Latina, ora nessun passo indietro
La manifestazione di
ieri pomeriggio a Latina, indetta dalla Flai Cgil e lo sciopero di due ore a
fine turno, proclamato per permettere ai braccianti di partecipare numerosi e
compatti al presidio, sono la prima dovuta risposta a una battaglia che deve
diventare nazionale e generale contro lo sfruttamento del lavoro.
Sfruttamento sempre più intollerabile e
disumano, ormai vera e propria moderna schiavitù, a cui sono sottoposti, in
particolare nelle regioni del Centro Sud, moltissimi lavoratori agricoli, resi
clandestini e quindi ricattabili da leggi securitarie che devono essere
abrogate senza tentennamenti.
Le lavoratrici e i lavoratori migranti sono
parte essenziale del moderno proletariato e sono ormai largamente maggioritari
in alcuni settori fondamentali: agricoltura, logistica, cura alla persona,
ristorazione, edilizia sono i lavori più duri e meno pagati anche quando
regolari e tutelati da contratti nazionali, figuriamoci quando il lavoro è in
nero. Si tratta di lavoratori e lavoratrici provenienti da ogni angolo del
pianeta, uomini e donne di origine asiatica, africana ed est europea.
Migliaia e migliaia di persone hanno affollato
dunque per ore la piazza principale di Latina, dove numerosi si sono succeduti
sul palco i rappresentanti della Flai, quasi tutti essi stessi lavoratori
immigrati, prima ancora che dirigenti sindacali.
La Flai, che unisce tutti i lavoratori del
comparto agro industriale, si è mobilitata a livello nazionale con delegazioni
provenienti anche da altre regioni italiane (in particolare Veneto e
Lombardia).
Oltre a loro dal palco sono intervenute le
associazioni della società civile, che hanno dato un valido contributo alla
riuscita della mobilitazione (tra queste Libera, Legambiente, Anpi, Emergency,
Amnesty International, Articolo 21, Rete No Bavaglio, Mediterranea Saving
Humans, Latina Bene Comune…)
Nella piazza si mischiavano inoltre bandiere dei
partiti di opposizione, PD, Avs, Rifondazione Comunista, P.C.I., P.C.L e i
militanti de La Comune e di Che Fare!
Acceso e appassionato l’intervento di Alice,
giovane rappresentante della Rete degli Studenti, presenti numerosi con
bandiere e striscioni. Alice ha saputo esprimere con passione i due sentimenti
predominanti nella piazza: la rabbia che accomunava tutti i partecipanti come
vera e propria chiamata alla lotta e la vergogna che provavamo tutti noi
militanti e attivisti italiani, vergogna per non aver fatto abbastanza per
prendere le distanze e contrapporci a quella parte nel nostro Paese razzista,
xenofoba e schiavista che lucra sullo sfruttamento delle nostre sorelle e
fratelli migranti e che pretende di rappresentarci, di parlare a nome nostro e
di governarci in spregio dei valori della nostra Costituzione.
Da ora quindi non è ammissibile nessun
cedimento: occorre dire basta alla barbarie della Bossi Fini e di tutte le
leggi sicurezza anti-immigrati, basta alla reclusione amministrativa nei Cpr,
alle complicità italiane nelle infinite stragi in mare, agli accordi con Libia,
Tunisia, Albania… per fare la guerra ai migranti costi quel che costi.
Occorre contrastare non soltanto i caporali, ma
prima di tutto padroncini e padroni, gli schiavisti del terzo millennio,
protetti grazie alle loro collusioni con camorristi e neofascisti.
Bisogna pensare a un nuovo modello di
agricoltura alternativo alla produzione massiccia di prodotti ottenuti grazie
all’impiego di pesticidi e di fertilizzanti chimici venduti a basso prezzo, ma
con lauti profitti, anche grazie allo sfruttamento intollerabile dei
braccianti.
Tocca al contrario promuovere e sostenere
prodotti di alta qualità, con la valorizzazione delle eccellenze e tipicità
locali, prodotti biologici realizzati da aziende gestite da VERE cooperative di
contadini ex braccianti, dove lavorino fianco a fianco giovani italiani e
lavoratori immigrati…
Questi punti devono diventare imprescindibili,
insieme alla lotta contro le guerre e al riarmo, di una vera opposizione di
massa al governo delle destre e per una vera alternativa per una società più
umana, fraterna e giusta, che non dimentichi mai il sacrificio inaccettabile di
Satnam Singh e le sofferenze e i bisogni della sua famiglia. Che non dimentichi
i tanti, troppi, Satnam Singh vittime di un sistema disumano e assassino che
noi ci ostiniamo a chiamare capitalismo neoliberista.