RIFIUTO LA DIVISA: TORINO, OTTOBRE 1966
IL MIO RIFIUTO
Scrivo e rendo di pubblica ragione queste pagine, perché non desidero che il mio sacrificio sia fine a sé stesso. Tolgo il riserbo quindi, cui ho improntato la mia azione fino ad ora, e che mi aveva condotto, davanti al Tribunale Militare di Torino, ad una condanna di 4 mesi di reclusione con i doppi benefici di Legge, senza rendere di dominio pubblico il mio passo, com’ era stato fatto da altri, nelle mie stesse circostanze.
Rifiuto di obbedire per obbedire:
“La più grande tragedia della mia vita è stata di capire troppo tardi che l’ obbedienza ha un limite”.
Queste parole sono del Generale nazista Keitel, pronunciate prima di venire impiccato a Norimberga ( dal saggio introduttivo di A. Galante Garrone “Sei milioni di accusatori” di G. Hausner ed. Einaudi ). Non a caso il mio discorso inizia da lì, dal nazismo e da Norimberga.
E’ un discorso che mi porterà a propugnare una nuova idea di Stato : lo Stato-Uomo, lo Stato siamo Noi, che all’ esterno nei rapporti con gli altri Stati, ubbidisca alle stesse leggi cui noi, che diciamo di essere lo Stato, ubbidiamo all’ interno, proprio nello stesso momento in cui il principio cui si rifà, sia socialista e non, il principio di morte-tua vita-mea, diventa , ai nostri tempi, pura e semplice espressione delinquenziale di questi. “Non giudicare se non vuoi essere giudicato”.
Questa verità evangelica ha validità anche su un piano non strettamente religioso, e non può non averlo, se non ricondotta ad una sostanziale uguaglianza umana.
“Una delle superstizioni più diffuse è quella che ogni uomo abbia le sue particolari qualità ben definite, gentile, crudele, saggio, stupido, energico, apatico, ecc.
Gli uomini non sono così…. Gli uomini sono come i fiumi : l’ acqua è la stessa in tutti e in ciascuno, ma ogni fiume qui è stretto, là più rapido, là più lento, ora più ampio, ora limpido, ora freddo, ora torbido, ora caldo. Lo stesso è degli uomini. Ogni uomo porta in sé i germi di tutte le qualità umane e qualche volta ne manifesta una , talora un’altra e l’uomo spesso diventa diverso da sé stesso pur rimanendo sempre lo stesso uomo. ( Leone Tolstoj
Questa frase è, credo, interpretabile in due modi : il primo lo chiamo negativo, nel senso di astensione dal giudizio, un poco il vivi e lascia vivere insomma.
L’ altro lo chiamo positivo perché può capitare che si debba giudicare proprio per non incorrere negli errori altrui. Ma per far questo occorre coinvolgerci e identificarci con chi ha sbagliato proprio per non sbagliare (l’ uomo è un fiume…). E’ questo il caso dei processi ai nazisti. Abbiamo giudicato e giustamente, ma abbiamo creduto, per sopravalutazione di noi stessi, per superbia , in definitiva, che il male fosse soltanto il loro, che la nostra violenza se usata contro il male, di per sé, si tramutasse in bene. E’ stato solo un bene effimero.
Eccoci qua, noi, i buoni, i difensori della civiltà dalla barbarie nazi-fascista, in preda alla ragione di Stato, pronti addirittura a cancellare la vita da questo Pianeta, perché son sempre gli altri “i cattivi”, a fare il male, noi mai : che il nazismo non significa tanto il “male”, quanto aver sentito giusto il farlo giacché ordinato dallo Stato ! Questa è la lezione ricavabile dal Tribunale Internazionale Militare di Norimberga ! Il principio della responsabilità individuale di fronte alla guerra ! Principio che assume ancor più valore nell’ istante in cui ciascuno di noi, in genere, il militare perché militare, il prete perché prete, lo scienziato perché scienziato, l’operaio perché operaio, l’impiegato perché impiegato si deresponsabilizza di fronte alla possibile distruzione dell’umanità come se la cosa non ci riguardasse in modo diretto e relativamente al posto che si occupa in società.
Eppure oggi come possiamo dire che è lo Stato a farci fare la guerra, se amici e nemici corriamo il rischio di morire insieme e ammettendo ancora la “piacevolezza” di una terza guerra mondiale ognuna fatta perché non ce ne sia più? La stessa Resistenza non è stata combattuta a questo scopo? che non ci siano più guerre? E come è possibile “difenderne” i valori atomicamente, se questi valori e noi che li esplichiamo, possiamo essere annientati?
L’ unica spiegazione del quesito è che evidentemente vogliamo che muoiano. Il sacrificio di sé è valido solo se il soggetto per cui lo compiamo sia esso Stato, ideale, donna, sopravvive.
Di fatto se noi lasciassimo che lo Stato si difenda a quel modo saremo noi ad averlo ucciso e ognuno vi avrebbe partecipato con quelle parti di sé, quella violenza che abbiamo posto in esso, si, per permetterci un ordine all’ interno, ma violenza che se impiegata si ritorcerebbe sugli stessi che per vivere “tranquillamente”la loro vita quotidiana hanno lasciato ad altri la responsabilità di guidarli (…è lo Stato a fare la guerra non noi…).
La situazione dei singoli al’ interno dello Stato è riconducibile a quella di quel tale che dice agli amici di trattenerlo, altrimenti picchia l’ avversario. Siccome, in sostanza tutti facciamo questo discorso, della cui elementarità non ci accorgiamo perché inconscio, ed esistono forze neutre( i carabinieri, ad esempio) che si incaricano di ristabilire l’ ordine infranto, quest’ ultima viene brutalmente messa a nudo, qualora si pensi che lo Stato può impiegare queste parti di noi per “difendersi”? Così, fino ad oggi, si è potuto dire che è lo Stato a fare la guerra, ma oggi, se la facesse, che potremmo dire col rischio di distruzione totale e ammettendo, ovviamente, sia possibile il solito meccanismo di chiamata straordinaria alle armi in tempi in cui in poche ore si può morire più volte ? Ecco la necessità storica da parte di ciascun singolo cittadino di riprendersi quelle parti di sé poste nello Stato, quella violenza e sentirsene individualmente responsabile, proprio perché la violenza di ognuno sommata alle altre lo distruggerebbe e noi con esso. Questa è la tragica verità dei nostri giorni, che ci permette di dare anche un significato alla guerra, agli eserciti,alle armi che ne costituiscono la premessa. Ci sì arma per difenderci dal nemico , ma il nemico vero siamo noi stessi, nostre angosce profonde e originali che hanno a che vedere con la nostra morte che ci portiamo addosso, ma che neghiamo nell’ illusione di vivere sempre e i gruppi ci forniscono quest’ ultima illusione di immortalità ( come non notare l’ accentuarsi dei raggruppamenti, la paura della solitudine, che va coperta con il frastuono; non è forse di oggi che si parla dell’ uomo come una vite, spannata, finito il suo uso, viene sostituito da un’ altra identica ? Quasi un disperato perpetuarsi per sostituirsi gli , uni agli altri, ma senza accorgersi che singolarmente si muore e non si vive più.) Oltre a rappresentarci un sostituto materno, dal quale essere nutriti, protetti, evidentemente ben lontano dalla figura materna, la cui presenza ha un’ effettiva funzione redentoristica nel bambino, la dove questi ha fantasie di distruzione del proprio oggetto d’ amore ( la madre stessa). Esattamente al contrario dell’ individuo nel gruppo stesso, la cui finalità distruttiva nell’ ideale di gruppo ,leggi capo del gruppo, vengono messe nell’ altro gruppo : per cui vicendevolmente ci si arma e ci si incolpa di voler distruggere i propri oggetti d’ amore.
Esistono sia chiaro, altri fattori che contribuiscono alle guerre , economici, demografici, religiosi, per i quali si può anche morire e si è morti, ma se sostanzialmente si ammette che questi fattori esistono in quanto esistiamo noi essere umani e, non si può non ammetterlo, a sua volta dobbiamo ammettere che noi siamo obbligati da motivi inconsci, distruttivi, in tal caso, che se lasciati a sé stessi, oggi ci porterebbero all’ autodistruzione.
Ecco dunque che la guerra ha potuto durare fino ad oggi in quanto s’ è mascherata d’ amore ( la difesa degli oggetti d’ amore) ma che la situazione odierna, causa anche l’ evoluzione tecnologica costringe a rivelarsi nelle sue fattezze ; siamo noi i primi a voler uccidere ciò che ci è caro, ma questo ci pesa, perché mai ammetteremmo che noi odiamo inconsapevolmente ciò che amiamo e quindi ci rivolgiamo ad un nemico, contro cui è più facile combattere perché concreto e lo stesso fa quest’ ultimo con noi, ed entrambi non ci accorgiamo che siamo “nemico” l’ uno per l’ altro, che ciò che paventiamo siamo noi stessi.
Ma oggi,uccidere il nemico, significa uccidere noi stessi, ecco perché occorre, storicamente ripeto, riprendere la propria violenza messa nello Stato, di cui questo ha il monopolio come il sale e i tabacchi (Freud) e che può usare a suo piacimento, quando lo ritiene opportuno, per una “difesa”oggi illusoria( noi “dopo” siamo sempre pronti a piangere, mai prima quando si è in tempo e si può evitare le lacrime) e accorgerci come questa violenza può distruggere lo Stato stesso che si dice di difendere.
Per questo ho parlato di Stato-Uomo ubbidiente alle stesse leggi cui noi, singoli cittadini, ubbidiamo all’ interno, proprio perché la sovranità dello Stato è legata a quel principio di morte- tua vita-mea (principio proprio dei gruppi in quanto tali, per cui gli stessi individui che li formano devono sentirsi responsabili dei gruppi stessi se li vogliono salvare.
E per far questo occorre rispondere in prima persona della propria distruttività messa all’ esterno per negare il proprio inconscio desiderio di distruggere l’ oggetto d’ amore che lo costituisce, odiernamente di netta marca deliquenziale, inutile nasconderlo. Il non uccidere, quindi andrebbe esteso anche all’ esterno, perché uccidere l’ altro significa uccidere noi stessi, riconoscendo implicitamente la soggettività della guerra, per cui si potrebbe arrivare alla definizione di questa, come delitto individuale, consumato collettivamente.
Si potrebbe quindi creare un’ organizzazione che perseguirebbe penalmente coloro che parlano di guerra, come un’ associazione a delinquere, tipo mafia, ad esempio. Chi sa di morire, e come essere umano, non ha bisogno di morire in guerra e neanche dà ad altri, la responsabilità della propria vita, per cui un’elite politica è praticamente padrona della vita di milioni di persone. Per questo la necessità storica di cambiare i rapporti cittadino-stato e stato-stato. Solo in questa dimensione umana, di consapevolezza della propria vita e quindi della propria morte, derivata da una situazione attuale, e se gli Stati, se almeno sono costituiti da uomini che hanno una certa durata di vita e questi hanno figli che li sostituiranno, riprendendo così quel ciclo naturale di tutte le razze animali, ne rappresenteranno di riflesso….( qui avviene un salto di argomentazione, senza apparente perché, mancando la stampa, e si riprende come segue, da un altro foglio)……avrà un senso preciso chiamare inviati dell’ umanità i cosmonauti che si preparano a scendere sulla Luna, altrimenti essi non sarebbero che l’ espressione di quella politica di potenza, la stessa che ci porterebbe dritto ad essere polvere (laica polvere, nostra, di tutti) e ombra, come è accaduto ad Hiroshima e patetiche diventerebbero queste definizioni che tentano di rendere umano- prodotto dell’uomo quello che fu creato da noi, si è scisso e ci domina. il compito non è certo facile, e ad onta della sua “impossibilità”, la medesima per cui si continua ad ammucchiare bombe, a escogitarne nuovi tipi , a “migliorarle” pur sapendo che se venissero usate, potrebbe essere la fine di tutti (impossibile vero, questo?).
Eppure se si considera il solo potenziale atomico americano, escludendo quello chimico, batteriologico, radiologico, ci “garantisce”, come essere viventi, l’equivalente di 10 quintali di tritolo a testa, pare non lo sia più – da A.Rizzo “Il problema nucleare” Centro Studi Sociali L. Einaudi. Il problema diventerebbe risolvibile solo attraverso la responsabilizzazione individuale e la ricostituzione dei gruppi su nuove basi a partire dal basso ,appunto da noi singolarmente.
Credo intelettualmente onesto riconoscere apertamente che devo alcune importanti “illuminazioni”, ovviamente, parlando dal mio punto di vista, allo psicanalista Franco Fornari tramite i suoi libri sulla psicanalisi della guerra.
Giuseppe Bruzzone Genova ottobre 1966
Ringrazio Marco Labbate per avermi recuperato questo scritto, curando presso il Centro Sereno Regis di Torino la documentazione proveniente dallo Studio dell’ avvocato Segre.
Rileggendo mi pare manchino alcune righe del testo originale ma il senso è intatto.
LE FOTO – SCELTE DALLA BOTTEGA – RIMANDANO ALL’ANTIMILITARISMO DEGLI ANNI ’60