L’Italia della malinconia
FURIO COLOMBO
La Repubblica 13/12
Una ricerca fra tante finalmente sembra avere toccato il punto. La ricerca dice che è la malinconia che tormenta l’Italia. Mi sembra una intuizione profonda e intelligente, la sola che salta la siepe intricata delle colpe che sono sempre degli altri.
L’affermazione vale per tutti. Ognuno, in questi brutti anni, ha detto e ricevuto parole e pensieri sgradevoli.
Ci spingono sempre verso un volo basso che spegne facilmente i desideri per qualcosa di meglio, e non ha niente da dare in cambio.
Ma questo non
è il frutto della malinconia. È la causa. La fede e la scienza sono
ferme altrove, come se fosse avvento un cambio di ora legale. C’era un
involucro protettivo, una volta, che di solito chiamavamo speranza, e
che ci dava una fiducia non sempre realistica sull’esito di ciò che ci
tormentava, ma per un po’ funzionava.
Invece, ora, c’è un vasto spazio
di apatia (“non lo so e non mi importa”) che trattiene un intero popolo
assente dal suo destino.
Dimostriamo apatia, per esempio, quando, dopo
essere stati a lungo una comunità che facilmente si faceva coinvolgere
daI problemi e dalle sventure degli altri, adesso ci teniamo scostati e -
salvo la durata della notizia in Tv - restiamo indifferenti e lontani.
Un caso clamoroso della nostra apatia, del tutto inedita nel nostro
passato, è la tragica condizione dell’Iran, dove è in corso una strage
di giovani donne, uccise in strada durante le loro dimostrazioni o
condannate a morte nel silenzio delle peggiori prigioni.
So che l’apatia di cui sto parlando è una sindrome che travolge il mondo, non solo l’Italia, e rende ciascun Paese assente e inutile per l’altro.
So che l’apatia di cui sto parlando è una sindrome che travolge il mondo, non solo l’Italia, e rende ciascun Paese assente e inutile per l’altro.
Chi
mi legge, a questo punto mi dice che proprio ora stiamo facendo
moltissimo per l’Ucraina. Faccio notare che la stanchezza di continuare
ad aiutare l’Ucraina è clamorosamente visibile e che non manca molto a
un’onda di distacco, sia pure con una adeguata giustificazione politica e
in accordo con Paesi apatici come noi, ovvero l’Europa. Ma il caso
italiano è unico.
Noi eravamo il Paese che la medicina e la letteratura per secoli hanno raccomandato come l’unico luogo in cui liberarsi dalla malinconia e intravedere una certa serenità, persino spunti di allegria.
Noi eravamo il Paese che la medicina e la letteratura per secoli hanno raccomandato come l’unico luogo in cui liberarsi dalla malinconia e intravedere una certa serenità, persino spunti di allegria.
A quanto pare c’era, e c’e stata per molto tempo,
una armonia, forse unica, fra ciò che avevamo e ciò che potevamo dare, e
il punto di riferimento non era la grandezza, e non era la sicurezza.
Era una misura di felicità.
Su questo mondo tollerante e sereno si è
abbattuta la superstizione contro gli emigranti. Si è cominciato a dire,
e poi a credere, che porta male chi vuole traversare il nostro mare
senza permessi e in modo illegale. Ma poiché non esiste, e non si vuole
che esista,un modo legale, si cerca di diffondere l’idea che
l’immigrazione illegale (cioè l’unica possibile) produca sia una
sventura dove invade sia grandi ricchezze per alcuni, anche se non ci
dicono in che modo e per chi. E si diffonde la credenza che ciò che
spinge alla fuga sia il frutto di un complotto d’affari di cui i
fuggitivi disperati sono le marionette.
Se guardiamo agli ultimi tre decenni, ci accorgiamo che l’Italia è stata tormentata da un unico problema: come fermare il mare e bloccare definitivamente i migranti, smettendo di domandarci chi sono.
L’ossessione del problema ha spaccato il Paese. Una parte ha cominciato a credere nella superstizione del mare chiuso (o frontiera chiusa) come sola salvezza.
Una parte ha continuato ad essere civile e normale.
Adesso ha vinto, ed è diventato governo la parte che disprezza la fuga e che lascia morire senza problemi mamme e bambini. E qui mette radici una profonda malinconia. Tu puoi essere felice come cittadino di un Paese affiliato alla Libia, il punto più vicino, con le sue prigioni, all’epoca hitleriana?
Se guardiamo agli ultimi tre decenni, ci accorgiamo che l’Italia è stata tormentata da un unico problema: come fermare il mare e bloccare definitivamente i migranti, smettendo di domandarci chi sono.
L’ossessione del problema ha spaccato il Paese. Una parte ha cominciato a credere nella superstizione del mare chiuso (o frontiera chiusa) come sola salvezza.
Una parte ha continuato ad essere civile e normale.
Adesso ha vinto, ed è diventato governo la parte che disprezza la fuga e che lascia morire senza problemi mamme e bambini. E qui mette radici una profonda malinconia. Tu puoi essere felice come cittadino di un Paese affiliato alla Libia, il punto più vicino, con le sue prigioni, all’epoca hitleriana?
Ma se nei momenti in cui siamo attanagliati
dall’ansia di un futuro che non viene, ci guardiamo alle spalle, ci
accorgiamo che ci stiamo trascinando dietro tutto il nostro non lieto
passato: l’abbandono di milioni dei poveri, la correzione violenta e
disumana dei presunti colpevoli, l’obbligo di vivere secondo regole
stabilite da un regime, dalla libertà nella scelta di essere madre, alla
vita con un partner non accettato dal regime.
Un consiglio: registrate e riascoltate un qualsiasi frammento delle dichiarazioni di membri di questo governo, specialmente se hanno gli incarichi più delicati. Chiaro che i cittadini sono incompetenti (se non sono parte malata del Paese ). Ma ascoltate. “Chi paga il caffe con la credit card è un rompiballe” (vice presidente del Consiglio Salvini). “Perché dovrai ritirare la querela?” (presidente del Consiglio contro Roberto Saviano ). “Chi produce non va disturbato” (presidente del Consiglio a difesa di certe aziende).
“Quando non ero io a governare non eravate così impazienti” (presidente del Consiglio). “Per la Bibbia l’omosessualità era abominio” (senatore Malan, Fratelli d’Italia). “La diffusione arbitraria di intercettazzioni non è civiltà nè libertà e per combatterla sono pronto a battermi fino alle dimissioni” (Carlo Nordio, ministro della Giustizia). “I cittadini ci hanno chiesto di difendere i confini. Non tradiremo. Non siamo la Repubblica delle banane” (Giorgia Meloni, presidente del Consiglio). Come vedete, c’è qualche ragione di malinconia.
Un consiglio: registrate e riascoltate un qualsiasi frammento delle dichiarazioni di membri di questo governo, specialmente se hanno gli incarichi più delicati. Chiaro che i cittadini sono incompetenti (se non sono parte malata del Paese ). Ma ascoltate. “Chi paga il caffe con la credit card è un rompiballe” (vice presidente del Consiglio Salvini). “Perché dovrai ritirare la querela?” (presidente del Consiglio contro Roberto Saviano ). “Chi produce non va disturbato” (presidente del Consiglio a difesa di certe aziende).
“Quando non ero io a governare non eravate così impazienti” (presidente del Consiglio). “Per la Bibbia l’omosessualità era abominio” (senatore Malan, Fratelli d’Italia). “La diffusione arbitraria di intercettazzioni non è civiltà nè libertà e per combatterla sono pronto a battermi fino alle dimissioni” (Carlo Nordio, ministro della Giustizia). “I cittadini ci hanno chiesto di difendere i confini. Non tradiremo. Non siamo la Repubblica delle banane” (Giorgia Meloni, presidente del Consiglio). Come vedete, c’è qualche ragione di malinconia.