E l'Onu pensa a una task force internazionale armata
Il Manifesto, 23 luglio
All'ospedale di Medici senza Frontiere a Tabarre, comune dell'arrondissement di Port-au-Prince, le visite ambulatoriali sono riprese, ma, fa sapere l'organizzazione, per il ritorno alla normalità ci vorrà tempo. Tutte le attività mediche per la cura di traumi e ustioni sono state infatti sospese da quando, nella notte tra il 6 e il 7 luglio, circa 20 uomini armati hanno fatto irruzione all'ospedale per portarsi via un paziente con ferite di arma da fuoco che si trovava ancora in sala operatoria.
«C'È UN SENSO DI DISPREZZO per la vita umana e una tale violenza a Port-au-Prince che nemmeno le persone vulnerabili, i malati e i feriti vengono risparmiati. Come possiamo noi, operatori sanitari, continuare a fornire un supporto in questo clima?», ha dichiarato il responsabile dei programmi di MSF ad Haiti Mahaman Bachard Iro.
Ma gli attacchi alle strutture mediche neanche sorprendono più in un paese in buona parte controllato dalle bande criminali, le quali, create dai partiti e dalle famiglie dell'élite per i propri scopi, vivono ora di vita propria, seminando morte e terrore tra la popolazione. E alla violenza si aggiunge tutto il resto: metà degli haitiani soffre la fame; c'è stata una nuova epidemia di colera; l'accesso all'elettricità è minimo; non c'è più un sistema di giustizia penale funzionante; molte persone non hanno neppure un documento di identità.
Lo stato brilla per la sua assenza. Quel che restava delle istituzioni democratiche ci ha pensato a smantellarlo il presidente (non eletto) e primo ministro ad interim Ariel Henry, succeduto a Jovenel Moïse dopo il suo assassinio – mai chiarito – nel 2021 e ampiamente e ripetutamente ripudiato dalla popolazione haitiana, che anche venerdì è scesa in strada per chiedere le sue dimissioni.
Per consolidare il suo potere, a Henry è stato sufficiente elaborare insieme ai suoi alleati, nel dicembre del 2022, un «Documento di consenso nazionale per una transizione inclusiva ed elezioni giuste» che di consensuale non aveva nulla, lasciando fuori importanti attori politici e le principali organizzazioni di diritti umani.
ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE – Usa, Francia e Canada in testa – il documento è bastato tuttavia per continuare a sostenere e a finanziare il presidente, malgrado i suoi vincoli con uno dei principali sospettati dell'omicidio di Moïse, Joseph Felix Badio, oggi latitante, da cui aveva ricevuto due telefonate la notte dell'omicidio. Come se non bastasse – secondo quanto ha rivelato sul New York Times del 13 luglio il ricercatore del Center for Economic and Policy Research Jake Johnston – quando l'ex procuratore capo delle indagini sull'assassinio, Bed-Ford Claude, lo aveva citato per un interrogatorio, Henry non solo lo aveva ignorato, ma aveva ordinato al ministro della Giustizia Rockefeller Vincent di dargli il benservito. Quindi, al rifiuto di quest'ultimo, «aveva licenziato entrambi».
CIONONOSTANTE, il 5 luglio, il segretario di Stato Usa Antony J. Blinken, durante un incontro con Henry in Trinidad e Tobago, gli ha ribadito il fermo sostegno degli Stati uniti in termini di assistenza umanitaria, economica e militare, concordando con lui sull'urgenza di dispiegare una task force multinazionale autorizzata dall'Onu per aiutare a combattere la violenza e alleviare la crisi umanitaria nel paese.
E allo stesso modo, il 14 luglio, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si è espresso a favore dell'invio di una forza internazionale, incaricando il segretario generale António Guterres di presentare entro un mese un rapporto dettagliato con «lo spettro completo di azioni di sostegno che l'Onu potrebbe offrire per migliorare la situazione della sicurezza».