venerdì 3 febbraio 2023

PROTESTE E REPRESSIONE IN PERU'

 La rabbia del Perù, un morto a Lima. Boluarte cambia rotta

Il Manifesto 31 gennaio 2023

Andrea Cegna

Le proteste e la repressione in Perù non si fermano. Dopo che venerdì 27 gennaio il parlamento ha bocciato una mozione che chiedeva di anticipare le elezioni presidenziali al 2023, e che dopo che sabato nelle manifestazioni che chiedono la fine dell’attuale governo, l’apertura di un’assemblea costituente ed elezioni anticipate un uomo di 55 anni, Víctor Santisteban, è stato ucciso dalla polizia, la presidente Boluarte ha cambiato postura.
L’UOMO È MORTO dopo essere stato colpito a distanza ravvicinata da proiettile sparato dalla polizia, il morto numero 58 dal 7 dicembre, e questo ha spinto la presidente a fare pressioni sul parlamento. Domenica è intervenuta per chiedere che il parlamento cambiasse rotta e votasse a favore del voto anticipato.
In caso contrario, Boluarte ha minacciato due azioni d’urgenza da parte del governo: la prima fisserebbe il voto nel 2023 con il primo turno ad ottobre ed eventuale ballottaggio a dicembre. La seconda, una sorta di minaccia al parlamento, e la creazione della Commissione costituzionale del Congresso della Repubblica per una riforma integrale della Costituzione del 1993. Boluarte pare,così, cercare la simpatia di chi protesta scaricando contemporaneamente le responsabilità per quanto successo in questi mesi sul parlamento.
PER JENNIE DADOR, avvocata femminista e segretaria esecutiva della Coordinazione nazionale per i diritti umani, «il Perù sta vivendo una delle sue peggiori crisi dei diritti umani e di delegittimazione della democrazia». Una crisi fatta di morti e violenze.
«Dopo un periodo di mobilitazioni a livello nazionale – prosegue Dador – represse dalle forze speciali negli altopiani meridionali del Paese, la mobilitazione si è fatta più intensa da gennaio con la marcia su Lima. 
La risposta dello Stato peruviano è stata di una brutalità senza precedenti nella storia democratica nel paese. Ci sono stati massacri perpetrati in tre città (Andahuaylas, Ayacucho e Juliaca), 48 civili uccisi da polizia e militari. A ciò si aggiungono altre 9 vittime negli scontri nati per i blocchi stradali e anche un poliziotto.Un totale di 58 morti, di cui 9 minorenni, 48 esecuzioni extragiudiziali e 912 civili feriti» (1.658 sarebbero i feriti secondo un aggiornamento della Defensoría del Pueblo, ndr).
Di fatto nelle sette settimane che hanno seguito la cacciata di Castillo dalla presidenza del Perù abbiamo visto il paese «avvicinarsi pericolosamente al consolidamento dell’autoritarismo, prodotto della repressione del governo di fronte allo scoppio della protesta sociale e alle diverse mobilitazioni sul territorio nazionale. Il tasso di disapprovazione dell’attuale governo rasenta il 90%» insiste Dador.
Domenica, poco prima della presa di parola della presidente, una nuova manifestazione ha invaso le strade di Lima, fermandosi nel punto dell’omicidio del giorno precedente. La “presa di Lima” prosegue giornalmente, anche mentre scriviamo, nonostante repressioni e “aperture”. Così come i blocchi stradali in diverse parti del paese non sono stati sospesi e continuano ad oltranza.
TRA CHI INSTANCABILMENTE alimenta le mobilitazioni non mancano i movimenti e le organizzazioni femministe che «hanno imparato molti anni fa, con la violenza vissuta nei 20 anni di conflitto armato interno e la dittatura Fujimori, che ciò che non va bene per la democrazia non va bene per le donne». 
Quindi «nonostante Dina Boluarte sia una donna, la prima donna a diventare presidente, non è scattato – ricorda Jennie Dador – il sostegno delle organizzazioni femministe. Boluarte non viene dal movimento delle donne o dal femminismo, non ha mai avuto, né prima né adesso, un’agenda per i diritti delle donne e delle loro diversità. Inoltre, non perché donna sarà più buona, più brava o meno corrotta. Da quando è entrata in carica, vedo nei diversi territori del Paese centinaia di donne che piangono per i loro mariti, figli e padri uccisi o feriti. 
Ora si trovano sole nel crescere i loro figli o provvedere alle loro famiglie. Le femministe sono nelle strade a lottare per la democrazia, e molte ong femministe hanno sospeso la loro partecipazione negli spazi di lavoro congiunti con lo Stato».