di MICHELE VALENSISE
Alla fine urlavano contro “il generale Anguria”. I dimostranti che domenica pomeriggio nella piazza dei tre Poteri, nel cuore di Brasilia, hanno assaltato e profanato Planalto, Congresso e Corte Suprema speravano in un appoggio dell’esercito. Nella loro furia criminale invocavano i militari più che Bolsonaro, ma per fortuna non sono stati ascoltati. Al netto dell’incompetenza, della disorganizzazione e della connivenza della polizia locale, i militari federali hanno fatto il loro dovere in difesa della democrazia brasiliana e dei suoi simboli più sacri. E per gli assalitori disillusi si sono trasformati in angurie, verdi di fuori e rosse di dentro, in superficie patriottismo ma nell’essenza comunismo. La frustrazione alimenta la fantasia.
Per il momento la brutale prova di forza finisce così, con decine di feriti, oltre milleduecento persone arrestate che possono andare incontro a pene pesanti per la legislazione antiterrorismo, danni ingenti e uno sfregio doloroso da curare con attenzione. Il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, insediato da una sola settimana, serra le file e rivede il film delle ultime ore, drammatiche e assurde. Sospeso il governatore del Distretto Federale, da cui dipende la sicurezza della capitale, destituito il Segretario alla sicurezza, smantellato l’accampamento che per settimane aveva accolto i manifestanti, proprio di fronte al quartier generale dei militari. Analoga smobilitazione avviene a San Paolo.
Lula si riprende la scena con forza e schiera i tre inquilini della piazza, esecutivo, legislativo e giudiziario, compatti a difesa della Costituzione del 1988 e delle istituzioni per respingere gli “attacchi vandalici, criminali e golpisti”.
Bolsonaro tentenna dalla Florida, affida a un tweet una tardiva e timida censura per le devastazioni e perde l’occasione di assumere, il ruolo di leader dell’opposizione di cui il Brasile ha bisogno. Questa è la sua fine, dicono alcuni pur non ostili all’ex presidente, perché non può prendere troppo le distanze dagli assalitori.
Ora si tratta di mettere a fuoco l’intera vicenda, il profilo dei protagonisti, le responsabilità di quanti avanzavano minacciosi, senza ostacoli, sulla monumentale Esplanada dos Ministerios e di chi da lontano li abbia favoriti. E sarà bene capire le vere cause della smagliatura della rete di protezione, in passato sempre efficace (una volta un senatore improvvidamente unitosi a manifestanti violenti fu dissuaso da un cane poliziotto che lo morse ai glutei). Chi erano gli assalitori, chi li manovrava, chi li finanziava, chi li ha tollerati per settimane nelle tende in pieno centro prevedendo persino la loro iniziativa? Si indaga, con la speranza di trovare un bandolo credibile della matassa.
L’Itamaraty, presidio di una diplomazia abile e ambiziosa, tornato da pochi giorni a guardare al mondo, saluta con gratitudine l’unanime condanna internazionale degli atti di terrorismo e vandalismo che hanno scioccato il Brasile e rinnova con orgoglio la fedeltà ai principi costituzionali nel cui spirito il Paese “ha registrato il più lungo periodo di convivenza democratica della sua storia repubblicana”.
Tacciono, come è giusto, i vertici militari e il loro silenzio, insieme alla disciplina, è la migliore risposta a qualche interrogativo trapelato senza fondamento circa la loro lealtà alle istituzioni democratiche.
Anche se con radici non ancora profondissime, la democrazia brasiliana mostra un’incoraggiante capacità di resilienza. Se la prova della sciagurata marcia degli assalitori è rientrata, restano aperte sul tappeto tutte le sfide del governo del gigante sudamericano. La congiuntura non è semplice, pesano gli imperativi delle politiche sociali, di bilancio, di controllo dell’inflazione. Lula deve affrontare le attese di elettorato e mercati e soprattutto l’estrema polarizzazione del Brasile in due campi opposti, ben poco comunicanti tra loro. Sa che molti lo sostengono perché disprezzano Bolsonaro e altrettanti optano per quest’ultimo solo perché diffidano di Lula. Lo sconsiderato assalto di domenica dovrebbe indurlo, con il pragmatismo di un tempo, a isolare i violenti dal resto dell’opposizione, oggi stanca dell’inadeguatezza e dell’avventurismo di Bolsonaro e forse recuperabile a un confronto civile nell’interesse comune.
La Repubblica 10/1/2023