giovedì 19 ottobre 2023

CHIAMARLI CPR È UNA TRUFFA

IL LORO NOME È: GALERE

 

Andrea Pugiotto

 

1.Mentre gira la giostra di delegittimazione della giudice Apostolico, si perde sullo sfondo ciò che deve restare al centro della scena: le ragioni per cui la sua ordinanza (Trib. Catania, Sez. Immigrazione, 29 settembre 2023) non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini entrati irregolarmente in Italia. Se impugnata dal Governo, sarà la Cassazione a valutarne la correttezza giuridica. Ma non potrà certo contestarne la premessa generale, secondo cui «il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale». Una premessa ora ribadita dall'ordinanza emessa da altro giudice dello stesso tribunale (in data 8 ottobre 2023): cercasi video.

Invece di partecipare al rodeo polemico in corso, di questo servirebbe ragionare: di una detenzione formalmente amministrativa che maschera una misura sostanzialmente penale, in assenza di colpa e di reato e che, quanto a durata, tocca oggi la vetta dolomitica dei 18 mesi.

2. Ufficialmente, il nostro ordinamento nega ogni assimilazione tra centri per migranti e circuito penitenziario. Ma una bugia, per quanto scritta in Gazzetta Ufficiale, resta sempre una bugia.

Vale, innanzitutto, per gli acronimi con cui - nel tempo – la legge li ha battezzati: CPTA, CPT, CIE, CPR. Sono falsi nomi scelti per non usare quello corrente in Europa, «centri di detenzione amministrativa», che ha il difetto di richiamare la condizione di un soggetto in vinculis, nella disponibilità fisica dello Stato. La detenzione, infatti, era la misura restrittiva della libertà personale, alternativa alla reclusione, che il codice penale Zanardelli stabiliva per i reati meno gravi. Ne reca ancora traccia la lingua italiana, dove la parola è sinonimo di prigionia, carcerazione. Lo conferma l'art. 13 Cost., il cui 2° comma include la detenzione tra le forme restrittive della libertà personale.

Evitando quel nome, si è tentato di accreditare la tesi minimalista di un trattenimento che inciderebbe solo sulla libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), senza coartare la libertà personale del migrante, intendendo così sottrarre la misura alle garanzie proprie dell'habeas corpus. Detenzione», dunque, è un nome indicibile perché presenta l'inconveniente di indicare i centri per quello che sono: una «galera amministrativa».

 

3. È stata la Corte costituzionale – in solido con la Corte EDU - a smentire queste falsificazioni semantiche. Sia il trattenimento nei centri (sent. n. 105/2001), sia il respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera (sent. n. 275/2017) determinano «quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà personale». Non a caso, i garanti dei diritti dei detenuti esercitano le proprie funzioni anche all'interno dei CPR e il Garante nazionale in qualsiasi struttura analoga, finanche negli aerei usati per il rimpatrio.

 

L'Unità, 10 ottobre 2023