martedì 9 luglio 2024

La residenza è un diritto

Sono trascorsi dieci anni dall’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’articolo 5 del decreto-legge n. 47/2014, rubricato «Lotta all’occupazione abusiva di immobili» (poi convertito con la legge n. 80/2014). La disposizione ha previsto che «chiunque occupi abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi» (acqua, luce, gas, telefonia fissa). Inoltre, vieta a coloro che occupano abusivamente immobili di edilizia residenziale pubblica la partecipazione alle procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i successivi cinque anni a decorrere dalla data di accertamento dell’occupazione abusiva.

L’articolo 5 colpisce moltissime persone – decine di migliaia solo nelle grandi città. Esclude dall’anagrafe sia chi è costretta/o ad accettare affitti in nero sia chi ha occupato per necessità e impedisce l’esercizio di numerosi diritti. In Italia il diritto di voto e l’accesso a misure di welfare essenziali – tra cui l’iscrizione al servizio sanitario nazionale e la conseguente assegnazione di un medico di base, la piena partecipazione al sistema di istruzione e l’iscrizione ai centri per l’impiego – così come la fruizione di servizi pubblici di base – l’allaccio alle utenze di acqua, luce e gas, nonché l’ingresso nella graduatoria per ottenere un alloggio popolare – sono legati, in alcuni casi de iure, mentre in altri semplicemente di fatto, all’iscrizione anagrafica. Alle persone non italiane, peraltro, l’articolo 5 impedisce di maturare i requisiti per ottenere la cittadinanza e, per effetto delle prassi illegittime sviluppate da molte Questure, ostacola il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

L’articolo 5, in sostanza, rappresenta una grave violazione dei diritti fondamentali: senza iscrizione anagrafica è impedito o gravemente limitato l’esercizio di diritti rilevanti che riguardano la sfera sanitaria, sociale, previdenziale, economica. Questa norma ha peggiorato radicalmente la qualità della vita di moltissime persone e ha contribuito ad aumentare la loro marginalizzazione sociale.

L’articolo 5, di conseguenza, pone rilevanti problemi di legittimità costituzionale: comporta una lesione del diritto inviolabile alla residenza, del principio della pari dignità sociale (artt. 2 e 3 Cost.), della libertà di residenza e dimora, funzionali alla libertà di movimento e circolazione (art.16 Cost), del diritto alla salute (art. 32 Cost) e di quello all’unità del nucleo familiare (art. 29 Cost).

Nel 2017 il legislatore ha provato a limitare la portata escludente dell’articolo 5, consentendo ai/alle sindaci/che di iscrivere all’anagrafe le e gli occupanti in presenza di minori e di «persone meritevoli di tutela» (art. 5, comma 1 quater, del decreto legge n. 47/2014 come modificato dal decreto legge n. 14/2017). A partire dal 2022, alcune amministrazioni comunali hanno usato lo strumento della deroga: il sindaco di Roma e poi quello di Palermo hanno emanato direttive che invitano le rispettive amministrazioni comunali a riconoscere la residenza a chi, vivendo in immobili occupati, rientri in comprovati criteri di fragilità socio-economica. Si tratta di azioni importanti dal punto di vista politico, ma largamente insufficienti sul piano materiale. La diffusione in altri territori di queste iniziative è estremamente limitata. Inoltre, a Roma – che ha attuato la prima e più avanzata sperimentazione – per effetto degli specifici meccanismi previsti nella circolare attuativa emanata a seguito della direttiva, il numero di persone che ha ottenuto il riconoscimento della residenza è significativamente inferiore al numero complessivo di quelle occupanti.

Per queste motivazioni, è indispensabile e urgente andare oltre la logica della deroga e delle sue complesse attuazioni locali eliminando l’articolo 5 dal nostro ordinamento. In questo modo, le persone finora escluse dall’esercizio dei diritti fondamentali potrebbero finalmente accedere ai servizi e ai diritti legati all’iscrizione anagrafica. Anche le istituzioni otterrebbero un netto vantaggio da questa cancellazione. Allo stato attuale, infatti, i registri anagrafici – funzionali alla corretta programmazione delle politiche territoriali – non sono in grado di fornire informazioni precise e accurate circa l’insieme effettivo delle persone che dimorano abitualmente in un determinato contesto territoriale o che, prive di una dimora abituale, vi sono comunque legate in senso anagrafico.

L’anagrafe, in sostanza, non riesce a raggiungere uno dei suoi obiettivi primari: rappresentare correttamente le reali condizioni sociosanitarie e abitative delle fasce sociali più impoverite. Di conseguenza, le politiche e le risorse che vengono messe in campo per affrontare questioni strutturali ed emergenziali risentono di queste distorsioni sistematiche. La cancellazione dell’articolo 5, viceversa, renderebbe la qualità dei registri anagrafici significativamente migliore, con benefici rilevanti per le politiche pubbliche.

Per tutte queste ragioni facciamo appello ai partiti e alle forze politiche. A dieci anni dalla sua introduzione, è tempo di cancellare l’articolo 5 dal nostro ordinamento. Le donne e gli uomini, i bambini e le bambine escluse dall’esercizio dei diritti fondamentali non possono più aspettare.

Per aderire come organizzazioni, singolɜ, rappresentanti istituzionali:

appelloarticolo5@gmail.com

da “Volerelaluna” del 4/7/24