lunedì 4 novembre 2024

 La samaritana e il samaritano

 

L’AMORE NON VA MAI PERSO

Commento alla lettura biblica — domenica 29 marzo 2009

 

20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù».

22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. 24In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.

25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!

28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo:

«L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!».

29La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».

33Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire (Giovanni 12, 20-33).

 

Quando leggiamo i lunghi discorsi del Vangelo di Giovanni, dobbiamo fare un cammino all’indietro assai complesso per non cadere nell’errore di credere che essi riportino le precise parole di Gesù. Sì tratta sempre di quadri teologici. In questa pagina molto successiva agli eventi, che il redattore ultimo del Vangelo ha composto, ci viene presentata la riflessione comunitaria in cui questo gruppo di credenti ha preso coscienza del significato della “sconfitta” e insieme della fecondità della vita di Gesù. Non si tratta di un “discorso di Gesù”, ma di una meditazione della comunità e dell’evangelista. Certo, in qualche modo, Gesù e il suo gruppo circa 60-70 anni prima della stesura di questo scritto, avevano già capito che le cose non si mettevano mai bene per un profeta così scomodo. Ma quando Gesù fu crocifisso, nonostante questa consapevolezza, lo scandalo fu immenso. Sembrò a tutti di precipitare in un abisso di disperazione, di sconforto. Come continuare una strada senza il maestro? Del resto, anche se quel “momento” fu poi lentamente superato dalla fede in Dio che aveva donato una vita nuova a Gesù e anche se gli attuali discepoli lo sentivano in qualche modo presente in mezzo a loro, era pur vero che il messaggio del nazareno, anche tanti anni dopo, non riscuoteva vasti consensi e successi, né si diffondeva a macchia d’olio. Fu in questo contesto di “risultati magri” che diventò necessario e prezioso riandare e ritrovare uno dei “noccioli” di quell’insegnamento di Gesù sul granello di senape, sul seme sparso nel campo, sulla radicale fiducia in Dio anche quando i frutti non si vedono o non abbondano o tardano a comparire: “anche se il fico non germoglia, anche se non c’è frutto alcuno nelle vigne, anche se l’ulivo ci nega il suo frutto, il campo non ci dà da mangiare, il bestiame minuto sparisce dall’ovile e non ci saranno più buoi nelle stalle, io continuerò a rallegrarmi del Signore, a porre la mia gioia in Dio, mio salvatore”. Come tutti i profeti, come il profeta Abacuc nei versetti poetici e paradossali appena citati, Gesù non era mai caduto nella trappola del trionfalismo e del “tutto e subito”. Aveva sempre vissuto la sua ricerca e realizzato il suo impegno dentro i piccoli solchi del quotidiano.

Di tanto in tanto i Vangeli, dentro il codice apologetico e forse ancor più per il loro amore verso Gesù, lo dipingono con tratti gloriosi. L’amore esalta l’amato. Non poteva che essere così anche per chi trasmetteva una memoria amorosa, anzi innamorata, di Gesù. Ma la realtà storica è un’altra: Gesù ha consegnato ogni giorno la sua vita a Dio e ha dedicato tutte le sue forze per la felicità dei più deboli del suo popolo. Ecco l’immagine suggestiva ed eloquente del “granello di frumento” che morendo porta molto frutto. Se non si dissolve resta solo. I discepoli del gruppo giovanneo cercano di raccogliere questa indicazione: Gesù non ha avuto successo, ma la sua vita e il suo messaggio sono fecondi, “portano molto frutto”.

Un’indicazione di speranza

Leggo in questa immagine agreste un messaggio straordinariamente vivo e attuale. Nei secoli della storia cristiana abbiamo commesso una montagna di nefandezze e di mostruosità. È non basta nemmeno riconoscerlo e confessarlo. Però è innegabile che molte donne e molti uomini, lungo questo stesso periodo, hanno gettato tutte le loro forze nella direzione del Vangelo e sono state come un granello di frumento che non è rimasto solo, ma è “morto” portando molto frutto. L’immagine non vuole affatto farci pensare ad una fede macerante, a spingerci a cercare e ad infliggerci volontarie sofferenze o negazioni o umiliazioni. Non è un invito a metterci il cilicio, a “mortificarci”. Tutt’altro. È una porta aperta verso la speranza. Tutto l’amore che seminiamo, tutta la fiducia che diffondiamo è come un seme gettato che non rimarrà senza frutto. Questo appello alla fiducia è rivolto a ciascuno/a di noi. Proprio la nostra piccola vita quotidiana può seminare qualche “granello” che a suo tempo darà frutti. Nel gruppo biblico del mattino della mia comunità, abbiamo cercato di confrontarci sul fatto che a volte non crediamo abbastanza che nelle nostre piccole vite Dio abbia seminato tanti granelli di senape, tanti semi fecondi. Ed allora l’esistenza quotidiana può sembrarci infeconda, poco sensata, e ci viene voglia di giocare al risparmio, di non scommettere più, di non metterci in gioco radicalmente e fiduciosamente. Come se solo qualcuno di particolarmente grande o importante avesse qualche seme da gettare. No: “tutti i figli e le figlie di Dio hanno le ali”, tutti i figli di Dio e le figlie di Dio sono seminatrici di amore e di solidarietà.

Adista, in uno scritto del 14 marzo, riporta una riflessione di Alberto Bertagna in cui siamo invitati tutti ad una sola crociata: contro la paura. Non abbiamo paura che l’amore e l’impegno profuso cadano nel vuoto. È solo questione di tempo, ma l’amore genera sempre amore e non cade mai nel nulla. La paura diventa paralisi, chiusura, arroccamento, incapacità di tentare percorsi ed esperienze nuove.

Se volete una fotografia della paura, guardate al vaticano: aggrappato al passato brandisce la sciabola dei dogmi e la carabina della scomunica. Se vogliamo accogliere la testimonianza del Vangelo, pensiamo al nazareno che vive in solidarietà con i poveri e semina ovunque fiducia in Dio e fiducia nel tempo che viene. E poi, al di là di tutte le nostre perimetrazioni umane, quanto amore, quante lotte, quanta solidarietà, quanta tenerezza, quanti semi di giustizia percorrono le vie del mondo...

E io, o Dio, Ti penso e Ti vedo a spingere avanti con noi la nostra carovana, a sorridere a questo creato come ogni mattina ci sorride e ci scalda il sole di questa primavera. Grazie, Dio della vita.

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O Dio,

che hai seminato nel mio cuore una dolce e calda sintonia

con le pecore perdute, perché sono e mi sento una di loro,

insegnami ogni giorno la Tua via.

Custodisci il mio cuore e i miei passi sulla strada

di Gesù, la via che conduce a Te.

 (continua)