Pubblichiamo questo contributo di Montanari fuori tempo massimo… ci pare comunque una riflessione che vale la pena leggere anche a elezioni avvenute
A Firenze e per le europee: cosa
voterò
Fra pochi giorni si voterà. E vincerà l’astensione. A ruota ci sarà la
destra: in tutta Europa, seppur con proporzioni verosimilmente diverse. È solo
auspicabile che la destra (questa pessima destra) non stravinca. La cosa, grave
sempre, è particolarmente preoccupante nell’attuale momento storico in cui
incombe, su tutto, la guerra. Si tratta, dunque, di elezioni importanti, anche
se circondate da una tensione mai così ridotta. Dare indicazioni di voto è
fuori dalla mission di Volere la Luna, che ha deciso di operare su altri piani,
e, dunque, ce ne asterremo, come abbiamo fatto nelle precedenti tornate
elettorali. C’è peraltro al nostro interno – come ovvio – un confronto aperto e
plurale. Di esso sono espressione i contributi di Livio Pepino e Tomaso Montanari
qui pubblicati. Sono contributi che impegnano solo i loro autori, ma crediamo
che i temi in essi prospettati ci accompagneranno nel dopo elezioni. Nella
speranza che alle prossime scadenze la sinistra (quel che di essa ancora resta
o quanto di nuovo nascerà) arrivi più preparata di oggi. (la redazione)
L’espulsione dei cittadini dalla democrazia è un processo che si impenna in
prossimità dei momenti ‘forti’ della ritualità democratica: quelli elettorali.
Con un paradosso solo apparente, la mancanza di reali alternative – la mancanza
di ‘qualcosa di decente da votare’ – rende proprio le elezioni l’occasione in
cui si avverte pienamente la distanza da ciò che resta della nostra democrazia.
E proprio coloro che avrebbero più bisogno, o più desiderio, di un reale
cambiamento finiscono con l’astenersi, aggiungendosi alla vera maggioranza, che
stavolta rischia di essere assoluta: quella di chi si chiama fuori. L’altra
faccia di questo processo di progressiva rinuncia alla democrazia, in Italia la
conosciamo bene: è la vittoria delle estreme destre.
Confesso pubblicamente che anche io, questa volta, sono stato profondamente
tentato dall’astensione. Certo: per nausea, senso di rigetto, di inutilità, di
resa. Ma anche per convinzione profonda che la politica, per come la intendo,
non abita più nei processi elettorali: con leggi, dinamiche, protagonisti,
linguaggi che con il milaniano “sortirne insieme” non hanno davvero nulla a che
fare. Eppure, no: non ci riesco. Il sangue delle partigiane e dei partigiani
sembra accusarmi: il prezzo pagato perché anche io potessi votare è stato
troppo alto perché ora possa rinunciare a farlo. Votare, sì, è anche un dovere:
non farlo significherebbe confessare pubblicamente che non c’è più nulla da
fare. Significherebbe in qualche modo affermare che va bene così: accettare,
cioè, che siano il mercato e la guerra a decidere della nostra vita e della
nostra morte. È già così, certo: ma che speranza rimane se rinunciamo anche
solo alla possibilità di una democrazia che ritrovi se stessa? E allora voterò.
Per chi, dunque?
Dovrò votare alle amministrative del mio Comune, Firenze. E alle Europee,
ovvio.
Per Firenze ci ho provato, in prima persona. Con la Associazione 11 agosto
(un’associazione che nasce ispirandosi in parte proprio a Volere la Luna)
abbiamo provato a offrire un’incubatrice per una sinistra larga, che fosse
capace di superare la destra andando al ballottaggio con il Pd. Lo scenario è
ben noto: a Firenze il Pd è il perno di un sistema di potere corrotto (cioè
guasto in senso morale e politico, non penale). Il sistema che ha generato
Matteo Renzi, e che di quel modo di intendere il potere è ancora profondamente
impregnato. Un sistema rimasto intatto dopo la vittoria di Elly Schlein: la
quale non ha avuto nessuno scrupolo a venirci a patti, dimostrando un cinismo
impressionante. La nostra idea era una coalizione che facesse perno su una
lista civica robusta, capace di esprimere un candidato sindaco forte e
autorevole (io ne sarei stato invece il capolista), e che tenesse insieme i
5Stelle, la sinistra dei piccoli partiti e la parte del Pd che era stata
espulsa dal sistema. Non ci siamo riusciti: Giuseppe Conte ha
incomprensibilmente preferito tentare fino all’ultimo di stare con questo
orribile Pd (venendone infine indecorosamente respinto); e la sinistrina,
settaria e frazionista, ha preferito il suo piccolissimo potere di ‘opposizione
di sistema’. A quel punto abbiamo deciso di non fare l’ennesima lista: l’idea
era cucire e fare la differenza, non dividere ancora e fare testimonianza.
Siamo stati coerenti e trasparenti, sì, ma questo non risolve il problema: chi
votare ora?
L’Associazione 11 agosto non ha dato indicazioni di voto (ovviamente salvo la
pregiudiziale antifascista, che vale anche se qua i camerati si nascondono
dietro l’imbarazzante figura dell’ex direttore degli Uffizi). Ma io
personalmente ho deciso, invece, di dire per chi voterò: e ho deciso di farlo
non indicando un candidato sindaco, ma un candidato al Consiglio comunale. La
possibilità del voto disgiunto permette infatti di distinguere, almeno in
teoria, le due cose. Fin dall’inizio, mi sono rifiutato di accettare la logica
personalistica imposta dal piccolo premierato comunale delineato dall’elezione
diretta. Questa è la malattia, non la cura. Anche per questo ho detto subito
che non mi sarei candidato io, a sindaco: perché non è certo il momento di
lasciare un posto di responsabilità apicale in una università, certo. Ma anche
perché non è con gli ometti della Provvidenza che si risolve qualcosa. E così
ora, ora che posso giocare liberamente le mie minuscole carte sul tavolo
democratico, voglio farlo per il Consiglio comunale: argomentando non sul capo,
il governo, la figura del leader. No: perché per nessuno di coloro che sono in
campo andrei a votare. Invece, mi interessa il luogo dei progetti, della
battaglia di idee, della trasparenza democratica, della visione, della
creazione collettiva di una idea di città. E lì vorrei proprio che ci fosse uno
come Marco Tognetti. Lo conosco da tanto tempo: stimo molto i suoi mentori (da
Beppe Matulli a Ugo Biggeri a Nicolò Bellanca, a molti altri), e penso che le
idee, lo stile, il progetto di questo giovane professore di economia siano
esattamente quello che avrei voluto portare in Consiglio comunale con la
coalizione più larga. E il fatto che sia candidato con Firenze Democratica (i
fuoriusciti dal Pd, per capirci) non è certo un ostacolo: del resto, mai avrei
potuto votare per un candidato di una delle forze che hanno pervicacemente
boicottato il tentativo di costruire qualcosa di nuovo, mentre Firenze
Democratica è stata l’unica che davvero ha provato a starci. Come si vede, nel
naufragio della politica anche io ho scelto di dare il mio voto a una singola
persona: non, però, candidata a comandare, bensì a servire.
Anche per le Europee, alla fine, ho scelto così: cercando le singole persone,
non i partiti. Anche perché, una volta tanto, si vota con il proporzionale:
quello che dovremmo ripristinare anche alle politiche per avere qualche
possibilità di salvare la nostra democrazia. E di persone che mi piacerebbe
votare non ne mancano, nelle liste del mio collegio. Marco Tarquinio, per
esempio. O Christian Raimo. O Ilaria Salis, naturalmente. Ci ho pensato: e
ovviamente non solo capisco benissimo chi farà una di queste scelte, ma anzi mi
permetto di esortare tutti quelli che comunque avrebbero votato Pd o Si a
scegliere questi nomi. Ma io non ce la faccio: per quanto contino le persone,
non riesco a votare per un Pd che ogni giorno deve precisare che la linea del
partito sulla guerra non è quella di Tarquinio: il quale infatti non è
capolista, come avrebbe dovuto essere, ed è anzi visibilmente isolato e
degradato a foglia di fico, o specchietto per le allodole. E nonostante
l’infinita stima per Raimo, e la gratitudine per il suo coraggio civile,
proprio non riesco a dare il voto a Sinistra Italiana, una forza che, con le
sue micrologiche di micropotere personale, sta nel tappo che impedisce la
nascita del nuovo, ed è parte del morto che porta a fondo il vivo: una realtà
che non sparisce grazie all’uso strumentale di bei nomi e ottime cause. Ma
ripeto, lungi da me qualsiasi volontà di giudicare le scelte di chi, in questo
deserto, invece farà proprio questo.
E allora, per chi? Allora voterò per Ali Rashid, Raniero La Valle e Angelica
Gatti. Il primo è primo segretario della Delegazione palestinese in Italia; il
secondo è un intellettuale che si batte con rara lucidità per la pace; la terza
è una giovane donna che ha scelto di usare le sue energie per dare gambe e
testa a questa proposta elettorale partita meritoriamente dal basso, senza
nessun aiuto e senza alleati. Capisco perfettamente chi non ha troppa simpatia
per Michele Santoro, o chi trova debole il progetto di questa lista: ma io
penso che in questo momento drammatico per le sorti del mondo vada sostenuto
chi sta con credibilità dalla parte delle vittime e della pace. Chi lo fa senza
nessun tornaconto personale, anzi avendo tutto da perdere e nulla da
guadagnare. Chi lo fa senza rischiare di trascinare al Parlamento Europeo partiti
che neghino poi quella causa. Rischia di essere, questo, un voto perduto? Nel
mio caso è un voto guadagnato, perché senza di loro avrei messo nell’urna una
scheda bianca. E una delle ragioni per cui lo dico è perché spero che siamo in
tanti, a fare questa scelta.
Sono perfettamente consapevole che le mie sono scelte deboli. Ma so anche che
in una politica dominata dalla forza, dal cinismo, dall’interesse personale e
dall’assenza di ogni progetto, l’unica possibilità di riscatto è cucire le
nostre debolezze, le nostre piccolezze e le nostre mancanze. Cercando –
parafraso Italo Calvino – in mezzo all’inferno ciò che inferno non è, dandogli
spazio, facendolo vivere.
Tomaso Montanari (da “Volerelaluna”, 5/6/24)