Franco Barbero: “ Fate festa “
Problemi aperti
ll discorso sulla preghiera vive una stagione delicata. Da una parte infatti, esso continua ad essere condotto in maniera tale da avallare le ben note mistificazioni spiritualiste presenti in molte pratiche religiose e cultuali. Dall'altra, tranne momenti rari e felici, i cristiani più coinvolti nelle lotte di liberazione hanno troppo spesso abbandonato il discorso e la pratica della preghiera cristiana, o perché l'hanno giudicata irrilevante, o perchè si sono limitati a fare l'elenco e la critica delle aberrazioni e delle forme alienanti.
Vizio tragico di ampi settori del movimento di base, è stato quello di esaurirsi - troppo spesso - nella parte ideologica e critica, tanto necessaria quanto insufficiente. Costruire le cose nuove richiede una pazienza che molti disdegnano; significa fare i conti con le dimensioni quotidiane del movimento che non sono sempre gratificanti. La mia preoccupazione in questi anni, è sempre stata diretta a realizzare quel difficile e vitale rapporto tra profezia critica e profezia costruttiva, nella coscienza che siamo inviati "per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere”, ma non meno "per edificare e piantare" (Ger. 7,10). La mano del Signore opera, come ci ricorda lo stesso profeta, in questa doppia direzione (Ger. 18, 9). Ogni demistificazione che guardi lontano, avviene in qualche modo in vista di una nuova edificazione.
Chi conosce la vita reale (non ideale) delle comunità sa quanto sia necessario lavorare in positivo. Paradossalmente chi sa impegnarsi in positivo diventa anche capace di una critica più sana, vigorosa. Capita troppo spesso che i grandi discorsi sulla questione cattolica, sull'ideologia cattolica, sulla lettura materiastica della Bibbia, sul movimento e le sue strategie, non siano accompagnati e sorretti da una corrispondente ricchezza di proposte di fede su cui camminare insieme.
Nessuno vuole costruire frettolosamente nuove certezze o anticipare delle risposte che verranno forse domani, ma l'oggi della fede non può mettere tutto tra parentesi o vivere di solo lavoro critico. Oggi, proprio mentre cerchiamo di vivere la nostra fede all'interno della lotta per una società socialista, ci accorgiamo che il Signore ci chiama anche ad una nuova preghiera e ce ne fa dono. Fermarsi al solo impegno demistificatorio, a molti di noi appare estremamente riduttivo e dimissionario nei confronti della chiamata del Signore: potrebbe anche essere un rifiuto della croce.
Certamente qualcuno sospetterà che si tratti di un ritorno allo spiritualismo. Serpeggia talvolta nel movimento il sospetto che dare spazio in modo serio e continuativo alla lettura biblica, alla preghiera, alla celebrazione dei sacramenti e alla edificazione della comunità, sia in qualche modo prendere congedo dalla politica e ricadere nel vecchio spiritualismo.
Ouesta osservazione ci stimolerá a verificare se la nostra vita è realmente coinvolta nelle lotte di liberazione, ma non ci farà dimenticare che lo spiritualismo è tutt'altra cosa.
Ouesto sarà forse uno dei discorsi più impopolari e meno graditi, ma faremmo bene a pensarci per tempo per evitare di portarci dietro solo più qualche rimasuglio di fede, "una pianta che ormai ha le radici tagliate" (1).
Discorso paradossale
Umanamente, iniziare un discorso sulla preghiera con le carte in regola non è solo difficile, ma è impossibile. Infatti, quando noi parliamo della fede, dobbiamo avere coscienza di fare un discorso paradossale perché "essa non é mai ovvia o naturale, ma è sempre un miracolo" (2).
Quello della preghiera non é un discorso che parte da noi, dal nostro vissuto, dai nostri bisogni,come si dice oggi. Assolutamente no: la preghiera, come la fede in Gesù Cristo, non parte da noi, ma da un Altro. Questa è la struttura della grazia. "Chi prega dovrebbe anche sapere che egli é nella situazione migliore per dire che cosa sia la preghiera" (3), ma ciò non significa che ci si possa far forti di una propria esperienza, ma soltanto di una grazia che ci è stata fatta, di una chiamata che ci é stata rivolta.
Dio apre il dialogo
Il rapporto del Dio biblico con l'uomo e dell'uomo con Dio é, come pensava K. Barth, il tema essenziale della Bibbia. Ma questo non é un rapporto qualunque: in esso Dio compie sempre il primo passo, ha l’iniziativa e l’uomo può compiere soltanto il secondo passo: "Dio é sempre irreversibilmente il primo e l'uomo sempre ed irreversibilmente il secondo in questo rapporto... L'evento relazionale tra Dio e l'uomo é quindi sempre un atto di rivelazione" (4). La pretesa dell'uomo di entrare in rapporto con Dio con le proprie forze o di propria iniziativa è ”albagia", cioé presunzione di "conquistare" Dio, di salvarsi da sé.
Israele: il dono di un Dio vicino
"Quale grande nazione ha la divinità cosi vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (Dt. 4, 7). Israele sa bene che Yahvè abita nei cieli, è il Dio inacessibile tanto che chi lo vede ne muore, eppure ha coscienza che la sua esistenza si svolge nell'immediata vicinanza di Yahvé: "Se io sono padre, dov'è l'onore che mi è dovuto? Se sono il Signore, dov'è la riverenza che mi spetta?" (Mal. 1, 6). Se Israele di fronte ai grandi atti costitutivi e salvifici di Yahvà non è stato muto, ma, facendoli costantemente rivivere ai propri occhi, si è rivolto personalmente a lui, ciò è perché "Yahvé si é scelto un popolo non per farne l'oggetto muto della propria volontà di intervento nella storia, ma per chiamarlo al dialogo" (5). Le stesse preghiere di Israele sono inconcepibili senza la parola che Dio rivolge al suo popolo. Sono la risposta alla sua parola.
Gesù, il rivelatore del Padre
Gesù non solo "è uscito dal Padre” (Gv. 16, 28) e può dire "il Padre è con me" (Gv. 16, 32), ma é così intimamente e costantemente unito a lui da poter aggiungere: "io e il Padre siamo uno" (Gv. 10, 30). Gesù, come l'uso della parola Abbàa conferma, ha con il Padre un rapporto unico che comporta una familiarità ed una intimità irraggiungibile da chiunque altro. "Abbà è una parola che comunica una rivelazione” (6). "Nessuno sa chi è il Figlio eccetto il Padre; così pure nessuno sa chi è il Padre eccetto il Figlio e quelli ai quali il Figlio lo vuol rivelare" (Lc. 10, 22). ln questo rapporto con il Padre Gesù acquista piena consapevolezza della propria missione, tanto che il Padre é sanpre per Gesù il primo e l'ultimo dei suoi riferimenti. Nella preghiera Gesù si rende totalmente disponibile al piano del Padre, si lascia fare da lui in una adesione di amorosa obbedienza. "La preghiera riceve in Cristo nel Nuovo Testamento, un suo nuovo ed insuperabile fondamento; viene portata al suo ultimo compimento" (7).
Che cos'é dunque la preghiera dei discepoli di ieri e di oggi? I discepoli sono associati a Gesù nella grazia della figliolanza. Quando essi chiesero a Gesù che desse loro una preghiera che fosse il segno distintivo della loro qualità di discepoli: "Signore, insegnaci a pregare", egli li autorizzò a seguirlo dicendo Abbà, cioé li fece partecipi della sua stessa comunione con Dio (8).
Per l’apostolo Paolo, quando un cristiano ripete questa parola "Abbà" possiede la garanzia della sua qualità di figlio e del suo possesso dello Spirito: "... Poiché siete suoi figli, Dio ha inviato nei vostri cuori lo Spirito di suo Figlio che esclama: Abbà!, ossia Padre!" (Gal. 4, 6). “E voi non avete ricevuto in dono uno spirito che vi rende schiavi o che vi fa di nuovo vivere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di Dio che vi fa diventare figli di Dio e vi permette di gridare “Abbà”, che vuol dire 'Padre', quando vi rivolgete a Dio" (Rom. 8, 15).
Le antiche liturgie cristiane erano ben consapevoli della straordinarietà del fatto di potersi rivolgere a Dio come Padre, e per questo facevano precedere alla preghiera insegnata da Gesù ai dodici le parole: "Noi osiamo dire". Noi peccatori siamo autorizzati a dire: Abbà, caro Padre. Ci è fatta grazia.
Vivere da veri figli
Il fatto che Dio sia Padre e l'uomo sia figlio di Dio non è dunque né una nostra conquista, né una nozione alla quale si possa giungere con le nostre forze, né la conclusione logica delle nostre ricerche: è "un atto meraviglioso di Dio al quale si può solo e sempre tornare a credere, ma veramente a credere" (9). Mi vengono in mente le calde ed estatiche espressioni di K. Barth nel suo commento alla lettera ai Romani: "Noi figli di Dio! Qui noi dobbiamo fermarci e riflettere alla totale inevidenza e paradossalità di questa affermazione... Noi figli di Dio! Questo non si può dire con indifferenza! Questo è il canto di lode del salvato o è un vaniloquio blasfemo... Abbàl Padre! Noi non abbiamo mai conosciuto, non conosciamo e non conosceremo mai il contenuto di tale parola.." (10).
Vivere in questo modo la grazia della figliolanza non è privilegio di qualche ora radiosa, ma deve diventare la dimensione della nostra esistenza. Lo spirito di figliolalnza deve permeare e animare tutti i nostri giorni perché noi in questa fìgliolanza vediamo la radice ultima del nostro essere. "Questa è la vera e massima gloria con cui il figlio può onorare il Padre; essere di cuore suo figlio” (11). Esiste grazia più grande, impegno più stimolante, gioia più piena?
Perdere la preghiera significa perdere la fede
La preghiera non esaurisce certo la fede, ma una fede senza preghiera è inconcepibile. “C'è infatti una circolaritá costruttiva ed indistruttibile, tra fede e preghiera" (12). Senza la preghiera la fede o si estingue o diventa dottrinale. Solo con una fede che sa pregare noi torneremo ad essere fanciulli e servi inutili, secondo le espressioni evangeliche; anche nel vivo della lotta politica, anche al vertice del proprio impegno sapremo ancora e sempre ricevere, attendere dalla mano del Signore, ci lasceremo sempre e ancora fare dono del suo amore. lmpiegheremo le nostre mani, ma continueremo a fidarci del suo braccio: soprattutto continueremo a fondarci sulla sua grazia, cioè sulla sua iniziativa di amore.
Preghiera: grazia, disciplina, croce
La preghiera è un'esperienza fragile, soggetta a continue prove; è tentata. Ma qui sta anche la sua grandezza. Portiamo in recipienti di creta i tesori più preziosi. Ma davanti ai doni del Signore la nostra risposta deve essere responsabile. Pregare è anche una grande croce perché esige disciplina, fatica, silenzio. Occorre non stancarsi mai, perché la preghiera ci mette a faccia a faccia con Dio, con le esigenze del suo regno. Proprio lì, sovente non meno che nella vita concreta, noi lottiamo con Lui; ci prende, ci trasforma in figli suoi e in discepoli di Gesù.
Preghiera e predicazione
Questo é tempo di predicazione o di silenzio? Dobbiamo predicare o tacere l'evangelo?
Molti se lo domandano. A me pare che l'evangelo va gridato sui tetti (Lc. 72, 3) e conservato in fondo al cuore (Lc. 2, 51). A chi predica va posto il problema del silenzio, a chi tace il problema della predicazione (13). Così pure una predicazione più fedele all'evangelo avrà bisogno di tante cose. Ocorrerà certamente un lavoro esegetico più accurato, una riflessione più incarnata, una lettura storia e critica della Bibbia che ci aiutino a penetrare correttamente in questo mondo così lontano dal nostro, che ci facciano conoscere Gesú nel suo tempo e nella sua storia. Tutto ciò é necessario. Ma forse l'elemento decisivo non é lì. Occorre la fede che ci fa pregare davanti alla Parola. Solo quando Dio ha fatto "risplendere in noi la sua luce” (2 Cor. 4, 6), solo quando il Padre ci ha fatto dono della sapienza che viene dallo Spirito e ha illuminato gli occhi della nostra mente (El. 1, 17-18), solo allora la Parola diventa sorgente di vita, solo allora da noi "sgorgheranno fiumi di acqua viva" (Gv. 7, 38).
Diversamente o parliamo all'aria o facciamo dei discorsi di sapienza umana, o trasmettiamo semplici informazioni tecniche e scientifiche sulla Bibbia.
Franco Barbero
Pinerolo, 21 gennaio 1977
(continua)