GAZA, INFERNO A CIELO APERTO
Dopo sei mesi di
intervento militare israeliano, la striscia di Gaza è ormai un immenso cimitero
con un bilancio di vittime civili che, per il ministero della salute,
controllato dal movimento Hamas, avrebbe superato i 32.000 morti.
Queste cifre, come
sappiamo, sono contestate da Tel-Aviv- da cui non è stato diffuso alcun
bilancio - ma a fine febbraio, di fronte a una commissione parlamentare, il
segretario di Stato alla difesa statunitense, Lloyd Austin ha parlato in totale
di 25.000 persone uccise prima che una portavoce del Pentagono, Sabrina Singh,
si affrettasse a precisare come quest'ultimo «citasse una stima del
ministero della saute di Hamas».
Mentre prosegue il blocco
degli aiuti alimentari internazionali da parte di Israele, gli abitanti di Gaza
speravano in una tregua prima dell'11 marzo, giorno di inizio del mese di
ramadan. Ma i negoziati tra il Mossad e Hamas, supportati dai diplomatici
egiziani e qatarioti non hanno dato frutto. Uno stallo che getta nello
sconforto le famiglie degli ostaggi detenuti dal movimento islamista e alimenta
la protesta contro il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il capo del governo,
molto restio sulle trattative al Cairo e a Doha, si preoccupa piuttosto di conquistare
Rafah, città del sud dell'enclave in cui 1,5 milioni di palestinesi vivono
intrappolati. «Ho detto che non avevamo la possibilità di smantellare Hamas
senza entrare a Rafah e senza eliminare i battaglioni che resistono al suo interno.
Speriamo di farlo con il
sostegno degli Stati uniti, ma se necessario lo faremo da soli», ha scandito Netanyahu dopo l'incontro a Tel-Aviv con il
segretario di Stato statunitense Antony Blinken, giunto nel tentativo di
convincerlo a rinunciare all'attacco.
In questo contesto, il
Consiglio di sicurezza della Organizzazione delle Nazioni unite ha adottato,
infine, il 25 marzo, una risoluzione in cui si esige il «cessate il fuoco
immediato» a Gaza. Approvazione resa possibile dall'astensione degli Stati Uniti,
anche se la Casa bianca, preoccupata di chetare Tel-Aviv, ha sollecitamente
affermato che il testo non rappresentava un'«inversione di tendenza» nei
rapporti israelo-statunitensi. Inoltre, Washington ha insistito sul carattere
«non vincolante» della risoluzione. Una posizione ingannevole: la richiesta
formulata dal testo è inequivocabile, e ogni decisione del Consiglio di
sicurezza si inserisce nel diritto internazionale che ogni membro dell'Onu deve
rispettare.
All'indomani del voto, sul
campo, niente è cambiato. Israele continua a bombardare l'enclave e a proibire
l'ingresso dei camion dell'Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione
dei profughi palestinesi nel vicino oriente (Unrwa).
AKRAM BELKAÏD (“Le Monde
diplomatique”)