martedì 3 gennaio 2023

SIAMO AL TRAMONTO

 La fine delle illusioni


Repubblica 30/12


di CARLO COTTARELLI

Caro Direttore, temo che i ripetuti attacchi da più parti, compreso alcuni esponenti del governo (Salvini, Crosetto, Tajani), alle decisioni della Banca Centrale Europea (Bce) in tema di politica monetaria prese a dicembre, insieme alle rinnovate polemiche sul Mes, siano manifestazioni di un complessivo rigetto di un ritorno alla normalità dopo un periodo in cui ci siamo illusi che, d’ora innanzi, i nostri problemi di finanziamento potessero essere comunque risolti dalle istituzioni europee.

In dicembre la Bce ha annunciato un aumento dei tassi di interesse di mezzo punto percentuale; ha indicato che i tassi di interesse dovranno aumentare ulteriormente in futuro per riportare l’inflazione al 2 per cento; ha deciso che da marzo la sua detenzione di titoli (soprattutto di Stato) sarà ridotta per riassorbire la liquidità creata negli ultimi anni. Sono decisioni restrittive ma giustificate dal livello dell’inflazione. Il tasso di riferimento della Bce è ora al 2,5 per cento, contro un’inflazione del 10 per cento nell’eurozona, quattro volte tanto. È quindi un tasso largamente negativo al netto dell’inflazione, anche assumendo che questa scenda. La riduzione nella detenzione di titoli di Stato da parte della Bce è per noi spiacevole: significa che parte dei titoli di Stato (italiani e di altri Paesi) ora detenuti dalla Bce dovranno essere acquistati dagli investitori privati. Ma la riduzione sarà lenta: 15 miliardi al mese per l’intera area dell’euro. La consistenza di titoli detenuta dalla Bce è di circa 3.300 miliardi. Alla velocità annunciata servirebbero 18 anni per riportarla a zero.

Quindi niente di sconvolgente. I mercati finanziari hanno reagito negativamente, le Borse sono scese, lo spread è salito. La comunicazione poteva essere migliore, ma la stretta (che, ripeto, non è certo brutale) era inevitabile e tutte le banche centrali, di fronte a questi livelli di inflazione, stanno aumentando i tassi di interesse. Si dice: ma in Europa, al contrario degli Stati Uniti, l’inflazione non riflette un eccesso di domanda da frenare aumentando i tassi di interesse, ma dai prezzi delle materie prime. Questo è vero solo in parte: il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro e in Italia è sotto quello medio di lungo periodo, il che vuol dire che siamo in una fase alta del ciclo economico. In ogni caso i tassi di riferimento della Bce restano ben più bassi di quelli americani. Il vero problema è che ci eravamo abituati a pensare che fosse normale avere tassi di interesse negativi o zero o una Bce che finanziava interamente il nostro deficit pubblico, nonostante questo avesse raggiunto livelli che non si vedevano dalla Seconda guerra mondiale, come nel 2020-21. Purtroppo ci stiamo svegliando dal sogno.

Passo al Mes, il fondo europeo che può intervenire prestando soldi a un Paese in difficoltà sotto condizioni che, tipicamente, includono la riduzione del debito pubblico. La riforma, ratificata ormai da tutti i Paesi dell’eurozona tranne che dall’Italia, non cambia molto: dà un po’ più di voce in capitolo al Mes (rispetto alla Commissione Europea) nel decidere se il debito pubblico di un Paese debba essere ristrutturato prima che il Mes possa prestare altri soldi al Paese e poco altro. Perché allora tanta opposizione?

Meloni sembra ora aver aggiustato il tiro e, in una recente intervista, ha detto che la riforma «non è un grande tema», ribadendo però che mai l’Italia userà il Mes. Se intendeva dire che il governo si muoverà in modo da assicurare che l’Italia non avrà mai bisogno del Mes, ha detto bene. Ma temo che intendesse proprio rigettare l’idea del Mes, ovvero di un ente che ti presta soldi imponendo condizioni poco piacevoli, tipo il risanamento dei conti pubblici. Insomma, l’Europa è lì per darci soldi per investire, ma che non ci chieda di ridurre il debito pubblico.

Intendiamoci, anche a me piacerebbe che i soldi europei arrivassero abbondanti come è avvenuto negli ultimi tre anni e senza condizioni (come per gli acquisti di titoli da parte della Bce). Magari ci fosse anche un Next Generation per affrontare l’emergenza energetica. Ma non è lo stato normale delle cose. Temo dovremo abituarci: la pacchia è finita.