Verona: presidio davanti alla stazione per chiedere verità e giustizia per Moussa Diarra
Circa 150 persone a Verona si sono radunate davanti all’entrata principale della stazione, a cerchio intorno a fiori, a ceri, foto di Moussa, striscione “Moussa, non ti dimentichiamo… e ci mancherai”. Per chiedere verità e giustizia per Moussa Diarra, ucciso ieri da un poliziotto. Pubblichiamo il contenuto del comunicato che è stato letto.
Rimandiamo al mittente i commenti agghiaccianti e razzisti apparsi poche ore dopo l’omicidio di Moussa Marra. A noi Moussa mancherà. Ma temiamo che mancherà anche una reale inchiesta. Denunciamo il rischio che l’indagine sulla morte di Moussa Diarra venga archiviata prima ancora di iniziare. Lo lascia intendere il comunicato “congiunto” della Questura e della Procura, un atto preoccupante. Da un lato, la Questura, coinvolta nei fatti come parte indagata per l’operato dell’agente che ha sparato e ucciso; dall’altro, la Procura, che dovrebbe garantire imparzialità e giustizia anche per Moussa.
La costruzione della figura del “mostro” affidata a cronisti di comodo, non rende giustizia a quanto noi sappiamo di Moussa, che in questi anni aveva trovato riparo alla casa occupata del Ghibellin Fuggiasco, l’unico luogo che a Verona ha assunto l’impossibile responsabilità di essere luogo per i senza luogo, per tutte quelle persone che, a causa del razzismo strutturale, anche in presenza di regolari contratti di lavoro, subiscono discriminazioni abitative. Una responsabilità che i servizi sociali del comune hanno lasciato allə compagnə del Paratod@s, che si sono messə a servizio della casetta. In questi anni di pressioni e lotte, il comune non ha mai trovato una soluzione per le quasi cinquanta persone alloggiate al Ghibellin .
Moussa soffriva di malessere psicologico.
Un malessere coltivato dall’abbandono delle istituzioni, dall’assenza di prospettive, dalla precarietà e dai ritardi continui nel rilascio dei documenti. Una vita spezzta due volte dalla Questura di Verona, aggravata e resa vulnerabile dal disinteresse delle istituzioni.
Ma se è chiaro come Moussa sia stato portato alla disperazione dal sistema in cui viviamo, sulla sua uccisione fisica invece mancano chiarezza e trasparenza, a partire dalla ricostruzione frettolosa e lacunosa fornite dalle autorità. Solo alcune domande che emergono dalle poche informazioni rilasciate dalla Questura e dalla Procura:
Se Moussa Diarra era stato già intercettato intorno alla 5 in “stato confusionale” dalla polizia locale, come ha potuto muoversi indisturbato nella stessa area della stazione per altre due ore senza che vi fosse un intervento massiccio delle forze dell’ordine?
Ha davvero aggredito la pattuglia della Polizia Locale? Questa ha dato l’allarme?
Perché non è stato fermato quando ha sfogato la sua rabbia in stazione, colpendo biglietteria e tabaccheria?
È stato chiamato il 118 per una possibile TSO?
Quante erano le pattuglie della polizia e come erano coordinate tra loro?
L’agente ha cercato di identificare Moussa: era la procedura più adatta dato il suo stato?
Dove si trova il coltello che si dice Moussa avesse con sé?
Sparare era davvvero l’unica opzione? Qual è stata la dinamica esatta degli eventi?
Perché il compito dei rilievi scientifici è stato affidato alla Questura stessa e non, per esempio, ai Carabinieri, come richiederebbe la trasparenza procedurale per garantire giustizia alla vittima?
Sembra essere stato seguito lo schema investigativo già visto l’anno scorso per le violenze in Questura, con la Questura che indaga su se stessa. Perché rimuovere subito il sequestro dell’area e cancellare ogni traccia in fretta?
Da Pressenza, 21 ottobre 2024