La residenza è un diritto
Sono trascorsi dieci anni dall’introduzione, nel nostro
ordinamento, dell’articolo 5 del decreto-legge n. 47/2014, rubricato «Lotta
all’occupazione abusiva di immobili» (poi convertito con la legge
n. 80/2014). La disposizione ha previsto che «chiunque occupi
abusivamente un immobile senza titolo non possa chiedere la residenza né
l’allacciamento a pubblici servizi» (acqua, luce, gas, telefonia fissa).
Inoltre, vieta a coloro che occupano abusivamente immobili di
edilizia residenziale pubblica la partecipazione alle procedure di
assegnazione di alloggi della medesima natura per i successivi cinque
anni a decorrere dalla data di accertamento dell’occupazione abusiva.
L’articolo 5 colpisce moltissime persone – decine
di migliaia solo nelle grandi città. Esclude dall’anagrafe sia chi è
costretta/o ad accettare affitti in nero sia chi ha occupato per necessità
e impedisce l’esercizio di numerosi diritti. In Italia il diritto
di voto e l’accesso a misure di welfare essenziali – tra cui l’iscrizione al
servizio sanitario nazionale e la conseguente assegnazione di un medico di
base, la piena partecipazione al sistema di istruzione e l’iscrizione ai centri
per l’impiego – così come la fruizione di servizi pubblici di base – l’allaccio
alle utenze di acqua, luce e gas, nonché l’ingresso nella graduatoria per
ottenere un alloggio popolare – sono legati, in alcuni casi de iure, mentre in
altri semplicemente di fatto, all’iscrizione anagrafica. Alle persone non
italiane, peraltro, l’articolo 5 impedisce di maturare i requisiti per ottenere
la cittadinanza e, per effetto delle prassi illegittime sviluppate da molte Questure,
ostacola il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.
L’articolo 5, in sostanza, rappresenta una grave violazione dei diritti
fondamentali: senza iscrizione anagrafica è impedito o gravemente limitato l’esercizio
di diritti rilevanti che riguardano la sfera sanitaria, sociale, previdenziale,
economica. Questa norma ha peggiorato radicalmente la qualità della
vita di moltissime persone e ha contribuito ad aumentare la loro
marginalizzazione sociale.
L’articolo 5, di conseguenza, pone rilevanti problemi di legittimità
costituzionale: comporta una lesione del diritto inviolabile alla residenza, del
principio della pari dignità sociale (artt. 2 e 3 Cost.), della libertà di
residenza e dimora, funzionali alla libertà di movimento e circolazione (art.16
Cost), del diritto alla salute (art. 32 Cost) e di quello all’unità del nucleo
familiare (art. 29 Cost).
Nel 2017 il legislatore ha provato a limitare la portata escludente
dell’articolo 5, consentendo ai/alle sindaci/che di iscrivere all’anagrafe le e
gli occupanti in presenza di minori e di «persone meritevoli di tutela» (art.
5, comma 1 quater, del decreto legge n. 47/2014 come
modificato dal decreto legge n. 14/2017). A partire dal 2022, alcune
amministrazioni comunali hanno usato lo strumento della deroga: il sindaco di
Roma e poi quello di Palermo hanno emanato direttive che invitano le rispettive
amministrazioni comunali a riconoscere la residenza a chi, vivendo in immobili
occupati, rientri in comprovati criteri di fragilità socio-economica. Si tratta
di azioni importanti dal punto di vista politico, ma largamente insufficienti
sul piano materiale. La diffusione in altri territori di queste iniziative è
estremamente limitata. Inoltre, a Roma – che ha attuato la prima e più avanzata
sperimentazione – per effetto degli specifici meccanismi previsti nella
circolare attuativa emanata a seguito della direttiva, il numero di persone che
ha ottenuto il riconoscimento della residenza è significativamente inferiore al
numero complessivo di quelle occupanti.
Per queste motivazioni, è indispensabile e urgente andare oltre la
logica della deroga e delle sue complesse attuazioni locali eliminando
l’articolo 5 dal nostro ordinamento. In questo modo, le persone finora
escluse dall’esercizio dei diritti fondamentali potrebbero finalmente accedere
ai servizi e ai diritti legati all’iscrizione anagrafica. Anche le istituzioni
otterrebbero un netto vantaggio da questa cancellazione. Allo stato attuale,
infatti, i registri anagrafici – funzionali alla corretta programmazione delle
politiche territoriali – non sono in grado di fornire informazioni precise e
accurate circa l’insieme effettivo delle persone che dimorano abitualmente in
un determinato contesto territoriale o che, prive di una dimora abituale, vi
sono comunque legate in senso anagrafico.
L’anagrafe, in sostanza, non riesce a raggiungere uno dei suoi obiettivi
primari: rappresentare correttamente le reali condizioni sociosanitarie e
abitative delle fasce sociali più impoverite. Di conseguenza, le politiche e le
risorse che vengono messe in campo per affrontare questioni strutturali ed
emergenziali risentono di queste distorsioni sistematiche. La
cancellazione dell’articolo 5, viceversa, renderebbe la qualità dei registri
anagrafici significativamente migliore, con benefici rilevanti per le politiche
pubbliche.
Per tutte queste ragioni facciamo appello ai partiti e alle forze
politiche. A dieci anni dalla sua introduzione, è tempo di cancellare
l’articolo 5 dal nostro ordinamento. Le donne e gli uomini, i bambini e le
bambine escluse dall’esercizio dei diritti fondamentali non possono più
aspettare.
Per aderire come organizzazioni, singolɜ, rappresentanti istituzionali:
da
“Volerelaluna” del 4/7/24