lunedì 8 gennaio 2024

DISAGIO GIOVANILE

 Rocca - 1 novembre 2023

Disagio giovanile: il paradigma pedagogico
di Luigi Russo

Da più parti, con toni diversi, periodicamente, viene richiamata l'attenzione sociale sul cosiddetto <<disagio giovanile>>. Neanche a dirlo lo si fa solitamente per descrivere situazioni in cui i giovani diventano protagonisti di condotte lesive per sé, per gli altri, per il mondo: violenza, uso di sostanze, abbandono scolastico, distruttività, spavalderia, non rispetto dei luoghi e delle persone. La categoria di <<disagio giovanile>> è un tentativo di spiegare l'eziologia di tutte queste manifestazioni: ci sarebbe un nucleo di sofferenza che non farebbe sentire  <<a posto>> nel mondo, insieme agli altri, i giovani. Si elencano e si discutono possibili cause e, al contempo, si propongono soluzioni prevalentemente polarizzate su un approccio <<medico-chirurgico>>: interventi basati sul concetto di cura delle ferite, qualche tentativo di medicarle, di mettere cerotti, di isolamento, di separazione. A volte, considerando il disagio giovanile come una <<piaga sociale>> si scelgono anche strategie di intervento per isolare, drenare, pulire il corpo sano della società da queste piaghe. Questo approccio fonda su uno sguardo nell'immediato, uno sguardo all'urgenza e all'emergenza.
Allo stesso disagio giovanile, però, ci si può riferire utilizzando un altro paradigma, quello pedagogico che vede lo stesso fenomeno come l'espressione di un lento, progressivo, processo culturale che orienta i nostri funzionamenti, la nostra percezione del mondo, di noi stessi, degli altri. <<Attraverso gli altri diventiamo noi stessi>> diceva Lev Vygotskji, psicologo russo definito il Mozart della psicologia. <<Attraverso>> segna un percorso lungo in cui sono messe in risalto le interazioni all'interno delle quali cresciamo: dall'ambiente uterino alle prime relazioni, dalla famiglia allargata, all'asilo nido, alla scuola materna; dal paese, alla città, agli ambienti sociali, ricreativi, sportivi. Dall'ambiente immediatamente fruibile a quello che arriva attraverso uno schermo sia esso una Tv, un cellulare, un Pc, un libro, una rivista. Attraverso tutto questo, dice Vygotskij, diventiamo noi stessi. Lo aveva descritto bene questo processo definito storico-culturale: <<Potremmo formulare come segue la legge genetica generale dello sviluppo culturale: ogni funzione nel corso dello sviluppo culturale del bambino fa la sua apparizione due volte, su due piani diversi, prima su quello sociale, poi su quello psicologico, dapprima tra le persone, come categoria interpsichica, poi all'interno del bambino, come categoria intrapsichica. (...) Dietro a tutte le funzioni superiori e ai loro rapporti stanno geneticamente delle relazioni sociali, relazioni reali tra gli uomini>>. Le relazioni sociali dunque, intese come sopra, rappresenterebbero il luogo della nostra genesi come uomini e donne. L'assunzione di questo paradigma in cui l'adulto diventa strumento e responsabile della costruzione dell'ambiente e della cultura, richiede uno sguardo orientato su un tempo e uno spazio che non è quello dell'urgenza e dell'emergenza. Richiede un progetto educativo, culturale, che, una volta analizzate le cause del possibile disagio, non si limiti a interventi chirurgici ma a modificare il processo che ha influenzato la nascita di quel disagio.
Uno sguardo che va ben oltre le 30 ore di un progetto per l'educazione emozionale, che prevede azioni che cambino la rotta pur consapevoli che potremmo non vedere gli effetti della nuova rotta perché occorre tempo, tanto tempo; occorrono energie, investimenti e, specialmente, la condivisione tra gli adulti di un paradigma alternativo o da affiancare a quello medico-chirurgico. Un paradigma pedagogico-culturale che riconosce alla base del cosiddetto <<disagio giovanile>> la difficoltà di molti giovani di regolare le proprie emozioni, di modulare il proprio comportamento, di vivere l'impegno, la responsabilità, il disagio, la sofferenza, la frustrazione; la difficoltà a vivere i momenti down che la vita inevitabilmente comporta; un paradigma di questo tipo interroga i genitori, l'educatore, il docente, il politico sul suo modo di dare significato al mondo giovanile ma anche al ruolo dell'adulto. La stesura di un progetto educativo o semplicemente la programmazione di un'azione educativa in qualsiasi contesto dovrebbe dunque partire da una domanda: quanto siamo consapevoli che, come adulti, proponendo un'azione educativa, stiamo costruendo un ambiente in cui i nostri figli cresceranno e diventeranno loro stessi? Uno sguardo lontano, responsabile, consapevole. Da adulti insomma.