"Il disagio psichico cresce ma mancano medici e infermieri, così i giovani sono più a rischio"
di Giulia D'Aleo
In un sistema sanitario in apprensione, che sconta scarsità di organico e continui tagli alla spesa, la salute mentale è l'ultima ruota del carro, destinataria di appena il 3% del fondo sanitario nazionale. Per Vincenzo Villari, direttore del servizio di Psichiatria dell'ospedale Molinette, questa carenza strutturale, che colpisce l'intera rete di servizi, fa sì che si lavori «in affanno per l'urgenza, ancora di più per la prevenzione».
Che difficoltà riscontrate?
«La struttura ospedaliera fa il possibile, ma la mancanza di medici e infermieri è la causa d i turni spesso scoperti e rende difficile tenere i servizi sempre aperti. È un problema nazionale che non riguarda solo gli ospedali, ma tutto il sistema. Diventa complicato fornire un ventaglio di offerte integrate tra loro, come residenzialità terapeutiche, progetti di riabilitazione o di prevenzione, per le quali c'è bisogno di un organico robusto, oltre che di più fondi. Invece dobbiamo far rientrare tutto in un budget fisso, che è persino in progressiva riduzione».
Quali sono le conseguenze?
«Abbiamo notato soprattutto una maggiore richiesta di interventi in pronto soccorso, che non è mai un bene, perché dovrebbero essere limitati solo alle situazioni più gravi.
A volte ci si rivolge lì perché non si sa bene dove andare. Ma all'esordio di un disturbo, quando ancora non si sa bene di cosa si tratti, il primo punto di riferimento dovrebbe essere il medico generale. Poi, se necessario, si viene indirizzati ai dipartimenti di salute mentale sparsi su tutto il territorio. Solo quando nessuno di questi strumenti è sufficiente, allora si opta per l'emergenza ospedaliera.
Ma è un lavoro che si fa sempre in rete. Se si saltano i primi filtri, è anche possibile che alcuni casi critici non vengano presi in tempo».
Ad esempio?
«Succede spesso con il disagio giovanile. Il numero di ragazzi che ha bisogno di assistenza è cresciuto tanto negli ultimi anni, ma non sempre diventano degli utenti dei servizi territoriali. A volte li intercettiamo solo in pronto soccorso, con il rischio che arrivino con una sintomatologia già grave, su cui si sarebbe potuto intervenire prima e in modo più efficace».
E quando si ricorre il ricovero?
«Nei casi estremi. È un provvedimento che si prende quando si ha un discontrollo del comportamento, con rischio di violenza o di suicidio, per dedicare al paziente un'assistenza intensiva».
Anche nel caso dei minorenni?
«Capita che vengano ricoverati da noi, negli ultimi tempi un po' meno, ma non dovrebbe accadere. Succede quando il reparto di Neuropsichiatria infantile del Regina Margherita è pieno. Però cerchiamo di tenerli in stanze separate dagli adulti, se gli spazi lo consentono, e chiediamo che ciascuno venga seguito sia da un educatore che da un familiare 24 ore su 24».
Quali sono i disturbi che li colpiscono di più?
«Quelli alimentari e le dipendenze da sostanze. Ma anche l'uso compulsivo delle tecnologie, di internet, dei videogiochi o del gioco d'azzardo.
Quelle "addiction" che non hanno più uno scopo ludico, ma interferiscono con la vita quotidiana e sul rendimento scolastico».
In generale quali sono i disturbi più frequenti?
«Negli ultimi anni c'è stato un significativo aumento di disturbi d'ansia e depressione, sia negli adulti che nei giovani. A livello nazionale sono arrivati al 15-20% del totale, ma anche noi abbiamo potuto sperimentarlo. Spesso vengono correlati al Covid, ma io credo che questo abbia funzionato solo da acceleratore di disagi più profondi».
La Repubblica, 11 ottobre 2023