venerdì 1 novembre 2024

Come cantare quando il dolore di un popolo sembra soffocare la voce in petto?

In ricordo di Gustavo Gutiérrez
24.10.24 - Pierpaolo Loi- Pressenza

Si è spento, all’età di 96 anni, Gustavo Gutiérrez, uno dei padri della Teologia della Liberazione, uno dei maggiori teologi del Novecento. Nel 1973, studente di teologia alla Facoltà Teologica della Sardegna, appassionato di America Latina, acquistai il volume di Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione. Prospettive, Queriniana, Brescia, 1973, ²ª edizione. [1]

Non era un libro indicato per i corsi ufficiali della Facoltà, ma per me fu una lettura che spalancava una finestra su un mondo lontano. La quale metteva in discussione il sistema mondiale capitalistico dominante. Con sorpresa, leggendo il capitolo primo, alla nota n. 1, trovai una citazione di Antonio Gramsci, utilizzata per affermare ciò che capitava alla teologia, nel senso di ciò che Gramsci diceva della filosofia: «Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono “filosofi”, definendo i limiti e i caratteri di questa “filosofia spontanea”, propria di “tutto il mondo”…».[2]

Applicare questo principio gramsciano alla teologia, certamente ha voluto dire un cambiamento di paradigma nella vita di molti/e credenti e di non credenti. A conclusione di questa sua opera, Gutiérrez affermava: «Se la riflessione teologica non porta a vitalizzare l’azione della comunità cristiana nel mondo, a rendere più pieno e più radicale il suo impegno di carità; se, più concretamente, non porta in America Latina, la chiesa, con chiarezza e senza reticenze, dalla parte degli oppressi, allora tale riflessione avrà servito a ben poco. Peggio ancora, non sarà stata utile che a giustificare compromessi e tentennamenti, razionalizzando, in questo modo, un allontanamento dall’evangelo»[3].

Il secondo volume di Gustavo Gutiérrez, che ritrovo nella mia biblioteca, è La forza storica dei poveri. Una raccolta di scritti che porta l’attenzione «all’insieme dei problemi vissuti ed espressi dalla chiesa latinoamericana durante questi anni tanto ricchi e tanto esigenti. Alle sfide di ogni genere rispondono, in numero crescente, gruppi e comunità di cristiani che lottano all’interno del loro popolo, danno testimonianza, celebrano e approfondiscono una fede incarnata nella tragica e rapida evoluzione del continente. Il teologo condivide la stessa lotta, raccoglie e cerca di esprimere quelle esperienze e il loro messaggio sempre nuovo e sempre vivo»[4].

Un teologo seriamente impegnato, dunque, non resta avulso dai problemi, ma assume le aspirazioni e la lotta per la liberazione del suo popolo oppresso dall’ingiustizia. Questa ingiustizia che i documenti delle Assemblee generali dei vescovi latinoamericani, a Medellín  (1968) e a Puebla (1989), avevano denunciato con determinazione. Teologia come atto secondo, a partire dall’esperienza di riflessione e di vita delle comunità ecclesiali di base (Ceb) sviluppatesi del contesto latinoamericano.

Un terzo volume mi lega al teologo di Lima: Bere al proprio pozzo. L’itinerario spirituale di un popolo. Un testo che affronta la questione della spiritualità incarnata nel mondo dei poveri. «Senza “canti” a Dio, senza azione di grazie per il suo amore, senza preghiera, non c’è vita cristiana», ma «come cantare quando il dolore di un popolo sembra soffocare la voce in petto?».[5] Alla conclusione della disamina della questione posta, Gutiérrez afferma: «Il parlare su Dio (teo-logia) viene dopo il silenzio dell’orazione e dell’impegno. La teologia sarà un parlare arricchito in continuazione da un tacere. Un discorso che affonda le sue radici in una fede vissuta in comunione ecclesiale, e inserita per questo in una storia di trasmissione e di accoglienza del messaggio cristiano».

Gustavo Gutiérrez, uno dei teologi più importanti del Novecento, ha attraversato, come altri teologi latinoamericani, momenti di sospetti e di dubbi e, in qualche modo, si è sentito costretto, vent’anni dopo la prima pubblicazione della sua opera maggiore, Teologia della Liberazione, a dare alle stampe una  nuova versione, avendo ammesso alcuni errori.

Papa Francesco lo accolse in Vaticano il 14 settembre 2013, pochi mesi dopo l’elezione, dando avvio a un nuovo approccio nei confronti della Teologia della Liberazione e alla sua accettazione e rivalutazione.