lunedì 9 gennaio 2023

Ratzinger, la persecuzione della Teologia della Liberazione e la riabilitazione dei vescovi lefebvriani
08.01.23 - Lorenzo Poli

Pressenza



 

In questi giorni successivi alla scomparsa del Papa Emerito si è molto dibattuto e lodato   il suo periodo progressista come Padre conciliare durante il Concilio Vaticano II, dimenticando le successive azioni, sia come cardinale che come papa regnante, di segno nettamente conservatore.
Sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, il cardinale Joseph Ratzinger, in quanto prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, firmò le due importanti istruzioni attraverso le quali la Chiesa di Roma prendeva ufficialmente posizione rispetto alla Teologia della Liberazione. Si tratta della “Libertatis Nuntius” (1984) e della “Libertatis Conscientia” (1986). In entrambi i documenti si denunciava la sudditanza della Teologia della Liberazione all’analisi marxista della società e quindi la sua incompatibilità con il messaggio evangelico. La colpa dei Teologi della Liberazione? Guardare alle Sacre Scritture come ad un’occasione di riscatto per la gente povera e sfruttata dai sistemi economici e sociali di stampo capitalistico. Si tratta di quella corrette di pensiero all’interno del cristianesimo (da Camilo Torres a Leonardo Boff, passando per Gustavo Gutierrez) che vedeva nella società industriale di massa un pericolo per tutto il mondo soprattutto per quelle popolazioni che avrebbero dovuto pagare le conseguenze (Terzo Mondo). Si trattava di quei cristiani che si opponevano alle dittature dichiaratamente fasciste, espressione del Piano Condor, che in America Latina stavano sperimentando il neoliberismo economico.
La Chiesa sosteneva apertamente quelle dittature e Papa Giovanni Paolo II incontrò amichevolmente più volte il golpista cileno Pinochet (quello dei desaparecidos e della repressione dei giovani che lottavano per la democrazia; quello delle prigioni segrete spacciata per collegi religiosi) ed avviò una crociata contro quei preti che in loco, a differenza di chi mostrava sudditanza, venivano torturati, picchiati, rinchiusi. In Brasile fu esemplare il caso di Oscar Romero, ucciso da militanti d’estrema destra, abbandonato dalla sua stessa Chiesa ed in seguito proclamato Beato e poi Santo (impeccabile l’analisi pungente che fece Adriana Zarri sul suo caso) dalla stessa.
Intanto, con lo spauracchio del comunismo, la Chiesa reprimeva i Teologi della Liberazione mentre dall’altra parte lo IOR riciclava soldi della mafia per finanziare Solidarnosc, il “Sindacato Libero Indipendente e Autogestito” guidato da Lech Wałęsa che nacque spontaneamente nel 1980 e che dal 1983 al 1991 venne sostenuto dalla CIA in funzione anti-sovietica con 20 milioni di dollari[1]. Il Vaticano cercava di frenare l’ondata della Teologia di Liberazione con documenti ufficiali, con oculate nomine episcopali e con l’irrogazione di provvedimenti personali che l’ex Sant’Uffizio direttamente a teologi, come Leonardo Boff a cui più volte è stato chiesto il “silenzio” per alcuni suoi scritti. In tutto ciò un ruolo non marginale lo ricoprì il prefetto Joseph Ratzinger. Fu Ratzinger che avviò i processi dottrinali in Vaticano contro i Teologi della Liberazione. Nel 1971, le gerarchie vaticane iniziarono ad ammonire Leonardo Boff per le sue tesi. Nel 1984 fu convocato in Vaticano e sottoposto ad un processo da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta da Joseph Ratzinger, a causa delle tesi esposte nel suo libro Chiesa: “Carisma e Potere”. Le colpe del libro? Dire che il “Carisma” spirituale della Chiesa era sopraffatto dal “Potere” temporale. Nonostante le giustificazioni fornite, l’anno successivo fu condannato al silentium obsequiosum, ovvero il silenzio rispettoso. A causa di pressioni internazionali la decisione fu parzialmente revocata nel 1986. Nel 1992, a seguito di ulteriori minacce di provvedimenti disciplinari da parte di Giovanni Paolo II se avesse preso parte al Summit della Terra, Boff abbandonò l’ordine dei francescani. Molti finirono come lui: Gustavo Gutierrez e Ernesto Cardenal. Quest’ultimo, teologo e poeta nicaraguense, fu un attivo sostenitore della Rivoluzione Sandinista e, nel primo governo di Ortega, fu Ministro della Cultura dal 1979 al 1987. Nel 1984, per questo suo ruolo, gli fu proibito da Papa Giovanni Paolo II di amministrare i sacramenti e venne sospeso “a divinis”, riabilitato poi da Papa Francesco nel 2019.
Una lista di 105 teologi, i più eminenti, furono condannati o al silenzio, o con la perdita della cattedra, o con il divieto di insegnare e di scrivere di teologia. Edward Schillebeeck, Jacques Dupuis, B. Haering, JM Castillo tra gli altri. In America Latina, il fondatore della Teologia della Liberazione, il peruviano Gustavo Gutiérrez, il teologo Ivone Gebara censurato. Altri furono colpiti negli Stati Uniti come Charles Curran e R. Haight, oltre ai teologi indiani padre Anthony de Mello, i cui libri furono proibiti, così come Belasurya. Il teologo americano Matthew Fox, frate domenicano, venne espulso dal suo ordine nel 1993 a seguito della pubblicazione del libro In principio era la gioia (Fazi editore, 2011), definito dall’allora cardinale Ratzinger “pericoloso e fuorviante”[2]. Nel luglio 2008 Benedetto XVI è stato l’artefice della prima dimissione dallo stato clericale di un vescovo nella storia della Chiesa: si tratta del teologo della liberazione Fernando Lugo, eletto tre mesi prima presidente del Paraguay alla guida di un partito di sinistra (che verrà destituito da un colpo di stato neoliberista). La richiesta di riduzione allo stato laicale, inizialmente respinta, era stata posta dallo stesso Lugo all’indomani della sua avvenuta e lezione e infine venne accettata. In questo caso fu Lugo a chiederlo, ma l’anno seguente successe qualcosa di veramente assurdo. Il 24 gennaio 2009, Papa Benedetto XVI concesse il perdono pontificio, revocando la scomunica ai quattro vescovi ultratradizionalisti “lefebvriani”, ordinati illegittimamente da Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988 (Bernard Fellay, Alfonso de Galarreta, Bernard Tissier de Mallerais e Richard Williamson), che si opponevano alle riforme apportate dal Concilio Vaticano II e nel postconcilio, e in particolar modo alla soppressione della messa tridentina, alla dottrina della collegialità episcopale, all’ecumenismo e alla dottrina della libertà religiosa. I lefebvriani avevano dichiaratamente simpatie antiebraiche, neonaziste, e negazioniste della Shoah. In sostanza quella che Adriana Zarri avrebbe definito l’ “estrema destra teologica”. Sempre per riappacificarsi con loro, Benedetto XVI nel 2007 aveva liberalizzato il ricorso al messale pre-conciliare con la lettera apostolica “Summorum Pontificum”, pietra angolare di una strategia di appeasement proprio con i lefebvriani, in rotta con il papato dal Concilio Vaticano II in poi.
Ratzinger ha avuto anche il sostegno di movimenti discutibili come l’Opus Dei, Comunione e liberazione e i molto discussi Legionari di Cristo famosi per le loro posizioni ultraconservatrici al limite del sostegno a posizioni fasciste. Memorabili sono state le parole del teologo Leonardo Boff in un recente articolo[3]: «(…) Il teologo Joseph Ratzinger si è mostrato nemico degli amici dei poveri. Questo passerà negativamente nella storia della teologia. (…) Possiamo dire che non ha mai compreso la centralità di questa teologia: l’«opzione per i poveri contro la povertà e per la liberazione». Questa teologia ha reso i poveri protagonisti della loro liberazione e non semplici destinatari di carità e paternalismo. (…) Rappresentante legittimo della vecchia cristianità europea con i suoi fasti e la sua potenza politico-religiosa, nella prospettiva della nuova fase di planetizzazione, la cultura europea, ricca in tutti i campi, si è chiusa in clausura. Raramente è stata aperta ad altre culture come quelle antiche dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia. Non si è mai sbarazzata di una certa arroganza di essere i migliori e in nome di quella ha colonizzato il mondo intero, una tendenza non ancora del tutto superata».