domenica 22 gennaio 2023

I DIMENTICATI

 ROMA-ADISTA. Sinjar, in Iraq, la città che nel 2013 contava quasi 100mila abitanti, e l’omonima zona montuosa contesa e bramata da tutti gli imperi dai tempi dei Parti per la sua posizione strategica ai confini odierni tra Iraq e Siria, devastate dall’Isis come molte altre città e zone dell’Iraq settentrionale ai tempi del califfato, restano distrutte ancora oggi come allora, otto anni fa, quando l’Isis è stato ufficialmente sconfitto. In particolar modo a essere tuttora ridotta in rovine è la città, visto che sulle montagne ci sono dei luoghi protetti dalla loro problematica accessibilità. Sinjar è un territorio di molti, ma soprattutto degli yazidi – curdi di religione preislamica e per questo vittime del genocidio degli uomini agli ordini di al-Baghdadi – Sinjar è la loro capitale.

Il ritiro americano

Abid Shameen, giornalista yazida, emigrato negli Stati Uniti da queste terre anni fa, è tornato in visita nei suoi luoghi natali poche settimane fa e ha scritto un reportage sul suo viaggio per Just Security. Lui è soddisfatto di ciò che ha ottenuto e di aver potuto frequentare l’università del Nebraska, ma ricorda che molti, negli anni precedenti il ritiro americano, nel 2010, collaborarono con i Marines. Quando Obama scelse il ritiro non propose una soluzione per tutti coloro che avevano collaborato con gli Stati Uniti e molti rimasero esposti a vendette, povertà e isolamento. Ovviamente è ancora così per quanto riguarda gli yazidi in modo particolare, perché in Iraq se si fa qualcosa lo si fa per quote. Anche i posti di lavoro che ci sono vengono distribuiti per quote, quindi in quei territori vanno ai cristiani e ai turcomanni, non agli yazidi, la cui quota non esiste nella partizione etnico-confessionale dell’Iraq sebbene siano curdi e di una tradizione più antica di quella islamica.
Tornando ai tempi di Obama e del ritiro americano, ben presto, ricorda Abid Shameen, contro chi rimase cominciarono le vendette degli estremisti che si vendicarono degli yazidi. Il vuoto di potere amministrativo, militare e di sicurezza lasciato dal ritiro voluto dalla Casa Bianca favorì i gruppi estremisti e l’emergere dell’Isis che già nel 2014, cioè quattro anni dopo il ritiro, prese il controllo della zona. Gli aiuti americani tornarono sotto forma di sostegno o alla sopravvivenza nelle zone montane o alla denuncia del crimine compiuto dall’Isis contro di loro: genocidio. Fu in quel tempo terribile che nacque un rapporto inatteso tra gli yazidi e i curdi di altra appartenenza, i guerriglieri del Pkk, giunti da tempo in quel fazzoletto di terra non distante dalla Siria e dalla Turchia, il loro Paese d’origine. Furono loro a proteggerli.

15 campi profughi

Oggi circa 500mila yazidi vivono in misere condizioni non molto lontano da Sinjar, nella zona di Dahouk, governatorato del Kurdistan iracheno. La maggior parte di loro si trova nei 15 campi profughi presenti in questa regione, senza rete fognaria ovviamente e con pochissima acqua potabile. In queste condizioni, la popolazione, in larga parte traumatizzata dalle violenze patite ai tempi dell’Isis, riconosce nella montagna e nella milizia di yazidi che la controlla la sola vera sopravvivenza, dato che le ONG occidentali se ne vanno una dopo l’altra, chiamate a intervenire in nuovi contesti emergenziali: sopravvivere a Dahouk è troppo difficile. Andare in montagna è la scelta che negli ultimi tempi ha convinto anche chi non avrebbe voluto, soprattutto dopo i bombardamenti che hanno colpito la zona di Sinjar. Primi sono arrivati i kurdi iracheni che reclamano il controllo del governatorato di Sinjar dall’Iraq. Poi i turchi che sostengono che gli yazidi operano in nome e per conto del Pkk. Infine gli iraniani, sicuri che Pkk e yazidi aiutino militarmente i curdi iraniani in rivolta dopo l’assassinio di Mahsa Amini, la curda iraniana la cui morte in prigione dove era stata rinchiusa perché non indossava in modo corretto il velo ha avviato la nuova rivoluzione iraniana.

Il legame con il Pkk


Il rapporto con il Pkk esiste realmente, perché ai tempi dell’Isis furono loro sul terreno a difendere gli yazidi dalla ferocia degli uomini di al-Baghdadi. Ora però, secondo Dasin Farouk Beg, l’emiro degli yazidi citato dal sito al-Monitor, i guerriglieri del Pkk badano al loro futuro e non lascerebbero andare gli 800 yazidi che vivono nel fortino del Pkk di Qandil, vicino al confine iraniano.
Come pensare che gli yazidi possano credere che si sia voltata pagina nella loro storia, se delle 800 fosse comuni affiorate negli anni passati solo 30 hanno visto iniziare i lavori di esumazione delle salme? Le altre appaiono un costante ricordo che affiora nel fango di tanti villaggi per convincere che la vecchia storia non è finita, è ancora lì. Così tornare a Sinjar ai più appare impossibile, più pericoloso e difficile che vivere nei campi profughi. Ma senza Sinjar molti temono che non ci sarà più la comunità, come è successo in Turchia, e alcuni affermano ormai che per restare comunità la sola strada possibile è trasferirsi altrove, tutti, fuori dal Medio Oriente.

Le bambine sequestrate

Non si tratterebbe di uno sviluppo senza precedenti. Il grande scrittore franco libanese Amin Maalouf è stato tra i primi a soffermarsi sulla fine della presenza dei mandei in Iraq: dopo secoli e secoli di presenza in quelle terre, infatti, sono spariti. La loro presenza sotto califfi di diverse dinastie, sempre accettata, si è di fatto estinta ai tempi di Saddam. Per motivi incomprensibili la loro presenza nel mosaico iracheno si era fatta impossibile e così si trasferirono, lentamente, in Scandinavia.
Ma per gli yazidi sarebbe davvero un addio definitivo all’Iraq la scelta dei sopravvissuti di andarsene? E le 3.000 bambine yazide sequestrate dall’Isis e mai riemerse, né vive né morte? 

Adista 31/12/2022