martedì 24 gennaio 2023

BREVE RISPOSTA AD UNA LETTERA

 Caro Luigino,

grazie di questo tuo  scritto ....Sei un itinerante inquieto: che meraviglia!....Vedi come la presenza del Mistero  ci sollecita  e i nostri orizzonti  si dilatano. Mi sento tanto vicino al tuo cammino e ti abbraccio in questi giorni in cui sento il mio "corpo" rigenerarsi.

A presto

Franco

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Ciao don Franco e Fiorentina. 

Vi penso bene. 

Mi auguro di non recarti disturbo, don Franco, nella tua convalescenza. Vedendoti domenica scorsa, mostri di essere in una fase di buona ripresa e ti auguro di cuore che continui. Ti scrivo perché avverto il bisogno di uscire da un solipsismo che non diventi fine a se stesso. Per cui il bisogno di sentire altre voci, che qua faccio fatica a trovare. Nel mio pensiero vedo che sto cercando un Dio che non vuole uscire da quanto è stato seminato e raccolto su di Lui, la così detta “Traditio fidei”. Indosso però questa come un paio di scarpe strette che mi rallenta il cammino rendendolo sofferente. Non è mia intenzione, come dicevo, uscire dal seminato, ma distinguere, fra le sementi, quelle sterili da quelle che possono germinare. Questo è il mio pensiero. 

 Io penso a Dio come un padre, una madre, un figlio, un fratello, una sorella. Noi siamo e viviamo in Lui e Lui in noi. E’ nella nostra diversità che cerchiamo di smembrare il suo essere Unità. Vedo e capisco pure che l’esercizio dell’unità fra noi umanità, è difficile per la nostra diversità vissuta nel libero arbitrio. Libero arbitrio che dovrebbe essere esercitato per cercare l’equilibrio tra le nostre diversità, realizzando una vita condivisa capace di generare amore, giustizia, pace per diventare da fratellastri, fratelli. 

Tutto questo mi porta a pensare all’amore di Dio e mi domando, come può amarci da genitore, figlio, fratello, sorella? Lo percepisco come un amore disinteressato e incondizionato, non perché Dio provi disinteresse o indifferenza, ma perché non chiede un rendiconto su come abbiamo speso la vita. Lo capisco dalla parabola del Figliol prodigo. Il padre accoglie il figlio senza rimarcare nulla sulla sua vita passata, ascolta la sua confessione e nulla più. Forse al padre gli è bastato. Così penso che Dio si accontenti di ciò che siamo capaci di offrirgli: tanto, poco, niente le mani vuote, perché sa di essere Lui capace di moltiplicare due pani, cinque pesci, sedare la tempesta, trasformare l’acqua in vino. Dio si accontenta, basta che lo cerchiamo, accetta anche le mani vuote, perché in un modo o nell’altro sa metterci qualcosa. Gli bastano mani che possano accogliere e contenere. Così penso a un Dio che sento mi appartenga, e che possa essere anche il Dio di e per tutta l’umanità. Un Dio transreligioso che non distrugge le singole religiosità, ma che sa curare le fedi ferite di chi crede e vive di Lui. Questo Dio lo sento nella creazione e concepisco la creazione in Lui che la trascende e non fuori da Lui. Penso a Dio come un guaritore ferito, pensiero mancusiano, e noi che viviamo nella ferita di Dio, diventando la sua medicina con la quale Dio vuole guarire, per trascendere il tutto. Non so perché Dio sia ferito, forse per amore. Questa mia idea mi porta a pensare che la crocifissione indichi la ferita e la resurrezione la nostra trascendenza in Dio o nell’Uno o nell’Ovunque di Dio. 

 Questo Dio mi porta a distinguere l’elemosina dalla carità, l’elemosina del pezzo di pane, sempre necessaria peraltro, ma che mantiene in vita la povertà, perché un pane che non dà sapore alla vita, dalla carità invece che è riconoscere il diritto di ognuno di insaporire il pane con il sudore della propria fronte, perché così diventa più gustoso. Non so cosa tu possa pensare di questo mio succinto modo di concepire e sentire Dio nella mia e altrui vita. 

Non pretendo, ma gradirei una tua opinione, per aiutarmi a togliere il “mantello” per guardare e andare verso quella luce che rischiara il cammino. Grazie Un caro saluto a voi, un abbraccio, un augurio di buona ripresa per te Franco, Luigino.