Elogio del relativismo
In queste ore molti stanno celebrando la memoria di Joseph Ratzinger apprezzando in particolare quanto egli si sia opposto al dilagare del relativismo proprio della società contemporanea.
Mi impressiona molto questo ragionamento, perché io sono convinto che il relativismo sia la più grande conquista della civiltà moderna. Proprio sul relativismo, ovvero sul non considerare come definitiva nessuna dottrina e come totalmente conoscibile nessuna realtà, si fonda il valore della tolleranza: io accetto come significativa l’esperienza esistenziale e di pensiero di un altro essere umano proprio perché so che essa è portatrice di significato (potremmo dire di una parte della verità) e non può mai essere totalmente falsificata da nessuna pretesa verità assoluta.
Nessuno possiede la verità, ma tutti siamo portatori di senso. Il valore di questa consapevolezza filosofica è immenso ed è la base di una società tollerante, aperta e inclusiva.
Oltre a ciò, esiste un profondo valore spirituale nel relativismo. Esso infatti preserva la consapevolezza del carattere trascendente della verità: la verità è trascendente e mai totalmente afferrabile dell’uomo, neppure lontanamente, e proprio per questo ogni esperienza umana si configura come un contributo imprescindibile per avanzare in quel percorso affascinante e mai concluso che è la ricerca della verità.
Noi non conosciamo mai la verità nella sua totalità, ma accade qualcosa di molto più importante: noi siamo la verità.
Alcuni temono che il relativismo si risolva in una forma di egoismo in cui più nulla ha valore e in cui il soggetto si sente libero dal rispetto di ogni norma e pure della dignità di ogni persona. Questo timore è infondato, perché la questione non riguarda il relativismo in sé, quanto piuttosto l’atteggiamento altruistico o egoistico del soggetto.
Il mio relativismo può essere altruistico ed empatico oppure egoistico e crudele. Il fatto che sistemi di pensiero non relativistici non abbiano mai generato società prive di violenza, anzi, il fatto che su di essi si siano fondati poteri repressivi e intolleranti, dimostra che il rispetto della dignità altrui non dipende dalle pretese filosofiche di conoscenza della verità, quanto piuttosto dalla capacità umana di provare empatia e amore per ciò che è umano al di fuori di sé e dentro di sé.
Anzi, si potrebbe sostenere che la tendenza a non considerare se stessi o il proprio gruppo politico o religioso come detentori della verità assoluta e a valorizzare l’esperienza e il pensiero altrui siano di per sé già sintomo ed espessione di un atteggiamento empatico, tollerante e compassionevole.