domenica 28 aprile 2024

 GAZA, INFERNO A CIELO APERTO

Dopo sei mesi di intervento militare israeliano, la striscia di Gaza è ormai un immenso cimitero con un bilancio di vittime civili che, per il ministero della salute, controllato dal movimento Hamas, avrebbe superato i 32.000 morti.

Queste cifre, come sappiamo, sono contestate da Tel-Aviv- da cui non è stato diffuso alcun bilancio - ma a fine febbraio, di fronte a una commissione parlamentare, il segretario di Stato alla difesa statunitense, Lloyd Austin ha parlato in totale di 25.000 persone uccise prima che una portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, si affrettasse a precisare come quest'ultimo «citasse una stima del ministero della saute di Hamas».

Mentre prosegue il blocco degli aiuti alimentari internazionali da parte di Israele, gli abitanti di Gaza speravano in una tregua prima dell'11 marzo, giorno di inizio del mese di ramadan. Ma i negoziati tra il Mossad e Hamas, supportati dai diplomatici egiziani e qatarioti non hanno dato frutto. Uno stallo che getta nello sconforto le famiglie degli ostaggi detenuti dal movimento islamista e alimenta la protesta contro il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il capo del governo, molto restio sulle trattative al Cairo e a Doha, si preoccupa piuttosto di conquistare Rafah, città del sud dell'enclave in cui 1,5 milioni di palestinesi vivono intrappolati. «Ho detto che non avevamo la possibilità di smantellare Hamas senza entrare a Rafah e senza eliminare i battaglioni che resistono al suo interno.

Speriamo di farlo con il sostegno degli Stati uniti, ma se necessario lo faremo da soli», ha scandito Netanyahu dopo l'incontro a Tel-Aviv con il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, giunto nel tentativo di convincerlo a rinunciare all'attacco.

   In questo contesto, il Consiglio di sicurezza della Organizzazione delle Nazioni unite ha adottato, infine, il 25 marzo, una risoluzione in cui si esige il «cessate il fuoco immediato» a Gaza. Approvazione resa possibile dall'astensione degli Stati Uniti, anche se la Casa bianca, preoccupata di chetare Tel-Aviv, ha sollecitamente affermato che il testo non rappresentava un'«inversione di tendenza» nei rapporti israelo-statunitensi. Inoltre, Washington ha insistito sul carattere «non vincolante» della risoluzione. Una posizione ingannevole: la richiesta formulata dal testo è inequivocabile, e ogni decisione del Consiglio di sicurezza si inserisce nel diritto internazionale che ogni membro dell'Onu deve rispettare.

All'indomani del voto, sul campo, niente è cambiato. Israele continua a bombardare l'enclave e a proibire l'ingresso dei camion dell'Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (Unrwa).


AKRAM BELKAÏD (“Le Monde diplomatique”)