venerdì 1 novembre 2024

 La samaritana e il samaritano

 

IMPARARE A GUARDARE OLTRE

Commento alla lettura biblica — domenica 8 marzo 2009

 

2Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.

5Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». 6Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. 7Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltalelo!».

8E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. 10Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi che cosa volesse dire risuscitare dai morti (Marco 9, 2-10).

Chi è assiduo alla lettura biblica dei due Testamenti spesso si trova a fare i conti con squarci di cielo, voci dall’alto, montagne delle “apparizioni”, sorgenti che sgorgano dalla roccia, angeli che svolazzano, spiriti immondi che parlano, il deserto che fiorisce, la steppa che diventa un giardino, il mare che fugge o si apre, il fiume Giordano che torna indietro, monti che saltano come capre, colline che corrono come agnelli...

Questo straordinario arsenale di immagini ci sollecita a guardare oltre, ci spinge a domandarci quale significato abbiano questi linguaggi. L’invito è chiaro: bisogna andare in profondità e non fermarsi al “quadro”. La nostra cultura televisiva troppo spesso può farci dei brutti scherzi. Infatti possiamo cadere nel rischio di diventare talmente guardoni e privi di immaginazione creativa da perdere ciò che sta oltre la scena, cioè la visione interiore e profonda. Quando ci fermiamo come sedotti dall’immagine, si profila il pericolo di perdere di penetrazione. Davanti a questa pagina così suggestiva, piena di movimento, di luci, di voci, siamo ormai consapevoli che siì tratta di un “episodio” costruito dagli evangelisti, un ritratto teologico che contiene preziosi messaggi.

Proviamo a ricostruire il testo

Lo stesso capitolo 8 di Marco ci mette sulle tracce, Pietro ha riconosciuto in Gesù l’inviato di Dio, ma fa resistenza al maestro che parla del futuro difficile che lo attende. Se il versetto 38 parla esplicitamente di qualcuno che si vergogna di Gesù è facile supporre che tale atteggiamento cominciasse a prendere piede nel gruppo dei discepoli, delusi dalla prospettiva poco gloriosa che si andava profilando. Ormai il gruppo delle discepole e dei discepoli intravede, seppure in lontananza, un orizzonte fosco. Gesù si dirige decisamente verso Gerusalemme. Il gruppo, anche constatando che il maestro incontra crescente opposizione, teme che Gesù vada a cacciarsi nei guai. Del resto il nazareno non è così ingenuo da non percepire il pericolo, né è così disattento da non accorgersi dell’ansia e della paura che si fanno strada anche nel cuore dei suoi più intimi seguaci.

Che fare? Gesù, com’era solito fare nei momenti in cui avvertiva il bisogno di attingere luce e forza da Dio, si apparta. Ma prende con sé alcuni dei discepoli che aveva visto più perplessi e tormentati da questa inquietudine. Voleva pregare, ma desiderava anche ascoltare questi seguaci della prima ora, tanto disponibili quanto fragili. Là in disparte Gesù rimette la sua vita nelle mani di Dio, sua sorgente di luce e di coraggio. Alla preghiera aggiunge il dialogo intimo con Pietro, Giacomo e Giovanni. Ascolta le loro parole, percepisce il dolore di chi vede infrangersi un sogno (vivere a lungo con un tale maestro!), li aiuta a cambiare prospettiva, ad entrare in un’ottica diversa, ad andare in profondità, a fidarsi di Dio. Quel dialogo, quel silenzio nutrito di preghiera nutre e ristora il cuore di Gesù e dei discepoli. Essi riuscirono a capire che quel Gesù, che ormai si preannunciava come un perdente, uno sconfitto, in realtà era il testimone di Dio e del Suo regno. Videro Gesù in una luce diversa, oltre le apparenze di un profeta fallito: “Gesù si trasfigurò davanti a loro”, cioè erano riusciti ad andare oltre la figura (trans-figura), oltre l’apparenza.

Nei loro cuori spunta una consapevolezza nuova che il Vangelo di Marco esprime con una immagine straordinariamente radiosa ed efficace: “Le sue vesti divennero fulgide, bianchissime tanto che nessun lavandaio sulla terra può renderle così bianche”. Quest’uomo che non ha successo, attorno al quale sta crescendo l’opposizione, attorno al quale si organizza la congiura, in realtà non è un esaltato, un venditore di fumo, un fallito o un illuso. La sua esistenza è il cartello indicatore della vera vita. Il simbolo delle vesti bianchissime che il Vangelo riporta esprime bene la fede dei discepoli: Dio farà splendere la vita e il messaggio del nostro maestro. Nel dialogo con Gesù Pietro, Giacomo e Giovanni capiscono che già Mosè ed Elia avevano percorso questo sentiero dell’insuccesso umano, ma la loro vita era stata feconda.

Del resto già le pagine poetiche e teologiche del “servo di Javhé”, che sì trovano nel libro di Isaia, avevano esplicitato che la fecondità non è sinonimo di vittoria e di successo... Nel cuore dei discepoli è avviata una rivoluzione... tutta da completare e da vivere nel quotidiano.

Scendendo dal monte...

Ora... bisognava “scendere dal monte”, cioè tradurre nella “pianura del quotidiano” questo messaggio con il quale Dio aveva toccato i loro cuori e accompagnare Gesù lungo il suo cammino di testimone e annunciatore del regno, qualunque fossero il “clima”, l’accoglienza o il rifiuto. Se ripercorriamo la storia che seguì, sappiamo che i discepoli, pur nelle fragilità e nelle contraddizioni tipiche della nostra umanità, hanno seguito Gesù superando lo sconforto e lo scandalo della sua fine ingloriosa. Dopo la morte del maestro, lo predicano vivo presso Dio, cercano di proseguire nell’annuncio del suo messaggio e di seguire le sue “orme”.

Per noi

La pagina delle “trasfigurazione” è per me, come cristiano, molto pregnante e ricca di significato. La fede sembra oggi una carta perdente. Se prendi la strada della ufficialità vaticana, allora vivi una religione potente, influente, che conta nella società... Ma se ti affidi alla fede nuda della testimonianza biblica, allora questa fede così indimostrabile, così inevidente, così poco appariscente nello scenario della visibilità storica, è come il granello di senape vicino ai grattacieli di Shangai. Credere che Dio opera in questo piccolo seme è la nostra trasfigurazione. Non una fede da miracoli, ma la fiducia di chi getta il seme e affida tutto alla terra e a Dio. Non c’è bisogno di essere né grandi, né potenti, né eroi, né perfetti per gettare il seme della fiducia, di un amore che non esclude nessuno, della solidarietà. La strada della religione del potere non è più percorribile da chi crede nel granello di senape, nella parola disarmata ed impotente del Vangelo.

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Grazie, o Dio

In questi giorni nei gruppi biblici della comunità ho riflettuto in modo diverso, più ricco di fiducia in Te, sulla parabola del seminatore. Nel cuore e nelle mani di ogni donna e di ogni uomo Tu, o Dio, hai deposto tanti semi di amore, di tenerezza, di gioia e di solidarietà. Ci chiami a scoprire con stupore ed allegrezza questi piccoli semi che hai deposto in noi.

Dacci la forza di aprire le mani e i cuori per spargere i semi nel quotidiano. Nessuno tenga per sé, nella mano chiusa, il chicco che tu hai dato perché sia gioia per il cuore e fecondità per il mondo. Hai dato a ciascuno e ciascuna di noi la “vocazione” del seminatore.

 (continua)