lunedì 10 giugno 2024

 Pubblichiamo questo contributo di Montanari fuori tempo massimo… ci pare comunque una riflessione che vale la pena leggere anche a elezioni avvenute

A Firenze e per le europee: cosa voterò

Fra pochi giorni si voterà. E vincerà l’astensione. A ruota ci sarà la destra: in tutta Europa, seppur con proporzioni verosimilmente diverse. È solo auspicabile che la destra (questa pessima destra) non stravinca. La cosa, grave sempre, è particolarmente preoccupante nell’attuale momento storico in cui incombe, su tutto, la guerra. Si tratta, dunque, di elezioni importanti, anche se circondate da una tensione mai così ridotta. Dare indicazioni di voto è fuori dalla mission di Volere la Luna, che ha deciso di operare su altri piani, e, dunque, ce ne asterremo, come abbiamo fatto nelle precedenti tornate elettorali. C’è peraltro al nostro interno – come ovvio – un confronto aperto e plurale. Di esso sono espressione i contributi di Livio Pepino e Tomaso Montanari qui pubblicati. Sono contributi che impegnano solo i loro autori, ma crediamo che i temi in essi prospettati ci accompagneranno nel dopo elezioni. Nella speranza che alle prossime scadenze la sinistra (quel che di essa ancora resta o quanto di nuovo nascerà) arrivi più preparata di oggi. (la redazione)
L’espulsione dei cittadini dalla democrazia è un processo che si impenna in prossimità dei momenti ‘forti’ della ritualità democratica: quelli elettorali. Con un paradosso solo apparente, la mancanza di reali alternative – la mancanza di ‘qualcosa di decente da votare’ – rende proprio le elezioni l’occasione in cui si avverte pienamente la distanza da ciò che resta della nostra democrazia. E proprio coloro che avrebbero più bisogno, o più desiderio, di un reale cambiamento finiscono con l’astenersi, aggiungendosi alla vera maggioranza, che stavolta rischia di essere assoluta: quella di chi si chiama fuori. L’altra faccia di questo processo di progressiva rinuncia alla democrazia, in Italia la conosciamo bene: è la vittoria delle estreme destre.
Confesso pubblicamente che anche io, questa volta, sono stato profondamente tentato dall’astensione. Certo: per nausea, senso di rigetto, di inutilità, di resa. Ma anche per convinzione profonda che la politica, per come la intendo, non abita più nei processi elettorali: con leggi, dinamiche, protagonisti, linguaggi che con il milaniano “sortirne insieme” non hanno davvero nulla a che fare. Eppure, no: non ci riesco. Il sangue delle partigiane e dei partigiani sembra accusarmi: il prezzo pagato perché anche io potessi votare è stato troppo alto perché ora possa rinunciare a farlo. Votare, sì, è anche un dovere: non farlo significherebbe confessare pubblicamente che non c’è più nulla da fare. Significherebbe in qualche modo affermare che va bene così: accettare, cioè, che siano il mercato e la guerra a decidere della nostra vita e della nostra morte. È già così, certo: ma che speranza rimane se rinunciamo anche solo alla possibilità di una democrazia che ritrovi se stessa? E allora voterò. Per chi, dunque?
Dovrò votare alle amministrative del mio Comune, Firenze. E alle Europee, ovvio.
Per Firenze ci ho provato, in prima persona. Con la Associazione 11 agosto (un’associazione che nasce ispirandosi in parte proprio a Volere la Luna) abbiamo provato a offrire un’incubatrice per una sinistra larga, che fosse capace di superare la destra andando al ballottaggio con il Pd. Lo scenario è ben noto: a Firenze il Pd è il perno di un sistema di potere corrotto (cioè guasto in senso morale e politico, non penale). Il sistema che ha generato Matteo Renzi, e che di quel modo di intendere il potere è ancora profondamente impregnato. Un sistema rimasto intatto dopo la vittoria di Elly Schlein: la quale non ha avuto nessuno scrupolo a venirci a patti, dimostrando un cinismo impressionante. La nostra idea era una coalizione che facesse perno su una lista civica robusta, capace di esprimere un candidato sindaco forte e autorevole (io ne sarei stato invece il capolista), e che tenesse insieme i 5Stelle, la sinistra dei piccoli partiti e la parte del Pd che era stata espulsa dal sistema. Non ci siamo riusciti: Giuseppe Conte ha incomprensibilmente preferito tentare fino all’ultimo di stare con questo orribile Pd (venendone infine indecorosamente respinto); e la sinistrina, settaria e frazionista, ha preferito il suo piccolissimo potere di ‘opposizione di sistema’. A quel punto abbiamo deciso di non fare l’ennesima lista: l’idea era cucire e fare la differenza, non dividere ancora e fare testimonianza. Siamo stati coerenti e trasparenti, sì, ma questo non risolve il problema: chi votare ora?
L’Associazione 11 agosto non ha dato indicazioni di voto (ovviamente salvo la pregiudiziale antifascista, che vale anche se qua i camerati si nascondono dietro l’imbarazzante figura dell’ex direttore degli Uffizi). Ma io personalmente ho deciso, invece, di dire per chi voterò: e ho deciso di farlo non indicando un candidato sindaco, ma un candidato al Consiglio comunale. La possibilità del voto disgiunto permette infatti di distinguere, almeno in teoria, le due cose. Fin dall’inizio, mi sono rifiutato di accettare la logica personalistica imposta dal piccolo premierato comunale delineato dall’elezione diretta. Questa è la malattia, non la cura. Anche per questo ho detto subito che non mi sarei candidato io, a sindaco: perché non è certo il momento di lasciare un posto di responsabilità apicale in una università, certo. Ma anche perché non è con gli ometti della Provvidenza che si risolve qualcosa. E così ora, ora che posso giocare liberamente le mie minuscole carte sul tavolo democratico, voglio farlo per il Consiglio comunale: argomentando non sul capo, il governo, la figura del leader. No: perché per nessuno di coloro che sono in campo andrei a votare. Invece, mi interessa il luogo dei progetti, della battaglia di idee, della trasparenza democratica, della visione, della creazione collettiva di una idea di città. E lì vorrei proprio che ci fosse uno come Marco Tognetti. Lo conosco da tanto tempo: stimo molto i suoi mentori (da Beppe Matulli a Ugo Biggeri a Nicolò Bellanca, a molti altri), e penso che le idee, lo stile, il progetto di questo giovane professore di economia siano esattamente quello che avrei voluto portare in Consiglio comunale con la coalizione più larga. E il fatto che sia candidato con Firenze Democratica (i fuoriusciti dal Pd, per capirci) non è certo un ostacolo: del resto, mai avrei potuto votare per un candidato di una delle forze che hanno pervicacemente boicottato il tentativo di costruire qualcosa di nuovo, mentre Firenze Democratica è stata l’unica che davvero ha provato a starci. Come si vede, nel naufragio della politica anche io ho scelto di dare il mio voto a una singola persona: non, però, candidata a comandare, bensì a servire.
Anche per le Europee, alla fine, ho scelto così: cercando le singole persone, non i partiti. Anche perché, una volta tanto, si vota con il proporzionale: quello che dovremmo ripristinare anche alle politiche per avere qualche possibilità di salvare la nostra democrazia. E di persone che mi piacerebbe votare non ne mancano, nelle liste del mio collegio. Marco Tarquinio, per esempio. O Christian Raimo. O Ilaria Salis, naturalmente. Ci ho pensato: e ovviamente non solo capisco benissimo chi farà una di queste scelte, ma anzi mi permetto di esortare tutti quelli che comunque avrebbero votato Pd o Si a scegliere questi nomi. Ma io non ce la faccio: per quanto contino le persone, non riesco a votare per un Pd che ogni giorno deve precisare che la linea del partito sulla guerra non è quella di Tarquinio: il quale infatti non è capolista, come avrebbe dovuto essere, ed è anzi visibilmente isolato e degradato a foglia di fico, o specchietto per le allodole. E nonostante l’infinita stima per Raimo, e la gratitudine per il suo coraggio civile, proprio non riesco a dare il voto a Sinistra Italiana, una forza che, con le sue micrologiche di micropotere personale, sta nel tappo che impedisce la nascita del nuovo, ed è parte del morto che porta a fondo il vivo: una realtà che non sparisce grazie all’uso strumentale di bei nomi e ottime cause. Ma ripeto, lungi da me qualsiasi volontà di giudicare le scelte di chi, in questo deserto, invece farà proprio questo.
E allora, per chi? Allora voterò per Ali Rashid, Raniero La Valle e Angelica Gatti. Il primo è primo segretario della Delegazione palestinese in Italia; il secondo è un intellettuale che si batte con rara lucidità per la pace; la terza è una giovane donna che ha scelto di usare le sue energie per dare gambe e testa a questa proposta elettorale partita meritoriamente dal basso, senza nessun aiuto e senza alleati. Capisco perfettamente chi non ha troppa simpatia per Michele Santoro, o chi trova debole il progetto di questa lista: ma io penso che in questo momento drammatico per le sorti del mondo vada sostenuto chi sta con credibilità dalla parte delle vittime e della pace. Chi lo fa senza nessun tornaconto personale, anzi avendo tutto da perdere e nulla da guadagnare. Chi lo fa senza rischiare di trascinare al Parlamento Europeo partiti che neghino poi quella causa. Rischia di essere, questo, un voto perduto? Nel mio caso è un voto guadagnato, perché senza di loro avrei messo nell’urna una scheda bianca. E una delle ragioni per cui lo dico è perché spero che siamo in tanti, a fare questa scelta.
Sono perfettamente consapevole che le mie sono scelte deboli. Ma so anche che in una politica dominata dalla forza, dal cinismo, dall’interesse personale e dall’assenza di ogni progetto, l’unica possibilità di riscatto è cucire le nostre debolezze, le nostre piccolezze e le nostre mancanze. Cercando – parafraso Italo Calvino – in mezzo all’inferno ciò che inferno non è, dandogli spazio, facendolo vivere.

Tomaso Montanari (da “Volerelaluna”, 5/6/24)