Chi sono i credenti
di ENZO BIANCHI
In una conversazione con un teologo cristiano sul tema della fede Umberto Galimberti a un certo punto insorge e dice con forza: «Mi sento offeso dalla cultura cristiana che chiama quelli che non credono “non credenti”, al negativo, e quelli che non credono in Dio “atei”, che è un altro negativo.
Abbiamo diritto di cittadinanza senza essere definiti in negativo». Questa rivendicazione è significativa: da un lato attesta la difficoltà da parte dei cristiani di definire chi non si professa credente in Dio come loro, dall’altro mi sembra si possa individuare qui una domanda per i cristiani. Chi è colui che crede? Credere significa aderire, fare fiducia, mettere la fiducia in… Credere ingloba in sé la speranza.
Siamo consapevoli che se pur c’è una differenza cristiana questa non sta nella capacità di credere: molti umani vivono di fede, nutrendo ogni giorno pensieri e atti di fiducia, aderiscono a un orientamento con il quale stare al mondo e renderlo più abitabile e umano, mentre altri che, a differenza dei primi, si dicono cristiani si nutrono di un cinismo che li segna attraverso dottrine che non richiedono alcun atto di fiducia, né cammino verso una meta che li preceda come una promessa.
Per gli ebrei la fede è innanzitutto umana, è un atto di fiducia che si regge anche senza un oggetto in cui credere, ma anche per i cristiani questa fede resta primaria come atto assoluto che si consuma nel quotidiano rapporto con gli altri. Com’è possibile credere in Dio che non si vede, o in Cristo, se non si è capaci di porre la fiducia negli umani che vediamo e con i quali viviamo? Noi cristiani prima di lamentarci della crisi della fede in Dio dovremmo interrogarci sulla crisi della fede nel prossimo.
Non è morto solo Dio, è morto anche il prossimo. Se si intende la fede cristiana come un seguire, un essere impegnati in una sequela, in una chiamata di Gesù, chi non si confessa cristiano non va chiamato “non credente”.
Anche Gesù si è stupito di trovare fede in greci e non trovarla tra i giudei, il popolo in alleanza con Dio. Fede e incredulità non sono distribuite con canoni stabiliti da noi, abitano sia il credente in Dio sia chi sa aver fiducia senza pensare a Dio. Quelli che si dicono credenti sovente hanno nulla in comune tra loro, non hanno lo stesso Dio perché di lui hanno immagini diverse.
C’è un credente in ogni ateo e c’è un ateo in ogni credente, anzi Ernst Bloch ha scritto che “solo un ateo può essere un buon cristiano, solo un cristiano può essere un buon ateo”, perché aveva compreso come il cristianesimo è negazione della religione alla quale basta un dio per funzionare. Nel nostro mondo globalizzato la marea di quelli che non credono in Dio è estesa e in crescita. Non sarebbe il caso che le chiese cercassero di rendere complice questa realtà, di prestare attenzione alla fiducia, che non è assente, invece di essere attente unicamente ai credenti in Dio delle altre religioni? Teofilo di Antiochia scriveva: “Tu mi chiedi di mostrarti il Dio in cui credo, ma io ti mostrerò l’uomo in cui credo e se tu vorrai capirai il mio Dio”.
La Repubblica 28 novembre