Il miracolo francese e i suoi nemici
La Francia ha fatto il
miracolo. Perché la Francia i miracoli li sa fare, la sua storia insegna. Con
uno scatto d’orgoglio che noi non sapremmo neppure immaginare, ha fermato
l’onda nera che sembrava inarrestabile. In meno di un mese, dopo lo shock del 9
giugno alle europee, ha messo in campo otto milioni di nuovi elettori (erano
stati 25 milioni i francesi andati ai seggi allora, saranno quasi 33 milioni
all’inizio di luglio, 15 punti percentuali in più!). Un esercito di citoyen,
che si sono messi in marcia verso i seggi perché avvertivano che la République
era in pericolo. E poi, dopo il risultato ancora inquietante del primo turno,
che aveva colorato di bruno (la tinta del Ressemblement) le mappe interattive,
in una sola notte, ha deciso quello che sembrava a tutti impossibile: la
costruzione di un fronte difensivo trasversale tra i tre blocchi per molti
aspetti tra loro incompatibili come appunto le gauches, i macronistes e i
gollisti democratici.
Di un barrage, appunto, realizzato attraverso un numero senza precedenti di
désistements, con i candidati della forza politica antifascista classificatasi
terza nei rispettivi collegi disposti a ritirarsi a favore di quelli meglio
piazzati per battere i lepenisti. La forma classica con cui gli organismi
viventi praticano il proprio istinto di sopravvivenza, sacrificando le proprie
parti secondarie per proteggere gli organi vitali, ma che nei comportamenti
umani, soprattutto politici, appare assai rara per l’effetto nefasto di
egoismo, narcisismo, spirito di conquista… Il Ressemblement National era
arrivato primo in 297 circoscrizioni al 1èr tour, ottenendo la vittoria secca
in 38 e classificandosi comunque per il secondo in 451; il Nouveau Front
populaire primeggiando in 159 si era qualificato in 400; Ensemble, in netto
recul sul 2022, primo in 70, secondo o terzo in altre centinaia di collegi. Le
cosiddette “triangolari”, circoscrizioni in cui la gara al secondo turno vedeva
tre concorrenti, quasi sempre due dei quali appartenenti al fronte
antifascista, erano più di 300 (5 le “quadrangolari), un numero di quasi
quattro volte superiore a tutti i precedenti. Ebbene, in una notte, appunto,
sono state ridotte a 89!
Il che significa che più di duecento candidati che erano rimasti in gara dopo
il primo turno – ovvero che avevano ricevuto più del 12,5% dei voti – si sono
spontaneamente ritirati, per favorire chi nel fronte antifascista aveva più
chances. La maggior parte (128) appartenevano alle file del Front populaire e
hanno ceduto il passo in genere al candidato macronista là dove questo stava
davanti, anche di pochi punti percentuali, ma persino a volte a quello
gaullista. Pensiamo, anche solo per un attimo, a cosa deve aver significato,
per un candidato de La France Insoumise, ritirarsi per cedere il passo a un
seguace dell’odiato Presidente fautore della famigerata riforma pensionistica o
a qualcuno che fino al giorno prima aveva accusato la sua lista di
antisemitismo…, come è capitato a Pierre Smolarz a Finistère, che col 27% al
primo turno ha deciso di desistere a favore di Didier Le Gac (di Ensemble), in
testa col 39%, dichiarando “Pas une voix ne doit aller au rassemblement
National” e permettendogli di battere solennemente la lepenista Martine Donval
col 49% contro il 27%! Eppure sono quasi una sessantina i casi come questo, di
mélanchoniani ritiratosi a favore di centristi o di destrorsi, più o meno il
50% delle “desistenze” della gauche a favore del Centro. Così come,
simmetricamente, sono quasi una trentina i casi di candidati macronisti che
hanno ceduto il passo a uno di Mèlenchon… Ce li immaginiamo, qui in Italia, i
calenda, i renzi, ma mica solo loro, i fanatici di se stessi sparsi
trasversalmente, sopportare un simile vulnus al proprio amore di sé in nome del
bene della Repubblica? Ed è per questo che a Parigi domenica sera la piazza ha
potuto festeggiare cantando Bella ciao e gridando “Siamo tutti antifascisti”
(in italiano!) mentre qui una schiera di Soloni mediatici si affanna a ripetere
che l’antifascismo non è un tema spendibile…Possiamo anche aggiungere che alla
lucidità delle classi dirigenti delle diverse formazioni del “Fronte
repubblicano” manifestatasi, per così dire, “in alto”, ha fatto riscontro
un’altrettanto lucida e disciplinata risposta “in basso”, con la mobilitazione
dei cittadini. Nessuna delle forze politiche che hanno accettato di
“sacrificarsi” nel gioco dei désistements ha in realtà perduto un numero
significativo di voti tra il primo e il secondo turno: forse un piccolo
trasferimento è avvenuto tra il Nouveu Front Populaire (passato dal 28 al 26
per cento) e il Centro di Ensemble (cresciuto dal 20 al 23%). E una sia pur
limitata emorragia ha colpito Les républicains, nell’ordine di circa 600mila
voti passati probabilmente in parte ai macronisti in parte ai lepenisti. Ma
nella sostanza l’elettorato ha seguito compatto le operazioni dei vertici.
Detto questo, possiamo dunque dar fiato alle trombe del “cessato allarme”? E
rassicurarci per lo scampato pericolo? Evidentemente no. Possono forse farlo i
feticisti cultori dell’ordine istituzionale di Bruxelles, rallegrandosi che la
temuta onda nera sia giunta solo a lambire le porte dell’Hotel de Matignon,
restandone insperabilmente al di fuori così da potersi raccontare che tutto va
bene, l’elezione di Ursula, la guerra in Ucraina, la Nato eterna, tutto e solo
quello che a loro interessa. Ma noi, che feticisti non vogliamo essere, e non
amiamo le auto-rassicurazioni, tranquilli non siamo. Intanto perché sappiamo
benissimo – la Scienza e la Storia ce lo insegnano – che una coalizione
difensiva dura finché l’imperativo categorico è difendersi, ma si scioglie alla
velocità della luce subito dopo. E vediamo come i conti all’interno del Fronte
repubblicano incomincino appena ora, consapevoli di quante passioni tristi
covino in petto al demiurgo che dopo aver evocato la tempesta che ha minacciato
di travolgerlo pretenderebbe ora di dettare le regole del nuovo gioco e di
predeterminarne l’esito: lui che non avendo mai nascosto di detestare assai di
più la sinistra estrema di Mélenchon che non l’estrema destra di Marine ora,
svincolatosi dall’assalto della seconda grazie alla forza sociale della prima
pretenderebbe di liquidarla come se niente fosse pur sapendo benissimo che è il
nerbo del Front populaire.
E poi (non siamo tranquilli) perché l’onda nera è stata fermata a un millimetro
dal suo obiettivo, ma non è rifluita. Sta ancora tutta lì, a gonfiarsi nel
reticolo fitto del risentimento periferico e tra le ombre degli strati bassi di
una società che slitta lentamente ma inesorabilmente verso il basso. Basta
guardare le mappe del voto, anche di quello del secondo turno, che raccontano
come si siano distribuiti territorialmente quei 10milioni e mezzo di voti che
ne fanno, comunque, il primo partito per sconfiggere il quale è necessaria
appunto l’alleanza di tutti gli altri. La quale d’altra parte, non è
dappertutto sufficiente, rendendosi ben visibili alcune macro-aree
dell’esagono, quelle dell’ insediamento tradizionale lepenista, in cui la sua
egemonia non è scalfita: il Nord, in primo luogo, e il Nord-est, il Pas de
Calais, l’Aisne, le Ardenne, le Somme, dove si concentrano molte circoscrizioni
in cui i suoi candidati sono stati eletti già al primo turno; il Midi, in
secondo luogo, una lunga striscia bruna, da Nizza alla Camargue e poi fino a
Perpignan; e in mezzo i grandi distretti rurali del Massif e della Francia
profonda (la Dordogna, la Franca Contea…).
Le 18 circoscrizioni di Parigi
Poi, naturalmente c’è Parigi. Con le sue diciotto circoscrizioni divise tra le
dodici a est, tutte saldamente in mano alla Gauche, in particolare a La France
Insoumise, e le sei a ovest monocromaticamente gialle schierate con Macron, del
RN nessuna traccia, sempre sotto il 10%. E poco sopra, a destra, le 12
circoscrizioni della Stalingrado francese Saint Denis, di cui otto andate a La
France Insoumise con percentuali oscillanti tra il 60 e il 70%, due al PCF col
70 e 72%, una genericamente al NFP col 60%, ben cinque assegnate al primo
turno, col RN solo in una sopra il 12,5%. Poco sotto a sinistra, nel distretto
di Versailles, invece, una landslide gialla con le dodici circoscrizioni des
Yvelines tutte conquistate dal partito del Presidente anche se in molti casi
LFI non ha praticato la desistenza, perché il RN era troppo debole per
impensierire o perché, almeno in un caso, il candidato bardelliano ha desistito
a favore di Ensemble… Parigi dunque resta un baluardo inespugnabile dall’onda
nera, ma la Francia che la circonda, escluse alcune, non moltissime, grandi
città, ribolle minacciosa, e possiamo davvero dire che la gigantesca macchina
dei désistements ha evitato il vecchio gioco, già ben descritto da Marx, della
mobilitazione della “sobria Francia contro l’ebbra Parigi”, messo in atto dalla
reazione fin dal 1848 per sommergere gli operai parigini sotto la marea
conservatrice della provincia. Ma quella Francia, più che sobria torva, che
antepone la paura alla solidarietà e dimentica l’ésprit républicain, che per la
verità non aveva mai davvero condiviso, per seguire le seduzioni di una
grandeur sovranista fuori tempo, è ancora tutta lì, acquattata a spiare i
giochi diplomatici che si svolgono a Parigi, nel campo dei vincitori, pronta a
rialzare la testa alla prima occasione o a infilarsi nelle enormi
contraddizioni che li frammentano.
MiracoloGiochi, dobbiamo dircelo, non del tutto puliti, anzi per molti aspetti
decisamente sporchi. E’ ripartita l’indegna campagna politico-mediatica
sull’impresentabilità dell’extrème gauche, de La France Insoumise, dello stesso
Mèlenchon, con l’accusa falsa e in malafede, di un suo presunto antisemitismo:
poco importa che sia smentita da tutti i siti seri di fact checking francesi e
dallo stesso Conseil d’Etat, continua a essere ripetuta senza pudore da
un’infinità di commentatori (qui da noi l’instancabile Federico Rampini, per
fare un esempio, ma leggetevi le infinite calunnie spacciate sui nostri media
dal Corriere al Sole 24 ore a Linkiesta…) tetragoni nell’accreditare
l’insostenibile identificazione tra antisemitismo e critica al governo
israeliano per le stragi in corso. Contemporaneamente, s’insinua strisciante
l’idea, questa sì razzista in senso proprio, che l’elettorato de La France
Insoumise sia composto in prevalenza da immigrati musulmani, gente che poco
avrebbe a che fare con l’identità francese, tendenzialmente fondamentalisti,
nemici della nostra civiltà, inquinatori della purezza etnica, come se non
fossero cittadini francesi a tutti gli effetti, titolari del sacrosanto diritto
di voto, come se le banlieux fossero an other country. Per non parlare della
guerra, evocata in modo dissennato da Macron con la prospettiva di un impegno
diretto delle proprie truppe sul terreno, e risultata (ne abbiano parlato già
ampiamente) la vera sconfitta sia delle europee che delle legislative, e
tuttavia riesumata oggi, con richiamo agli impegni atlantici della Nato, e alla
necessità di un governo ad essi fedele. Tutto questo per sostenere la
prospettiva – vera uscita di sicurezza per chi, contro l’evidenza, rivendica
una continuità politica a Parigi – della coalizione “omelette”: una maggioranza
centrista, realizzata con un delicato lavoro di ritaglio delle ali e delle
componenti non normalizzabili, capace di “passare la nottata”, e confermare un
equilibrio europeo in realtà nato (o nascente) morto.
Non sappiamo come andrà a finire, i tempi si prospettano mediamente lunghi,
nonostante la velocità con cui la storia sta correndo. Ma possiamo dire fin
d’ora che, se questo fosse l’esito della straordinaria mobilitazione
democratica francese, l’onda nera, lungi dall’essersi arrestata, sarebbe più
che mai incombente.