Quell'arte difficile da imparare
Luigi Russo
No, non è l'arte di stare bene e di sentirsi felici e a posto, quella da imparare. Nonostante ore di formazione e di cultura orientata al pensiero positivo, al benessere; nonostante una certa narrazione polarizzata sulla demonizzazione e quindi sull'evitamento di tutte le situazioni che possano frapporsi, ostacolare, inficiare la felicità. La prestazione mette ansia? Togliamo la prestazione. Un giudizio ferisce? Evitiamo il giudizio. Un rifiuto fa soffrire? Non è possibile! È insopportabile, è inaccettabile, il rifiuto quanto il (la) rifiutante! È una sorta di circolo vizioso, di vortice: impariamo a evitare, a eludere, a neutralizzare le situazioni che potenzialmente ci mettono nelle condizioni di percepire quelle emozioni che dovrebbero svolgere una funzione evolutiva completamente diversa: metterci nelle condizioni di fronteggiare, manovrare, tollerare le situazioni lasciandoci guidare da quelle emozioni che dovremmo solo accettare, modulare, regolare, accogliere e ascoltare. Molte situazioni dei nostri giorni possono essere lette attraverso questa lente: evitiamo le situazioni per non sentire le emozioni che mai impareremo a gestire e ci ritroviamo fragili, indifesi, pericolosamente al limite per noi e per gli altri. Non sappiamo che cosa farcene della tristezza e della nostalgia in un lutto o in un abbandono; non sappiamo che cosa farcene della frustrazione e della rabbia di un rifiuto, di una valutazione negativa, di un giudizio; non sappiamo che farcene della paura di una competizione, di un esame; non sappiamo manovrare attese, desideri, sogni almeno nel disagio che sempre comporta il tempo della loro realizzazione. Fragili, soli in un marasma emotivo che rischia di trasformarsi in una fuga che ha l'unico obiettivo di sottrarsi da quella situazione, costi quel che costi, una fuga di quelle confuse che non tiene conto di niente e di nessuno, né di sé, né degli altri.
Le parole di Rilke danno voce a un pensiero differente, a una riflessione diversa. E, declinato in ambito pedagogico ed educativo, sollecita una prassi differente. L'arte difficile da imparare, prima di insegnarla, è quella di maneggiare il disagio, la tristezza, la rabbia, la paura, ovvero tutte quelle emozioni che accompagnano l'esperienza umana che comporta proprio la percezione del limite, della fragilità, della incompletezza, del potere limitato, del ritrovarsi a volte in zone d'ombra e periferiche, altre in zone di disagio, altre di solitudine. Arte difficile da imparare, e quindi da insegnare, è rimettere nel nostro vocabolario corporeo quelle sensazioni senza dubbio spiacevoli che prendono il nome di tristezza, nostalgia, paura, desiderio, attesa, frustrazione, disagio. Imparare e insegnare che quel repertorio fisico che rifuggiamo ha un valore comunicativo fondamentale per la nostra crescita umana, è il codice umano: anche il corpo dell'animale prova emozioni di fronte a situazioni che sono facilmente decodificabili: uno più forte si avvicina? Ecco la paura; uno tenta di invadere il tuo territorio, eccola tra ringhi e denti visibili, la rabbia; l'animale è ferito e dunque vulnerabile? Eccola la tristezza che sposta dal branco per recuperare le forze. Ma negli umani, questo stesso corpo racconta non solo situazioni, ma significati attribuiti alle situazioni. Significati di me, di te, dell'altro, del mondo, di Dio, tutto letto e filtrato da una strana cosa che si chiama vissuto e che è l'estratto di ogni individuo, fatto com'è della sua storia, dei suoi incontri, dei suoi geni e dell'interazione con gli altri. Ridare il giusto posto alle emozioni vuol dire imparare e insegnare ad ascoltare quelle sensazioni, a starci dentro, a farsi interrogare, a tentare di rispondere consapevolmente a quelle sensazioni di pericolo, di insicurezza, di disagio. È un'arte da imparare quella di ridare nome a queste emozioni, di riconoscerle, di riconoscere il loro potenziale di accesso a noi stessi e alla nostra profondità, a quel luogo dove nascono le intenzioni cattive, chiamiamolo cuore, o coscienza, o come uno crede. È arte da imparare lasciar l'un l'altro a sé; definisce un percorso doloroso, difficile, impegnativo, serio proprio perché comporta uno stare dentro a sensazioni di sconfitta, di perdita, di limite, di percezione di non essere al centro del mondo né onnipotente. Forse c'è bisogno di tentare di rallentare quel vortice (fermarlo è impossibile) e promuovere un'azione culturale, educativa e formativa che ricominci proprio dal lasciare e dalle sensazioni che lo accompagnano. Chissà forse un piccolo d'uomo sperimenterà che è proprio imparare a gestire quelle emozioni che rende più forti, più capaci, più flessibili, più resilienti? Chissà forse anche noi adulti impareremo un modo diverso per stare accanto ai più piccoli in situazioni difficili, un po' più sereni e convinti che stiamo aiutando a crescere? Chissà forse ci verrà in mente una dinamica che ha a che fare con il dolore e con il suo posto nelle nostre vite che, come cristiani, chiamiamo croce?
Rocca, 15 luglio