DOVE STA LA FELICITA?
Vedendo
le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si
avvicinavano i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li
ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri di spirito,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno
consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati
quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno
saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno
misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno
Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati
figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della
giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così
infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Matteo 5,
1-12).
Tra
tutte le pagine dei Vangeli, il brano delle beatitudini di Luca e
Matteo, con le loro somiglianze e con le loro diversità, è tra i
più noti. Lo sappiamo a memoria, ma non è detto che il suo
messaggio sia penetrato nei nostri cuori.
E’
innegabile che questa ridda di “beati-felici”, con ciò che
segue, ci mette un po’ tutti a disagio.
Una
storiella raccontata ai bambini per farli crescere positivi ed
ottimisti? Uno di quei “manifesti” pubblicitari che dipingono
paesaggi tanto luminosi e perfetti quanto impossibili?
Metafore,
immagini, linguaggi “colorati” per farci sopravvivere nelle
bassure dell’esistenza quotidiana? Dove noi vediamo nei nostri
contesti piuttosto grigi, desolati, incolori e privi di prospettive
tutta questa esplosione di felicità?
Non
sarà poi una “proclamazione” che crea in noi un’illusione che
mette le basi per una fede tutta orientata a guardare talmente
lontano da farci “saltare” la terra, cioè la vita
quotidiana?
Gesù
prima vive poi insegna
Credo
che fare i conti con queste domande scomode ed inquietanti sia tanto
onesto quanto inevitabile.
Intanto
… a nessuno di noi può sfuggire il fatto che non si leggono queste
righe senza avvertire un subbuglio del cuore, senza avvertire che in
esse c’è uno strano, calamitante fascino…
Tanto più che
Matteo e Luca, che pure non disponevano di un moderno registratore,
ne fanno risalire il nucleo a Gesù e tutto ci lascia intendere che
esse raccolgano e condensino effettivamente alcune “perle”
dell’insegnamento del Nazareno.
C’è di più: dopo tante
ricerche sul Gesù storico sembra di poter dire che le beatitudini
sono, certo, l’insegnamento centrale del profeta di Nazareth, ma
ancor prima costituiscono l’ossatura della sua vita, la rilettura
che i discepoli fanno dei comportamenti, della prassi e della
speranza di Gesù.
Infatti
Gesù è un maestro che, prima di insegnare, vive. Il suo primo
insegnamento è la sua stessa vita e i discepoli colsero il senso più
profondo del suo messaggio a partire dalla sua esistenza
quotidiana.
In
Matteo le beatitudini sono, come scrive il teologo Douglas Hare, il
“discorso inaugurale per i discepoli”, ma non meno esse sono lo
specchio che riflette le scelte di vita di Gesù.
Il
manifesto del regno di Dio sulla terra
La
parola greca sembra ribellarsi ad ogni traduzione con un solo
vocabolo: “Beati, felici, fortunati, benedetti …”.
Forse
questo “macarioi” è intraducibile con un solo termine. Resta
però chiaro che l’evangelo proclama che il sentiero dei deboli,
dei poveri, dei miti, dei fautori di pace, dei perseguitati, dei puri
di cuore … è la via maestra del regno, ma è anche la via più
sicura per dare senso alla propria vita, la via che ci regala la
“felicità-beatitudine” profonda.
Senonchè
proprio qui sta la sfida: come si può credere che questa strada
generi felicità mentre tutte le voci e le proposte vincenti della
nostra cultura mercantile dicono esattamente l’opposto?
Ogni
giorno sentiamo, da mane a sera, una canzone diversa: è felice chi è
ricco, chi è vincente, chi la fa franca, chi si appoggia ai potenti,
chi fa bella figura, chi se ne sbatte degli altri, chi pensa solo al
proprio granaio…
Qui
sta il salto nel buio dove ci possono dare luce solo la parola di
Gesù e la parola dei profeti. Prendere o lasciare…
Se
guardo la mia piccola vita, devo riconoscere che poche volte mi sono
addentrato decisamente e concretamente in questa strada delle
beatitudini evangeliche.
Ma,
quando ho mosso qualche passo reale in quella direzione, ho
constatato che la promessa di Gesù è stata vera per me: ho provato
quella gioia profonda che chiamo felicità.
Se
ancora oggi leggo con speranza questa pagina evangelica e cerco di
deporla nel mio cuore è perché ho fiducia che essa possa smuovere
la mia vita.
Come
cambierebbero le nostre comunità, come sarebbe diversa la vita della
nostra chiesa se le beatitudini diventassero la “magna charta”,
il programma, il progetto.
Ma
devo cominciare dalla mia vita; devo ridire al mio cuore dove sta di
casa la felicità perché anch’io troppe volte la cerco
altrove.
Ecco
perché leggiamo con assiduità e passione la Bibbia: per trovare
lungo i sentieri del quotidiano, tra smarrimenti, nebbie e
confusione, alcuni cartelli indicatori che ci aiutino a riprendere la
strada, sapendo che Dio ci aspetta con pazienza e sollecita con amore
una nostra risposta.
E
come pensare un mondo “altro”se non operando questo
capovolgimento che il Vangelo ci propone? Vorrei, o Dio, non farTi
aspettare troppo.
L'industria
della felicità
Dunque
le beatitudini non possono essere lette in maniera consolatoria, pia
e devota .
Sono un autentico invito alla lotta, una invito ad
uscire dalle mille fabbriche della felicità ( fare soldi, fare
carriera , fare sesso, fare immagine.... e tutto questo senza
limiti).
Ovunque i mercati e i mercatini della felicità ci
invitano a prendere questo "treno del benessere" pensando
solo a noi stessi.
Le beatitudini sono invece esattamente
l'opposto di questa industria. La storia umana non conosce una
rivoluzione più radicale della nostra vita personale, comunitaria e
sociale. Sì, niente di meno di una rivoluzione, di una sovversione
costruttiva, creatrice di felicità vera .