La guerra civile è solo virtuale (per ora)
La propaganda e la
disinformazione – nel primo tentativo di omicidio di un (ex) presidente
americano nell’era dei social – partono da subito e diventano virali con la
velocità di un incendio alimentato da litri di benzina. E partono dall’alto,
non solo dall’anonimo esercito di utenti dei social.
Uno dei primi ad agitare il sospetto che i servizi segreti si siano fatti
sfuggire deliberatamente la presenza di un uomo armato di AR-15 su un tetto è
Elon Musk su X. Che approfitta dell’occasione per dare il suo “pieno
endorsement” a Donald Trump, e si lascia tentare anche dal filone messianico
che spopola sulle pagine dell’estrema destra: la mano di Dio si è protesa a
salvare l’uomo della provvidenza.
Un’immagine ripresa letteralmente dall’ex consigliere per la sicurezza
nazionale dell’amministrazione Trump, Michael Flynn, che su X posta un dipinto
kitsch di Gesù che tiene le mani sulle spalle del tycoon.
Fra i commentatori e i politici più noti della destra estrema filotrumpista il
grido di battaglia è a reti unificate: i mandanti sono i democratici e la
stampa “di sinistra” (leggi New York Times, Cnn, Washington Post…), rei di aver
messo Trump nel mirino con la retorica della “minaccia esistenziale” alla
democrazia americana.
La frase più citata come arma del delitto è quella pronunciata da Biden nel suo
incontro con i donatori della scorsa settimana – “E’ ora di mettere Trump nel
mirino” – che faceva naturalmente riferimento all’opportunità di compattarsi
contro l’avversario invece che mettere in discussione la sua candidatura.
Vale la pena ricordare che ormai da mesi la propaganda di destra, e dello
stesso Trump, cerca di inquadrare la posizione democratica come un via libera
alla violenza politica: un messaggio mandato dalla campagna di Trump ai suoi
sostenitori già da aprile sottoscriveva la menzogna che l’Fbi fosse autorizzata
a ucciderlo nel suo raid a Mar-a-Lago in cerca dei documenti rubati.
Quella lunga striscia di sangue che porta alla Casa bianca
Tucker Carlson e Alex Jones (il primo cacciato perfino da Fox News, il
secondo alle prese con la bancarotta per essere stato condannato a risarcire i
parenti delle vittime di Sandy Hook, che aveva definito “attori” di una
messinscena) vengono acclamati, da X a Truth Social, come profeti che avevano
annunciato il tentato omicidio.
“I democratici e i media hanno la responsabilità di ogni goccia di sangue
versata oggi”, scrive su X la deputata qanonista Marjorie Taylor Greene. Il suo
collega Mike Collins si spinge anche oltre: “Il procuratore distrettuale della
contea di Butler (Pennsylvania) dovrebbe immediatamente incriminare Joe Biden
per aver incitato un omicidio”.
L’uomo in pole position per diventare vice di Trump, il senatore dell’Ohio J.D.
Vance, scrive che la “retorica” della campagna di Biden “conduce direttamente
al tentato assassinio di Trump”.
Tutto mentre, nel corso della giornata di domenica, non era trapelato ancora
nulla sul movente dell’attentatore. Intanto la Camera a maggioranza Gop ha già
convocato la direttrice dei Servizi di sicurezza Kimberly Cheatle, e si
minacciano inchieste sui Servizi e l’Fbi.
Più si scende nella tana del bianconiglio di internet e più le teorie del
complotto assumono forme note e pericolose, dal momento che Trump ha dato ampiamente
prova nel suo mandato alla Casa bianca di saperle rendere mainstream: quella
che Musk si limita a intrattenere come ipotesi – che sia un piano ordito dai
dem in combutta con i servizi, o dei servizi “deviati” – è la più diffusa.
I probabili cospiratori sono i soliti noti che vogliono preservare il Deep
State pedosatanista: Obama, Hillary Clinton e l’immancabile George Soros. Che
fa il paio con i ripetuti riferimenti all’”ebraismo” del presentatore della Bbc
David Aaronovich, autore di un infelice tweet satirico, poi cancellato,
sull’opportunità per Biden di fare fuori Trump, e che ora è virale nelle chat
in area QAnon.
Come osserva la studiosa di disinformazione Amanda Rogers in un’intervista con
George Chidi per il Guardian, le narrative sono quelle consuete degli
accelerazionisti di destra (convinti che sia il caso di affrettare una guerra
civile vista come inevitabile): “Ci sono persone che identificano l’attentatore
come Antifa, o una persona transessuale, o un ebreo”, mentre sui canali più
vicini a Q è diffusa la convinzione che “la sinistra sta cercando di attirarci
in una guerra civile”.
Rogers riferisce però anche di un altro dato che rende l’idea di ciò che si
agita fra i gruppi della destra estrema: una “cancellazione di massa” di post
sui loro canali Telegram. Lo fanno – dice – “nel caso si tratti di uno dei
loro”.
Gli eventi del rally e l’immediata iconicità dell’immagine dell’ex presidente
con il pugno chiuso, sanguinante, davanti alla bandiera americana, hanno
inevitabilmente scatenato le teorie del complotto anche dalla parte opposta
dello spettro politico.
O meglio una sola: è stata una messinscena – tutto è troppo perfetto per Trump
e la sua campagna per accettare la semplice realtà che sia andata in un altro
modo.