana, lo stesso Autore aggiunge: «Questi dialoghi sono decisivi per l'evoluzione interiore di Gesù: sono delle donne a eliminare i suoi pregiudizi nazionalistici» (ivi, pag. 170).

DORANNA: Una ricerca affascinante sarebbe proprio questa: trovare le donne che sono attive e «visibili» nelle pagine della Bibbia. Lo facciamo troppo poco.

FRANCO: Come ringraziare Dio, il Padre, che ci ha dato in questo uomo di Nazareth un dono unico, irrepetibile, eppure totalmente uno di noi? Entrando nella strada di Gesù, come «figli nel figlio». Non ci troviamo, dunque, davanti a un eroe o ad un superuomo, ma davanti ad una persona che Dio ha scelto ed incaricato di una missione per noi cristiani assolutamente unica tanto che, in forza di questa investitura, lo chiamiamo «figlio di Dio».

GRAZIA: Per me è ancora importante un fatto: i miracoli, sia pure in una comprensione rinnovata, ci insegnano a non fermarci alle parole. Gesù ha detto e fatto; anzi Gesù ci mette in guardia dal pericolo di dire senza far seguire le opere. Anche noi dobbiamo concretizzare, agire, altrimenti le parole non valgono nulla.

FRANCO: Per me è molto importante questo invito di Dio ad agire. I miracoli sono «provocazioni» di Gesù, stimoli che egli offriva ai discepoli e alla gente per andare contro l'immobilismo, la passività, la rassegnazione; contro quel comodo viziaccio che abbiamo di lasciar correre, di lasciare le cose come stanno. No, non si lasciano le cose come stanno! Dio, attraverso queste opere d'amore di Gesù che lotta contro la malattia e l’emarginazione, ci invita a prendere una posizione di lotta di fronte a tutte le situazioni di sofferenza e di oppressione, a credere nell’impossibile, nel «mai visto» (Marco 2, 12). Egli stuzzica la fantasia verso l'utopia, verso ciò che non ha ancora luogo oggi, ma potrà essere domani. Ma aggiungo una annotazione non meno importante, una «chiave» essenziale per avvicinarci alla comprensione di Gesù. Quando diciamo che Gesù era «Figlio di Dio» intendiamo affermare apertamente che la luce e la forza per compiere queste scelte venivano a lui da quel Dio che egli ci insegnò a chiamare e a pregare come Padre. Gesù sapeva che la sorgente della vita e della liberazione erano in Dio: era felice di riconoscere il «Dio più grande di lui» (Giovanni 14, 28) e ne cantava le lodi. Sapeva ricevere da Lui con gioia. Questo sarà il nostro essere figli imparando da Gesù: cercare nel Padre (e non in noi e nelle nostre sole forze) la sorgente della libertà e la forza per andare avanti. Questa «dipendenza» da Lui sarà il massimo della nostra libertà!

 



MARIO: Se capisco bene, i miracoli in pratica sono le opere e le scelte che compiva Gesù: la sua lotta contro l'ingiustizia e gli egoismi, la sua perseveranza, la sua capacità di resistere, di stare vicino a chi soffre tentando ogni strada per superare quella situazione di infelicità.

MEMO: Allora diventa chiaro che ognuno di noi, in questo senso, è chiamato a fare miracoli... Ma io sono colpito da questa insistenza che ha Gesù nel rifarsi e nel rimandare anche noi costantemente al Padre. Ci hanno forse voluto lanciare un messaggio gli scrittori degli evangeli con questa insistenza?

FRANCO: Gesù doveva aver parlato in modo tale e talmente nuovo e vivo del Padre da lasciare nei discepoli una impressione fortissima che, in qualche modo, fu recepita dalla redazione degli evangeli. Gesù era profondamente segnato da questo rapporto vivificante e, forse, era cosciente che per noi è così facile essere preda della prigionia di noi stessi e della dimenticanza di Dio. Gesù conosceva bene il richiamo profetico: «Popolo mio, non dimenticare il tuo Dio».

GIORGIO: Memo ha detto che i miracoli sono le opere di Gesù, cioè le sue scelte, fatte da noi oggi. In che senso?

FRANCO: In Giovanni 14, 12 leggiamo come parole di Gesù: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre». Questa consegna e questa promessa sono per noi. Se ci alimentiamo alla Parola di Dio, se accettiamo di essere la vite che il Padre pota, porteremo questi frutti. Ecco il nostro fare miracoli: continuare a far crescere nel mondo le opere e le scelte di Gesù. Sapendo che Dio fa fiorire molti miracoli fuori dalle chiese cristiane perché Dio non ama affatto i cristiani più degli altri. E noi non abbiamo proprio nessun monopolio...

LETIZIA: Certo che oggi, con quel poco che riusciamo a fare, i nostri miracoli non avranno proprio nulla di miracoloso... nel senso di strepitoso.

FRANCO Senza nulla togliere alla libertà di Dio e senza pretendere di aver capito tutto dell'agire di Gesù, forse ora abbiamo un po' più chiaro che non si tratta di sognarci nelle vesti di qualche taumaturgo o di qualche mago. Ricadremmo nelle manie di gloria e nella trappola dell’onnipotenza. Lo stile di Gesù era tutto in questa sua semplicità: si fidava del Padre che rende possibile l'impossibile, che di un gruppo di schiavi ha fatto un popolo libero, che ha aperto strade nel deserto, ha fatto fiorire la steppa, ha fatto scaturire acqua fresca dalla roccia arida, ha fatto vincere le formiche sandiniste contro il faraone Somoza. Dio fa «miracoli» in quanto ci aiuta a scoprire e percorrere strade impensate. Egli è un «produttore» inesauribile di novità. L'imprevisto in Gesù è diventato realtà perché egli si è reso disponibile alla chiamata di Dio.

 


COSTANZA: In questo senso il linguaggio simbolico dei miracoli sarà come un albero che fiorisce di sempre nuovi significati e può produrre sempre nuovi frutti.

 


FRANCO: In questo senso mi sembra che le comunità primitive hanno scoperto la funzione dei racconti di miracolo e ci danno una testimonianza che può servirci anche oggi. Siamo assediati dal male, dai limiti, dalla malattia, dalla morte, dallo sfruttamento, dalla miseria, dalla fame. Fare memoria del Gesù liberatore nei racconti di miracolo significa invitarci a fare nostra la pratica di rovesciamento, di sovversione delle situazioni di iniquità, senza lasciarci paralizzare dalla massiccia presenza del male. Per molti teologi «abbiamo qui il motivo radicale della memoria comunitaria dei racconti di miracolo» (Charles Perrot). Se la nostra fede non vuole ridursi ad un mucchietto di ciance cristiane... deve fare i conti con questa provocazione che ci viene dal vissuto storico di Gesù e dai racconti di miracolo.

 

(continua)