mercoledì 28 dicembre 2022

NEI BALCANI LA TENSIONE AUMENTA

 Polveriera Kosovo: Europa e Nato fanno finta di niente

Il Fatto Quotidiano 
Michela A. G. Iaccarino
27/12

In Kosovo la protesta serba tracima a nord, una nuova voragine armata minaccia di erompere sulla mappa europea, la speranza di convivenza pacifica mai raggiunta tra slavi ortodossi e musulmani kosovari sta per sgretolarsi definitivamente. 
A Zubin Potok, uno delle quattro municipalità a maggioranza serba, barricate e sparatorie a una manciata di chilometri da una pattuglia della Kfor, la missione Nato che dalla fine del conflitto nel 1999 non ha mai abbandonato il Paese.
A porte chiuse, della degenerazione sempre più veloce della crisi, ha parlato il presidente di Belgrado, Aleksandr Vucic, con i suoi alti gradi in mimetica. Non è la prima riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza nazionale in questo dicembre di esplosioni. All’ultimo incontro con i vertici dell’esercito serbo era presente la premier Ana Brnabic, che solo una settimana fa aveva avvertito: “Siamo sull’orlo di un conflitto armato”.
“LA SITUAZIONE È complessa, è richiesta la presenza dell’esercito”. Arrivato a Raska, Milan Mojsilovic, capo di Stato maggiore serbo, ha chiesto di schierare le sue truppe alla frontiera. Come gli permette una risoluzione Onu, Vucic ha già chiesto alla Nato il permesso di spedire al confine mille divise, unità miste di poliziotti e militari: se è già chiara la scelta di rifiuto della soluzione militare dell’alleanza, non è definitiva la decisione di rinuncia di intervento di Belgrado. 
Mentre sempre ieri il premier Kurti si è riunito a Pristina con il capo della missione civile europea in Kosovo (Eukex), Lars-gunnar Wigemark, e con il comandante della Kfor, il generale italiano Angelo Michele Ristuccia in cui il capo di Eulex ha ribadito quanto sostenuto dal capo della diplomazia Ue Josep Borrell, secondo il quale “le barricate sono inaccettabili” in quanto illegali e di ostacolo alla libera circolazione.
La tensione cresce nella peggiore cornice politica di sempre, con il conflitto ucraino che divide una sempre più debole Unione europea: le ambasciate occidentali a Belgrado – quella Usa, tedesca, francese, inglese e anche italiana – continuano a premere sul governo per il ripristino dell’ordine e lo smantellamento delle barricate nei territori dove l’ingranaggio della convivenza tra serbi e kosovari, nonostante dieci anni di negoziati e 14 anni trascorsi dall’indipendenza dichiarata da Pristina nel 2008, non ha mai funzionato.
 L’ultima miccia nella polveriera di Mitrovica, la città epicentro degli scontri, è stato l’arresto di un ex poliziotto serbo sospettato di aver preso parte all’attacco contro i kosovari il 10 dicembre scorso: un mese prima si era dimesso insieme ad altri colleghi e giudici per protestare contro il limbo legislativo delle enclavi e la decisione di vietare l’uso di documenti di identificazione emessi da Belgrado. Un giorno dopo l’arresto sono state nuove barricate sorte in tutti i territori serbi la causa per cui Vjosa Osmani, presidente kosovara, ha deciso di posticipare a primavera le elezioni. 
Per le marce al valico di Jarine il 18 dicembre la Nato ha inviato rinforzi per scontri tra polizia kosovara e popolazione locale. Scesi in strada a sventolare croci ortodosse e il tricolore serbo – quasi identico a quello della storica ed ingombrante alleata di Belgrado, Mosca – anche i Narodne Patrole, “pattuglie popolari” nazionaliste, accusate di gemellaggio con i paramilitari russi della Wagner, operativi in Ucraina.