Quattro Sinodi e un clericalismo intatto
José Arregi
Non posso dire che il Documento finale del Sinodo della Sinodalità mi abbia deluso, perché la delusione è possibile solo dove ci sono aspettative. Ma mi dispiace sinceramente per tanti uomini e donne (soprattutto donne) che si dicevano: “Questa volta sì, benedetto sia Dio!”. Sì, benedetta sia la Vita, il Soffio che la sostiene nel profondo dei cuori, al di là di ogni aspettativa.
Ma non lo è stato neanche questa volta. La Chiesa continuerà ad essere divisa tra clero e laici. I chierici, solo loro, continueranno a detenere l’ultima parola e il potere decisivo, il potere che continuano a chiamare “sacro”, il potere che solo loro credono di aver ricevuto direttamente da Dio grazie al Sacramento (con la maiuscola) dell'Ordine, conferito da coloro che a loro volta lo avevano ricevuto da altri, non sappiamo a partire da quando né come. Sappiamo solo con certezza che il profeta Gesù non ha mai pensato in termini clericali, ad alcun potere sacro, ad una Chiesa gerarchica (hierarchia in greco significa “potere sacro”).
Dopo 11 anni e mezzo di pontificato di papa Francesco, dopo quattro sinodi in pompa magna, tutto resta com’era, come prima di questo sinodo e dei tre che lo hanno preceduto: il sinodo sulla famiglia, che non ha chiarito se i divorziati risposati possano o no fare la comunione ed a quali condizioni...; il sinodo dei giovani, che invita ad accogliere nella famiglia i suoi membri gay o lesbiche, ma dicendo molto chiaramente che la loro unione “neppure lontanamente” è paragonabile al matrimonio sacramentale eterosessuale; e il sinodo dell 'Amazzonia, che ha fatto orecchie da mercante alla sinfonia delle sue acque; si è limitato ad alludere timidamente alla possibilità di ordinare uomini sposati “in regioni remote dell’Amazzonia” ed alla possibilità di un'ordinazione - “non sacramentale”, sia chiaro - di donne come diaconesse; nell'Esortazione apostolica postsinodale di papa Francesco scompaiono anche queste timide allusioni, senza che il Rio delle Amazzoni cessi di scorrere e cantare.
Chiuso il quarto sinodo, insisto: il clericalismo resta, impassibile al tempo, insensibile al Soffio. Il Documento finale afferma solennemente che la Chiesa è essenzialmente sinodale, cioè comunione di viandanti. Sinodo in greco significa “camminare insieme”, ma l’istituzione non cammina né avanza, e in un mondo dove tutto è in continuo movimento, non andare avanti equivale ad andare indietro. Tutto continua come prima, con grande disappunto di chi si aspettava molto, o almeno si aspettava qualcosa. Ma benedetta sia anche la delusione di questo Documento sinodale, se ci apre gli occhi.
Il risultato era più che prevedibile. Nella sintesi della prima sessione dell’Assemblea sinodale generale dell'ottobre 2023 sono scomparsi alcuni dei temi più ricorrenti e spinosi proposti da alcune della Conferenze episcopali dei cinque continenti: ordinazione presbiterale delle donne, benedizione dei matrimoni omosessuali, riconoscimento delle persone LGTBIQ+. La sintesi menziona l'ordinazione diaconale delle donne e la dispensa dal celibato per preti in circostanze particolari, ma... solo per chiedere che si continui a studiare questi temi.
Si comprende cosi che nell’«Instrumentum laboris» o documento base di lavoro per la seconda sessione dell'Assemblea sinodale (ottobre 2024), i margini si restringono ancora di più: non vengono nemmeno più menzionati l'ordinazione presbiterale delle donne, il “diaconato consacrato” delle donne, la dispensa dal celibato per i preti, le persone LGTBIQ+... Di tutto questo non si doveva nemmeno parlare. Denuncia il clericalismo sì, ma non mette in discussione il potere clericale, bensì il modo di esercitarlo. E afferma inequivocabilmente: “La sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai Pastori: i Vescovi con i Presbiteri, loro collaboratori, e il Romano Pontefice quale «perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei Fedeli» (LG 23)” (n. 8); ed anche: “In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo” (n. 70). Con questo principio e questo fondamento così chiari e forti, questo sinodo e tutti gli altri non erano necessari. Siamo ancora qui.
E arriviamo così al Documento finale del Sinodo della Sinodalità, pubblicato lo scorso 26 ottobre 2024. Ancora una volta denuncia il clericalismo, ma questa volta includendo nella denuncia anche i laici!, il colmo del clericalismo: «Il clericalismo, favorito sia dagli stessi preti sia dai laici, genera una scissione nel Corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo» (n. 74). Qualche percorso concreto per superare il sistema clericale del potere sacro, escludente, maschile e celibe? Nessuno. Esalta ancora una volta la donna, sì, ma per subordinarla meglio: «Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo». Ma prosegue: «Anche la questione dell'accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo» (n. 60). Potrebbe essere interpretato come una pessima scappatoia finale, ma io lo vedo più come un riflesso dell’impotenza, del vicolo cieco e di una delle sue cause fondamentali: l’ossessione misogina così tipica del clericalismo nel corso della storia. Ecco un buon argomento per un altro sinodo necessario, ma gestito non più da vescovi, ma da storici, sociologi, psicologi e neuroscienziati del fatto religioso.
Tutto resta, quindi, dov’era prima che iniziasse questo Sinodo ed i tre precedenti. “È estenuante”, ha affermato Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, riferendosi agli infiniti ed infruttuosi tentativi di superare il blocco a cui il Vaticano, con a capo il papa, ha sottoposto il Cammino sinodale tedesco sin dalla sua apertura nel 2019, con tutte le sue rivendicazioni: ordinazione presbiterale delle donne, partecipazione dei laici alle decisioni episcopali, possibilità di matrimonio per i preti, benedizione delle unioni omosessuali, riforma della dottrina morale cattolica sulla sessualità. Non ho dubbi che Bätzing debba essersi detto la stessa cosa innumerevoli volte nelle lunghe sessioni senza uscita del Sinodo della Sinodalità di cui era un membro importante.
C’è di più. Penso che Papa Francesco, a 86 anni, debba sentire e pensare lo stesso: “È estenuante”. Non mi sorprende che il 26 ottobre scorso, nella cerimonia di chiusura del Sinodo, abbia sorprendentemente annunciato: “Non intendo pubblicare un’esortazione apostolica”. A quale scopo - avrebbe potuto aggiungere - se non possiamo più camminare, se non siamo andati avanti e non possiamo andare avanti? Ciò che ha aggiunto sono state alcune parole che si prestano a diverse interpretazioni: «Ed ora, alla luce di quanto emerso dal percorso sinodale, ci sono e ci saranno decisioni da prendere». Capisco che la decisione migliore, la più dignitosa e umana, sarebbe quella delle dimissioni. Si vedrà.
Ciò che si è già visto è che, dopo dieci anni e mezzo di papato, quattro sinodi, molteplici Instrumenta laboris, sintesi sinodali, Esortazioni apostoliche post-sinodali, dopo tante speranze o sogni primaverili, tanti documenti, testi e voti, dopo tante parole, parole e parole, quando l'autunno raggiungeva il suo culmine, il raccolto è pari a zero. Non hanno avuto il coraggio di liberarsi di idee, nonne e privilegi del passato. Non si sono lasciati ispirare e muovere dallo Spirito della trasformazione permanente di tutte le cose, lo Spirito della fraternità-sororità universale, lo Spirito della “buona notizia” (Vangelo) annunciato da Gesù. Non hanno meditato abbastanza su quelle parole che sono state pronunciate dalle sue labbra profetiche, dalla sua lingua libera ed audace: «Chi mette mano all'aratro e si volge indietro, non è adatto per il regno di Dio» o il Soffio vitale (Lc 9,62). L’aratro inciampa, la terra non respira e la primavera, il pane nuovo della Pasqua universale, è rovinata.
E invece no, il sole sorge ogni giomo, la luna splende ogni notte, l'autunno cammina nel riposo, nel silenzio dell'invemo germoglierà la spiga, noi festeggeremo la Pasqua. Vogliamo vivere e continueremo a camminare, continueremo a condividere il cammino fatto di tanti e diversi cammini. E, ogni volta che lo Spirito sinodale ci ispira così, ignoreremo il Diritto Canonico, immobile e inamovibile, affinche la vita continui e cresca.
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Articolo pubblicato il 1.11.2024 nel Blog dell'Autore in Rellgión Digital (www.religiondigitalcom)
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI 3