L’INTERVENTO DEL PONTEFICE AL G7: perché papa Francesco si sta interessando all’intelligenza artificiale
Sarebbe stato difficile immaginare che dai guru della
tecnocrazia, della ricerca e della finanza impegnate nello sviluppo e nell'accreditamento
politico e sociale dell'Ia e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
potesse venire una
dichiarazione come questa: «L'intelligenza artificiale potrebbe
portare all'estinzione dell'umanità». Tardivo ammonimento - ben
sintetizzato da Yuval Harari su The Economist - che prendendo il
controllo del linguaggio in generale nell'ambiente sempre più
mediale della nostra società, l’Ia ha in sostanza hackerato il sistema
operativo della nostra civiltà.
Preoccupazioni non opinabili o apocalittiche, da prendere assolutamente
sul serio. È questo che Francesco è andato a dire al G7, a ridosso del primo
significativo di regolamentazione dell’Ia con il recentissimo Ai Act
dell’Unione europea. Ict e Ia stanno
ri-ontologizzando il "mondo". Ne stanno, cioè,
ridefinendo il DeepMind (Google sa su cosa lavora), la mente profonda", la
"mente estesa", da cui emerge la specificità della nostra specie:
fondamentalmente la consapevolezza della sua esperienza, della sua interazione
con il suo ambiente (sociale e naturale, cosale), che le dà individualità
autocentrata (la coscienza, l’io) e il suo correlato
"mondano". Se per mondo si intende l'emergenza dalla
natura di un nesso oggettivo-soggettivo, cioè di un vivente che opera il suo
ambiente in modo consapevole e ne viene operato, grazie a questa
consapevolezza, in modo elastico, relativamente libero", trascendendo e
potendo "manipolare" lo schema stimolo-risposta, se per mondo si
intende questo, intervenendo in modo sempre più
pervasivo sul DeepMind, sul modo in cui (il logos, direbbero i filosofi,
il nesso pensiero-linguaggio) si è costruita la correlazione specifica soggetto-oggetto
dell'anthropos, noi stiamo rischiando l'estinzione dell'umano conosciuto.
Che non è tanto la sua estinzione "fisica". Un bipede
in posizione eretta, magari potenziato e manipolato, organicamente
"migliorato", lo vedremo ancora andare in giro. E probabilmente a
ranghi ridotti, perché di "animali da lavoro", soprattutto di bassa
qualità, avremo (avremo chi, però?) sempre meno bisogno. Quello che rischiamo
di non vedere più tanto in giro è la "psichicità" come relativo
controllo di sé in quanto standard sociale di una massa, o alle masse
acquisibile; e cioè una coscienza libera diffusa. Una regressione illibera dell’azione
umana, guidata in modo ora suasivo, ora dispositivo, sempre coattiva, dall'algoritmo,
questo è in gioco. Oltre che cognitiva, come alcuni studi già segnalano
all'attenzione.
Quello cui siamo esposti dall'Ia come sistema operativo di un
mondo digitalizzato, l'infosfera, dove il digitate non è un operatore di
servizio della realtà analogica, ma all’inverso la opera presidiandone il
sistema operativo, il linguaggio, è una
dis-integrazione del regime corrente di integrazione
bio-psichico-sociale del nostro esserci, per un suo ri-assemblaggio
artificialista - artificiato - in una ontologia dell’essere sociale come social
web, dove si fa obsoleta la dicotomia tra vita reale e vita digitale, mettendo
in discussione - della vita "reale" – la struttura
bio-psico-socio-storica che la ha agita.
All'attenzione della chiesa c’è questo epocale cambio di "clima"
non dell'ambiente "esterno" all'umano (l'altra grande battaglia di
Francesco), ma del suo ambiente "interno", le reti neurali di
quell'animale sociale, fin qui analogico e non esposto alla sua
ridefinizione digitale, che è l’uomo. La difesa del senso della
"presenza" dell’umano, del nostro essere-al-mondo come presenza a noi
stessi: la "civiltà dello spirito", nei suoi fondamenti analogici.
Con il che Francesco non difende solo la possibilità per il messaggio cristiano
di rivolgersi all'uomo "libero", all’interiorità libera, richiesta da
una fede che non sia puro vincolo culturale della Legge ogni volta storicamente
data, ma la possibilità in genere dell’uomo di essere libero quanto meno per se
stesso, senza essere eterodiretto socialmente e al dettaglio della sua vita
individuale dalle demokrature digitali all’orizzonte. Dirlo al G7, ai paesi
custodi della "libertà dei moderni", quella scritta sulla fronte di
ogni singolo uomo come dignità della persona, e non solo sulle porte della
città (almeno delle città che contano davvero, la "libertà
degli antichi") non è poca cosa. Ed è un avviso ai naviganti, tutti, della
globalizzazione.
EUGENIO MAZZARELLA, filosofo
(da “Domani” del 14/6/2024)