Ratzinger, la
persecuzione della Teologia della Liberazione e la riabilitazione dei vescovi
lefebvriani
08.01.23 - Lorenzo Poli
Pressenza
In questi giorni successivi alla scomparsa del Papa Emerito si è molto
dibattuto e lodato il suo periodo progressista come Padre conciliare
durante il Concilio Vaticano II, dimenticando le successive azioni, sia come
cardinale che come papa regnante, di segno nettamente conservatore.
Sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, il cardinale Joseph Ratzinger,
in quanto prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, firmò le due
importanti istruzioni attraverso le quali la Chiesa di Roma prendeva
ufficialmente posizione rispetto alla Teologia della Liberazione. Si tratta
della “Libertatis Nuntius” (1984) e della “Libertatis Conscientia” (1986). In
entrambi i documenti si denunciava la sudditanza della Teologia della
Liberazione all’analisi marxista della società e quindi la sua incompatibilità
con il messaggio evangelico. La colpa dei Teologi della Liberazione? Guardare
alle Sacre Scritture come ad un’occasione di riscatto per la gente povera e
sfruttata dai sistemi economici e sociali di stampo capitalistico. Si tratta di
quella corrette di pensiero all’interno del cristianesimo (da Camilo Torres a
Leonardo Boff, passando per Gustavo Gutierrez) che vedeva nella società
industriale di massa un pericolo per tutto il mondo soprattutto per quelle
popolazioni che avrebbero dovuto pagare le conseguenze (Terzo Mondo). Si
trattava di quei cristiani che si opponevano alle dittature dichiaratamente
fasciste, espressione del Piano Condor, che in America Latina stavano
sperimentando il neoliberismo economico.
La Chiesa sosteneva apertamente quelle dittature e Papa Giovanni Paolo II
incontrò amichevolmente più volte il golpista cileno Pinochet (quello dei
desaparecidos e della repressione dei giovani che lottavano per la democrazia;
quello delle prigioni segrete spacciata per collegi religiosi) ed avviò una
crociata contro quei preti che in loco, a differenza di chi mostrava
sudditanza, venivano torturati, picchiati, rinchiusi. In Brasile fu esemplare
il caso di Oscar Romero, ucciso da militanti d’estrema destra, abbandonato dalla
sua stessa Chiesa ed in seguito proclamato Beato e poi Santo (impeccabile
l’analisi pungente che fece Adriana Zarri sul suo caso) dalla stessa.
Intanto, con lo spauracchio del comunismo, la Chiesa reprimeva i Teologi della
Liberazione mentre dall’altra parte lo IOR riciclava soldi della mafia per
finanziare Solidarnosc, il “Sindacato Libero Indipendente e Autogestito”
guidato da Lech Wałęsa che nacque spontaneamente nel 1980 e che dal 1983 al
1991 venne sostenuto dalla CIA in funzione anti-sovietica con 20 milioni di
dollari[1]. Il Vaticano cercava di frenare l’ondata della Teologia di
Liberazione con documenti ufficiali, con oculate nomine episcopali e con
l’irrogazione di provvedimenti personali che l’ex Sant’Uffizio direttamente a
teologi, come Leonardo Boff a cui più volte è stato chiesto il “silenzio” per
alcuni suoi scritti. In tutto ciò un ruolo non marginale lo ricoprì il prefetto
Joseph Ratzinger. Fu Ratzinger che avviò i processi dottrinali in Vaticano
contro i Teologi della Liberazione. Nel 1971, le gerarchie vaticane iniziarono
ad ammonire Leonardo Boff per le sue tesi. Nel 1984 fu convocato in Vaticano e
sottoposto ad un processo da parte della Congregazione per la Dottrina della
Fede, allora presieduta da Joseph Ratzinger, a causa delle tesi esposte nel suo
libro Chiesa: “Carisma e Potere”. Le colpe del libro? Dire che il “Carisma”
spirituale della Chiesa era sopraffatto dal “Potere” temporale. Nonostante le
giustificazioni fornite, l’anno successivo fu condannato al silentium
obsequiosum, ovvero il silenzio rispettoso. A causa di pressioni internazionali
la decisione fu parzialmente revocata nel 1986. Nel 1992, a seguito di
ulteriori minacce di provvedimenti disciplinari da parte di Giovanni Paolo II
se avesse preso parte al Summit della Terra, Boff abbandonò l’ordine dei
francescani. Molti finirono come lui: Gustavo Gutierrez e Ernesto Cardenal.
Quest’ultimo, teologo e poeta nicaraguense, fu un attivo sostenitore della
Rivoluzione Sandinista e, nel primo governo di Ortega, fu Ministro della Cultura
dal 1979 al 1987. Nel 1984, per questo suo ruolo, gli fu proibito da Papa
Giovanni Paolo II di amministrare i sacramenti e venne sospeso “a divinis”,
riabilitato poi da Papa Francesco nel 2019.
Una lista di 105 teologi, i più eminenti, furono condannati o al silenzio, o
con la perdita della cattedra, o con il divieto di insegnare e di scrivere di
teologia. Edward Schillebeeck, Jacques Dupuis, B. Haering, JM Castillo tra gli
altri. In America Latina, il fondatore della Teologia della Liberazione, il peruviano
Gustavo Gutiérrez, il teologo Ivone Gebara censurato. Altri furono colpiti
negli Stati Uniti come Charles Curran e R. Haight, oltre ai teologi indiani
padre Anthony de Mello, i cui libri furono proibiti, così come Belasurya. Il
teologo americano Matthew Fox, frate domenicano, venne espulso dal suo ordine
nel 1993 a seguito della pubblicazione del libro In principio era la gioia
(Fazi editore, 2011), definito dall’allora cardinale Ratzinger “pericoloso e
fuorviante”[2]. Nel luglio 2008 Benedetto XVI è stato l’artefice della prima
dimissione dallo stato clericale di un vescovo nella storia della Chiesa: si
tratta del teologo della liberazione Fernando Lugo, eletto tre mesi prima
presidente del Paraguay alla guida di un partito di sinistra (che verrà destituito
da un colpo di stato neoliberista). La richiesta di riduzione allo stato
laicale, inizialmente respinta, era stata posta dallo stesso Lugo all’indomani
della sua avvenuta e lezione e infine venne accettata. In questo caso fu Lugo a
chiederlo, ma l’anno seguente successe qualcosa di veramente assurdo. Il 24
gennaio 2009, Papa Benedetto XVI concesse il perdono pontificio, revocando la
scomunica ai quattro vescovi ultratradizionalisti “lefebvriani”, ordinati
illegittimamente da Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988 (Bernard Fellay, Alfonso
de Galarreta, Bernard Tissier de Mallerais e Richard Williamson), che si
opponevano alle riforme apportate dal Concilio Vaticano II e nel postconcilio,
e in particolar modo alla soppressione della messa tridentina, alla dottrina
della collegialità episcopale, all’ecumenismo e alla dottrina della libertà
religiosa. I lefebvriani avevano dichiaratamente simpatie antiebraiche,
neonaziste, e negazioniste della Shoah. In sostanza quella che Adriana Zarri
avrebbe definito l’ “estrema destra teologica”. Sempre per riappacificarsi con
loro, Benedetto XVI nel 2007 aveva liberalizzato il ricorso al messale
pre-conciliare con la lettera apostolica “Summorum Pontificum”, pietra angolare
di una strategia di appeasement proprio con i lefebvriani, in rotta con il
papato dal Concilio Vaticano II in poi.
Ratzinger ha avuto anche il sostegno di movimenti discutibili come l’Opus Dei,
Comunione e liberazione e i molto discussi Legionari di Cristo famosi per le
loro posizioni ultraconservatrici al limite del sostegno a posizioni fasciste.
Memorabili sono state le parole del teologo Leonardo Boff in un recente
articolo[3]: «(…) Il teologo Joseph Ratzinger si è mostrato nemico degli amici
dei poveri. Questo passerà negativamente nella storia della teologia. (…)
Possiamo dire che non ha mai compreso la centralità di questa teologia:
l’«opzione per i poveri contro la povertà e per la liberazione». Questa
teologia ha reso i poveri protagonisti della loro liberazione e non semplici
destinatari di carità e paternalismo. (…) Rappresentante legittimo della
vecchia cristianità europea con i suoi fasti e la sua potenza
politico-religiosa, nella prospettiva della nuova fase di planetizzazione, la
cultura europea, ricca in tutti i campi, si è chiusa in clausura. Raramente è
stata aperta ad altre culture come quelle antiche dell’America Latina,
dell’Africa e dell’Asia. Non si è mai sbarazzata di una certa arroganza di
essere i migliori e in nome di quella ha colonizzato il mondo intero, una
tendenza non ancora del tutto superata».