domenica 18 giugno 2023

INDIA : PAESE PIU' POPOLOSO DEL MONDO

 India: protagonista alla prova del dividendo demografico

ISPI 2/23

Secondo il World Population Review, l’India potrebbe aver superato la Cina come Paese più popoloso del mondo. La prima domanda che molti, nel subcontinente e all’estero, si sono posti è se, raggiunti i 1,4 miliardi di persone, l’India non dovrebbe adottare delle stringenti politiche di controllo della natalità. La risposta quasi unanime degli esperti è che farlo – sulla falsa riga di quanto fatto in Cina con la politica del figlio unico – sarebbe un’idea terribile. La struttura demografica indiana, infatti, è un’opportunità economica irripetibile per l’India, ma per sfruttarla a pieno servirebbero interventi molto urgenti che il governo sembra voler intraprendere solo a metà.

Un’opportunità economica

La prima cosa da chiarire è il fatto che, se è vero che l’India è la nazione più popolosa del pianeta, ciò non significa che le nascite siano fuori controllo. Al contrario, il tasso di fertilità medio è sceso a 2 figli per ogni donna – un tasso leggermente inferiore a quello al quale la popolazione si stabilizza (2,1). Solamente in 5 stati federati su 28 il tasso di natalità è superiore a 2,1, anche se tra questi ci sono Uttar Pradesh e Bihar (circa 300 milioni di abitanti), due tra i più popolosi (e poveri) Stati dell’Unione Indiana, che quindi vanno incontro a un notevole aumento di popolazione negli anni a venire.
Da un punto di vista economico quello che conta non è tanto il numero di persone, ma la struttura demografica e in particolare il tasso di dipendenza, ovvero il numero di persone dipendenti da quelle in età lavorativa. Più è alto il numero di giovanissimi (<15) o anziani (>64) e più si allarga il numero di persone “non produttive” che, in termini economici, rappresentano un freno all’espandersi dell’attività economica e un aggravio di spesa per welfare o pensioni (a carico della popolazione in età lavorativa). L’abbassamento del tasso di dipendenza, che si verifica quando i tassi di natalità scendono e i tassi di sopravvivenza dei bambini salgono, viene chiamato “dividendo demografico”, perché è in questa fase – irripetibile nella storia di una nazione – che il Paese va incontro a periodi di elevata crescita economica, spinta dall’aumento delle persone in grado di essere produttive.
L’India si trova nel mezzo del proprio dividendo demografico. In Cina, la finestra si è chiusa intorno al 2010, quando il tasso di dipendenza è iniziato a salire grazie al prolungamento dell’aspettativa di vita. La Cina sta invecchiando velocemente. L’India è in una fase di espansione della propria forza lavoro.
Per sfruttare al meglio il dividendo demografico, tuttavia, un paese ha bisogno di ingenti iniezioni di capitale, sia fisico sia umano. La fornitura di questo capitale costituisce la principale sfida a medio termine del Paese, insieme, ovviamente, a quella ambientale.
Partendo dal capitale fisico, l’India ha, almeno a partire dagli anni ’80, investito nella direzione giusta, in particolare a partire dai primi anni 2000, da quando le reti stradale e autostradale sono raddoppiate; il volume di container gestiti dai porti è cresciuto del 50%; la generazione di energia è aumenta dell’85%; e la fornitura di infrastrutture di base come latrine, acqua corrente ed elettricità domestica è arrivata a coprire quasi la totalità della popolazione. Nell’ultimo Budget, presentato il 1° febbraio 2023, la spesa governativa per le infrastrutture è aumenta di un terzo, arrivando al 3,3% del Pil.
Le infrastrutture sono un elemento chiave per sfruttare il dividendo demografico, in particolare per facilitare la creazione di lavoro nel settore manufatturiero – il vero motore dei miracoli economici asiatici – e sostenere le esportazioni. L’economia indiana, tuttavia, non ha mai preso il treno del manufatturiero. Oggi il settore costituisce solo il 15% del Pil, e non è cambiato molto dagli anni ‘60 ad oggi. In Cina, per esempio, il manufatturiero rappresenta circa il 28% del Pil, in Vietnam il 25% e in Bangladesh il 22%.

Le misure di supporto economico e i limiti alla crescita

Il governo indiano ha adottato altre misure per facilitare l’espansione del manufatturiero, dalla campagna “Make in India”, lanciata dal governo Modi nel 2014, alla creazione di Special Economic Zones (SEZs). Tuttavia, il settore manufatturiero è lievemente diminuito. Anche gli investimenti in infrastrutture potrebbero non essere sufficienti a incentivare investimenti nel settore industriale. In Cina, per esempio, il livello di investimenti pubblici e privati non è mai sceso sotto il 15% del Pil dal 1990 ad oggi; in India, non è mai salito oltre l’8%.
A livello di capitale umano, la strada è notevolmente più ripida. Avere una forza lavoro in crescita è un’opportunità straordinaria. Ma se questa forza lavoro è poco istruita e poco in salute, il dividendo rischia di trasformarsi in un incubo demografico. L’India paga oggi decenni di mancanti investimenti nel settore educativo e della salute pubblica. Mentre la quasi totalità dei bambini e delle bambine oggi frequenta la scuola primaria, i livelli di apprendimento rimangono molto bassi. Secondo l’ultimo report ASER che monitora l’apprendimento, solo il 18% degli studenti di terza elementare è in grado di fare una sottrazione e solo il 42% degli studenti di quinta è in grado di leggere un semplice testo. Inoltre, i livelli di apprendimento hanno subito un tracollo, riportandoli a quelli del 2012, largamente a causa della prolungata chiusura delle scuole durante la pandemia – l’India ha tenuto le scuole chiuse più a lungo di quasi ogni altro Paese al mondo. Di nuovo, il confronto con la Cina è istruttivo: il livello di alfabetizzazione in India oggi è simile a quello raggiunto dalla Cina nel 1982, quando il Pil pro capite indiano e cinese erano pressoché identici.
Gli scarsi livelli educativi si traducono in una scarsa produttività della forza lavoro, che inoltre subisce il fallimento, nei decenni, delle politiche di formazione specialistica messe in piedi dai vari governi. L’ultima di queste iniziative, Skill India, non sembra essere destinata ad aver maggior successo delle precedenti versioni. Oggi, solo il 4,7% dei lavoratori indiani ha ricevuto qualche forma di training, mentre la percentuale sale a 24% in Cina e arriva fino al 96% in Corea del Sud. Ciò porta alla paradossale situazione per la quale convivono alti tassi di disoccupazione e sottoccupazione e mancanza di manodopera specializzata. Inoltre, il mercato del lavoro dei giovani è tra i più difficili del mondo. Secondo stime dell’International Labour Organisation (ILO), il tasso di disoccupazione giovanile è al 28,3% (in Cina è 11,4%).
Il basso livello educativo non è il solo freno alla produttività della forza lavoro indiana. Uno dei principali ostacoli è lo scarso livello di salute dei lavoratori. Un dato chiave è la percentuale di bambini malnutriti, che, secondo gli ultimi dati (precedenti alla pandemia), colpiva il 35% dei bambini sotto i 5 anni. La malnutrizione infantile è un fattore chiave perché la malnutrizione durante i primi tre anni di vita causa deficit cognitivi e fisici che perdurano per tutta la vita, senza possibilità di rimedio. Un lavoratore malnutrito da piccolo ha molta più probabilità di ammalarsi o sviluppare patologie croniche e invalidanti; ha più probabilità di morire giovane; ha più difficoltà a concentrarsi o svolgere attività complesse; e ha più probabilità di ottenere risultati scadenti durante la formazione. L’India perde circa il 4% del Pil ogni anno a causa delle conseguenze della malnutrizione. Inoltre, i dati sulla malnutrizione infantile erano tragicamente più alti all’inizio del 21esimo secolo (quando erano bambini i più giovani lavoratori di oggi) e ancor più negli anni ’60 (quando erano bambini i più anziani lavoratori di oggi). Questo indica che la stragrande maggioranza della forza lavoro indiana presenta deficit cognitivi e di salute dovuti alla malnutrizione – a cui si aggiungono quelli derivanti dagli scarsi livelli educativi – che ne limita la produttività e frena lo sviluppo economico.
Infine, il capitale umano non è utilizzato in maniera efficiente. Circa la metà della potenziale forza lavoro – le donne – partecipa pochissimo (e sempre di meno) al mercato del lavoro, sia per ragioni culturali, sia per l’incapacità del sistema di generare posti di lavoro. Il tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro è del 19%, più basso di quello dell’Arabia Saudita (31%), per non parlare della Cina (62%) o del Vietnam (70%). Ciò spiega perché la forza lavoro indiana nel suo complesso stia diminuendo, nonostante il Paese si trovi nel mezzo del dividendo demografico.

Le sfide ambientali

Le sfide che l’India si troverà ad affrontare sul piano economico si aggiungono a quelle ambientali. Nove delle dieci città più inquinate al mondo sono in India. L’inquinamento atmosferico riduce la vita di un residente di Delhi di circa dieci anni ed è la prima causa di morte nel Paese. Inoltre, la qualità dell’aria ha un impatto molto forte sulle capacità di apprendimento dei bambini sia contribuendo alla malnutrizione sia riducendone le capacità di apprendimento e di concentrazione (oltre ai giorni di scuola persi a causa delle chiusure dovute ad eccessivi livelli di inquinamento).
La pessima qualità dell’aria in molte realtà urbane si combina con la necessità di ridurre le emissioni di gas serra. L’India è il terzo Paese per emissioni, anche se la quantità di emissioni pro capite è molto bassa (circa sette volte inferiore a quella degli Stati Uniti e quattro volte meno della Cina). Ciò è almeno in parte dovuto al fatto che la classe media – il motore dei consumi – rimane molto piccola: solo 84 milioni di persone guadagno più di 10 dollari al giorno (contro 758 milioni di cinesi). L’India ha promesso di raggiungere le zero emissioni nel 2070, ma i target intermedi appaiono poco ambiziosi. La priorità del Paese è lo sviluppo economico e l’India – assieme a una buona parte del Sud Globale – si sente intitolata alla propria quota di emissioni. Non sarà facile combinare le aspettative dei partner internazionali di Delhi con quelle della propria popolazione, una larga parte della quale (45%), vive al di sotto della soglia di povertà.
Tutto ciò non vuol dire che l’India non sia destinata a crescere molto velocemente negli anni a venire. Il Paese è e rimarrà su una traiettoria di crescita molto sostenuta, nonostante sia difficile immaginare che il dividendo demografico sia sfruttato a pieno (come ha fatto la Cina).