mercoledì 16 ottobre 2024

 Gesù conduce a Dio e ai poveri 

 

Per non cristianizzare il Gesù storico

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”Il pericolo di cristianizzare il Gesù storico si trasforma qui nel pericolo di essere rilevanti per i cristiani senza la necessaria riflessione ermeneutica.

Il modo migliore per trattare la sindrome dell'occhio vitreo e per arrestare ogni cristianizzazione del Gesù storico in materia di morale non è, a mio parere, quello di addolcire il messaggio. Bisogna invece insistere, in una lotta senza quartiere, sulla necessità di comprendere questo ebreo del I secolo come uno che si rivolgeva ai suoi correligionari ebrei palestinesi rigorosamente all'interno dei confini dei dibattiti legali giudaici, senza preoccuparsi minimamente se qualcuno di questi argomenti giuridici potesse avere un qualche interesse per i cristiani. In altri termini, per comprendere il Gesù storico esattamente come una figura storica, dobbiamo collocarlo saldamente nel contesto della Legge giudaica così come era discussa e praticata nella Palestina del I secolo. Come il lettore di questo libro potrà notare, da questo vaglio critico del materiale legale contenuto nei vangeli emergerà un'idea di fondo: il Gesù storico è il Gesù halakhico, cioè il Gesù preoccupato e impegnato a discutere della Legge mosaica e delle questioni pratiche che ne scaturiscono”.

John P. Meier, “Un ebreo marginale”, volume 4, Editrice Queriniana, pag. 19-20.

 

Un errore serio e grave

Non aiuta molto neanche sovrapporre al materiale del I secolo quella fede della chiesa in Gesù che è stata sviluppata con un processo lungo, tormentato e faticoso e dire ingenuamente: «Sta già tutto lì, in Giovanni». Ciò che sta già tutto lì, in Giovanni, è una notevole cristologia del I secolo che è fondamentalmente una teologia, una professione di fede in Dio con la quale la fede in Cristo è correlata, e non viceversa. Un errore serio e grave che i cristiani commettono è quello di mettere Gesù al posto di Dio. Ciò avviene a scandalo di islamici ed ebrei e a confusione dei cristiani. Alcuni non credenti si trovano a loro agio in questa situazione, e cristianesimo e, talora, della religione stessa. Essi non possono accettare quella confusione e spiegano in questo modo il loro rifiuto totale della fede. Il Vangelo di Giovanni non commette un errore di questo genere. Il suo Gesù è un sacramento di Dio, allo stesso tempo Figlio e Parola, che è il pegno, umanamente personale, dell’insondabile pozzo della divinità. Conoscere lui significa conoscere il Padre, ma uno non è l'altro sotto tutti gli aspetti. «Ho molte cose da dire e da giudicare sul conto vostro; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo» (v. 26). Le parole di Gesù sono la Parola di Dio. Lui stesso è quella Parola. Essere davvero suoi discepoli significa dimorare in quella Parola (v.31)”.

Gerard Sloyan, “Giovanni”, Claudiana Editrice, pag. 141

(continua)