L'operazione contro Jenin accontenta i coloni
Anshel Pfeffer, Haaretz, Israele
Qual è stato l'obiettivo dell'operazione israeliana a Jenin, cominciata poco dopo la mezzanotte del 3 luglio? La risposta dipende dalle fonti dei giornalisti. Secondo alcuni politici di alto livello lo scopo era "mettere fine al ruolo di Jenin come rifugio sicuro per il terrorismo" e "preparare il terreno per il ritorno dell'Autorità Nazionale Palestinese". L'intervento doveva durare "tutto il tempo necessario". Dalle dichiarazioni ufficiali dell'esercito è emerso invece che si trattava di una "operazione limitata contro le infrastrutture del terrore", la cui durata era prevista "tra le 24 e le 48 ore". I militari hanno sottolineato che, pur essendo più vasta e potente rispetto ai raid precedenti, l'incursione fa parte di una serie, e aveva come obiettivo solo l'area del campo profughi di Jenin, che si estende per meno di un chilometro quadrato.
Le diverse sfumature tra politici e militari non sono casuali. L'operazione è stata un compromesso tra la soluzione dall'esercito, che preferisce continuare con raid di poche ore su scala relativamente ridotta a Jenin, e le richieste degli esponenti di estrema destra del governo di Benjamin Netanyahu.
Cos'è cambiato
Un'incursione più grande a Jenin è stata presa in considerazione per più di un anno, da quando l'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) ha perso il controllo della città e il suo campo profughi è diventato un centro per le bande armate palestinesi, che compiono attentati in Cisgiordania e in Israele. Ma l'esercito non era d'accordo con un'operazione simile, e nemmeno i tre primi ministri che si sono avvicendati -Naftali Bennett, Yair Lapid e Netanyahu - l'hanno sostenuta con decisione, temendo una potenziale escalation e perdite consistenti. Tutto è cambiato il 19 giugno, quando un'altra incursione di routine per un arresto è andata storta. La Brigata Jenin ha sorpreso l'esercito israeliano usando ordigni esplosivi più potenti e sofisticati rispetto al passato, riuscendo a fermare i blindati. Sette palestinesi sono stati uccisi mentre i militari cercavano di venirne fuori, e gli ufficiali hanno ammesso che il bilancio avrebbe potuto essere molto più alto da entrambe le parti. Tornare a Jenin, con forze molto più numerose, per arrestare chi fabbrica bombe e distruggere i suoi laboratori è diventata una priorità.
Il giorno dopo c'è stata una sparatoria vicino all'insediamento di Eli, in cui sono stati uccisi quattro coloni israeliani. Anche se sembra essere stata una vendetta per quello che era successo a Jenin, i responsabili (che sono stati uccisi) non provenivano dalla città. Ma questo non importava ai coloni e ai loro rappresentanti nel governo.
L'incursione che ne è seguita, con un'intera brigata per le operazioni speciali, soldati di altre unità e la copertura aerea dei droni, è stata probabilmente più grande di quello che l'esercito aveva previsto se non avesse dovuto fornire anche uno spettacolo per i politici. Non è quello che il ministro estremista Ben Gvir e i suoi seguaci avevano chiesto, ma almeno permette a Netanyahu di dare l'impressione che sta agendo con decisione e ai suoi alleati di affermare che sono cambiate le regole del gioco.
I coloni hanno trascorso le ultime settimane a criticare i generali per non aver fatto abbastanza contro il terrorismo. Resta da vedere se saranno soddisfatti dopo che l'esercito si è ritirato senza aver raggiunto il livello di distruzione da loro immaginato. Dl
Internazionale, 7 luglio