Il dolore di Francesco per il vescovo condannato a 26 anni nel Nicaragua di Ortega
Il Fatto Quotidiano 13/2
FABRIZIO D'ESPOSITO
La destra clericale aveva già iniziato ad attaccarlo per il suo silenzio "diplomatico" e invece ieri papa Francesco ha smentito i suoi detrattori dedicando a monsignor Rolando Álvarez parole importanti dopo l'angelus domenicale: "Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il Vescovo di Matagalpa, Mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara Nazione, e chiedo la vostra preghiera".
Venerdì scorso, infatti, un tribunale della dittatura sandinista di Daniel Ortega ha inflitto 26 anni e 4 mesi di carcere al vescovo di Matagalpa in quanto "traditore della patria", e privandolo anche della cittadinanza nicaraguense. Appena un giorno prima, giovedì 9, monsignor Álvarez aveva rifiutato di imbarcarsi con altri 222 prigionieri politici (tra cui ex guerriglieri della rivoluzione) su un aereo diretto a Washington e noleggiato dall'amministrazione americana. Di qui la condanna: secondo la decisione del tribunale, il vescovo di Matagalpa dovrebbe rimanere in carcere fino al 13 aprile del 2049. Monsignor Álvarez venne arrestato all'alba del 19 agosto di quest'anno, insieme ad altre persone (preti, seminaristi e laici) con l'accusa di terrorismo. Il primo vescovo a finire in carcere da quando Ortega è tornato stabilmente al potere nel lontano 2007. Isolato come una sorta di Corea del Nord del subcontinente latinoamericano (il manifesto di sabato scorso), il Nicaragua della folle coppia presidenziale formata da Ortega e dalla moglie Rosario Murillo ha iniziato nel 2018 una durissima repressione ai danni della Chiesa cattolica, colpevole di voler "un colpo di Stato" durante le proteste popolari di quell'anno contro le riforme della sicurezza sociale.
DA ALLORA, la Chiesa nicaraguense ha subìto circa duecento attacchi, compreso un incendio all'interno della cattedrale della capitale Managua. Oltre ad arrestare sacerdoti, il regime ha proibito le processioni e interrotto numerose celebrazioni religiose, ha chiuso radio e tv cattoliche e cacciato 18 suore dell'ordine delle Missionarie della Carità, fondato da Madre Teresa di Calcutta. Un clima di terrore che un anno fa, a marzo, culminò finanche nel ritiro del "gradimento" – con la conseguente espulsione dal Paese – al nunzio apostolico della Santa Sede monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag.
Prima di ieri, papa Francesco aveva parlato della grave situazione in Nicaragua nell'agosto scorso, pochi giorni dopo l'arresto di monsignor Álvarez, e sempre in occasione dell'angelus: "Seguo da vicino con preoccupazione e dolore la situazione creatasi in Nicaragua che coinvolge persone e istituzioni. Vorrei esprimere la mia convinzione e il mio auspicio che, per mezzo di un dialogo aperto e sincero, si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica". Sei mesi dopo, sul tentativo di dialogo con il regime di Ortega pesa come un macigno l'incarcerazione fino al 2049 di un vescovo.