mercoledì 26 luglio 2023

DA ADISTA

8 per mille: la lenta deriva della Chiesa cattolica

Luca Kocci — Adista Notizie n° 27 del 29/07/2023


41541 ROMA-ADISTA. È un’emorragia lenta, ma progressiva e costante, quella del numero dei contribuenti che sceglie di destinare l’otto per mille del proprio Irpef alla Chiesa cattolica. Di conseguenza diminuisce anche l’importo a disposizione della Conferenza episcopale italiana, che tuttavia, sebbene di pochissimo, resta ancora al di sopra al miliardo di euro.

Quest’anno infatti – sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2020 – alla Chiesa cattolica è stato assegnato 1 miliardo e 3 milioni di euro, appena sopra quanto Adista aveva previsto lo scorso anno, ipotizzando che la cifra sarebbe scesa sotto il miliardo di euro (v. Adista Notizie n. 23/22). Si tratta di oltre cento milioni in meno rispetto a quanto incassato nel 2022, quando la cifra fu pari a 1 miliardo e 111 milioni di euro (anche perché lo scorso anno ci fu un conguaglio aggiuntivo di 20 milioni, quest’anno invece la Cei ha dovuto restituire allo Stato 36 milioni di euro).

Ma a essere diminuiti, più che i soldi, sono i contribuenti: se infatti nel rendiconto 2022 a firmare per la Chiesa cattolica furono 13 milioni di cittadine e cittadini (precisamente 13.168.541), quest’anno il numero è sceso a 12 milioni (precisamente 12.064.379), con un calo di oltre un milione di firme. E le cose non miglioreranno nel futuro: il prossimo anno (quindi dichiarazioni dei redditi 2021, con otto per mille assegnato nel 2024), in base alle anticipazioni fornite dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il numero scenderà sotto i 12 milioni (11.795.699, oltre 260mila firme in meno), e fra due anni (dichiarazioni redditi 2022, otto per mille assegnato nel 2025) per la Chiesa cattolica ci sarà un ulteriore calo di duecentomila firme (11.590.321). In termini percentuali, il trend negativo è evidente: nel rendiconto di quest’anno 2023, risulta che ha firmato per la Chiesa cattolica il 29 per cento dei contribuenti, nel 2024 la percentuale scenderà al 28,64 e nel 2025 al 27,93, avvicinandosi sempre più alla soglia psicologica del 25 per cento, quando cioè solo un cittadino su quattro sceglierà di destinare il proprio otto per mille alla Chiesa cattolica.

È però l’intero sistema dell’otto per mille a manifestare segnali di crisi, con circa centomila contribuenti che ogni anno scelgono di non destinare a nessuno – secondo loro – il proprio otto per mille: nel rendiconto 2023 le firme valide sono state 16.818.511, nel 2024 saranno quasi sessantamila in meno (16.761.220), nel 2025 altre novantamila in meno (16.672.687): in termini complessivi, quasi due contribuenti su tre (il 59 per cento) lasciano in bianco la casella dell’otto per mille. 

Ma questo non significa, come alcuni erroneamente pensano, che non firmando per nessuno, l’otto per mille non vada a nessuno, resti nelle tasche del contribuente oppure vada automaticamente allo Stato. Il meccanismo infatti – come Adista spiega da anni – prevede la ripartizione delle quote non espresse in maniera proporzionale alle firme ottenute, cosa che per esempio consente alla Chiesa cattolica di incassare circa il 70 per cento delle somme (quest’anno il 71 per cento, il prossimo il 70, nel 2025 il 69), pur ottenendo, come abbiamo visto, una percentuale di firme ormai ben al di sotto del 30 per cento.

Per quanto riguarda la ripartizione dei fondi, l’Assemblea generale della Cei ha complessivamente confermato le scelte degli ultimi anni: un quarto del miliardo incassato viene destinato agli interventi caritativi (anche se la campagna pubblicitaria per l’otto per mille lascia intendere, come al solito, che la percentuale sia molto più alta), i restanti tre quarti sono utilizzati per il sostentamento del clero e per le esigenze di culto e pastorale. 

In particolare agli interventi caritativi sono stati destinati 243 milioni di euro (24% del totale), 40 milioni in meno del 2022, così suddivisi: 150 milioni alle diocesi, 80 per il «Terzo mondo» e 13 per «esigenze di rilievo nazionale». A «culto e pastorale» sono stati destinati 352 milioni, 15 in meno dello scorso anno ma due punti percentuale in più (35% del totale), di cui 158 milioni alle diocesi per culto e pastorale, 109 per l’edilizia di culto, 35 per la catechesi e l’educazione cristiana, 8 per i tribunali ecclesiastici regionali e 42 per non specificate «esigenze di rilievo nazionale». Al sostentamento del clero sono stati riservati 403 milioni, 7 in meno dello scorso anno ma 3 punti percentuale in più (il 40% del totale). In cassa restano 5 milioni, accantonati «a futura destinazione per culto, pastorale e carità».