Naufragio sulla rotta tunisina: il costo umano della deterrenza
Ancora un naufragio nascosto che non deve fare notizia in Europa. I corpi di quindici persone non identificate sono stati recuperati al largo della costa sud-orientale della Tunisia, di fronte alla città di Mahdia, secondo quanto dichiarato ieri dalle autorità tunisine all’agenzia di stampa AFP. Secondo la stessa fonte, sarebbero stati prelevati campioni per identificare i corpi “a causa dell’entità della decomposizione”, e dunque si può ritenere che il naufragio risalga a qualche tempo fa. Un ennesimo naufragio su una rotta che nella sua parte iniziale è stata affidata alla Guardia costiera tunisina, dopo la creazione a tavolino di una zona SAR (di ricerca e salvataggio) tunisina. Ma in quella zona più che di salvataggio si deve parlare di intercettazioni, che le motovedette tuinisine, fornite in parte dall’Italia, devono svolgere in base agli accordi stipulati con l’Unione europea, per dimostrare l’efficienza delle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare, lautamente finanziate dai paesi membri dell’Unione, ed in particolare dall’Italia.
Secondo dati dell’UNHCR, nell’ultima settimana di ottobre gli arrivi a Lampedusa e sulle coste siciliane si sarebbero praticamente azzerati, e si deve rilevare che le condizioni del mare non erano ottimali, ma neppure tanto critiche come in periodi passati nei quali si erano verificati migliaia di “sbarchi”. Non si può comunque collegare questo dato alla deterrenza derivante dai tentativi di avvio della deportazione dei naufraghi in Albania, perchè in condizioni meteo tranquille, proprio nei giorni in cui la nave Libra era a caccia di naufraghi da sbarcare nel porto albanese di Shengjn, gli arrivi erano stati molto numerosi, anche mille persone in 36 ore. Non si può dire quindi che la minaccia di una deportazione in Albania, prevista dal Protocollo firmato dalla Meloni con Edi Rama, abbia sortito l’effetto di ridurre le partenze dalla Tunisia. Che sono diminuite proprio quando nave Libra era lontana dal Mediterraneo centrale, ed il progetto Albania veniva bloccato dalle sentenze della Corte di Giustizia UE e del Tribunale di Roma. Ed è altrettanto provato che non sono le sentenze dei giudici che incentivano l’immigrazione irregolare. Di certo, anche considerando il minor numero di partenze dalla Libia, non ricorrevano quelle condizioni che in Italia hanno consentito la proroga dello Stato di emergenza immigrazione, e l’adozione di decreti legge per motivi di “straordinaria necessità ed urgenza”. Che risiedono soltanto nelle scadenze elettorali che il governo cavalca sulla base della paura nei confronti di una (inesistente)” invasione” di stranieri, soprattutto musulmani, e dei periodici allarmi immigrazione, ricavati da singoli episodi di cronaca nera.
Intanto Gorgia Meloni oggi va a Tripoli per l Forum imprenditoriale italiano-libico e cerca di sfruttare la leva economica, e quindi il ruolo di ENI ed altri grossi gruppi imprenditoriali italiani, per rafforzare la cooperazione strategica con la Libia. Una cooperazione che si estende sempre più al supporto della sedicente Guardia costiera “libica”, presto con una nuova Centrale di coordinamento (MRCC), per intercettare in acque internazionali le imbarcazioni cariche di migranti in fuga verso l’Italia, e ricondurli nei centri lager in mano alle milizie. Sono tempi ormai in cui l”imprenditoria trova funzionale il supporto dei partiti di estrema destra, in accordo con regimi autoritari, in paesi terzi che garantiscono guadagni sempre più elevati, anche se occorre accettare la mediazione delle milizie para-governative e dei gruppi armati che controllano i territori. Come si sta verificando anche nei rapporti con l’Egitto, dove pure le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare ed i rimpatri “semplificati” rientrano in una partita più ampia e dunque sono legati al consistente scambio commerciale di materie prime ed armamenti. In entrambi i paesi il governo italiano finge di ignorare gli abusi sistematici ai danni dei migranti in transito e le crudeli violazioni dei diritti fondamentali delle persone.
Le responsabilità della Guardia costiera tunisina nei naufragi che si continuano a ripetere nel Mediterraneo centrale sono note da tempo, come doumentato anche da una recente indagine di IRIPIMEDIA con riferimento al naufragio del 5 aprile di quest’anno. All’inizio di ottobre in un altro naufragio al largo di Djerba erano morte 15 persone, questa volta, in prevalenza tunisini. Anche qust’anno, malgado la riduzione delle traversate, sono migliaia le vittime sulla rotta libico-tunisina, nel Mediterraneo centrale. Secondo l’Ansa, che riporta dati forniti dall’OIM, “Almeno 531 persone sono morte e altre 731 sono ritenute disperse nella rotta del Mediterraneo centrale dall’inizio del 2024 al 19 ottobre”. Nello stesso periodo, secondo le stesse fonti, “i migranti intercettati in mare e riportati in Libia sono stati 19.010, di cui 16.715 uomini, 1.357 donne, 627 minori e 311 persone di cui non sono disponibili dati di genere”. Ed altre migliaia di persone sarebbero state respinte in Libia, con la collaborazione di Frontex, secondo i dati di una recente ricerca pubblicata da Altreconomia, Ma sono dati raccolti probabilmente per difetto, perchè non tengono conto di tutti i naufragi che le autorità hanno cercato di occultare. Intanto per effetto della deterrenza seguita agli accordi con le autorità europee ed italiane le rotte si sono allungate e sono sempre più rischiose, come conferma l’odierno naufragio di un barcone partito dalla Libia orientale, ad est di Tobruk, quasi al confine con le acque egiziane.
Stupri, violenze, rapimenti ed estrema precarietà: sono questi gli abusi subiti dalle persone in transito dalla Tunisia per raggiungere l’Europa”, Nel suo rapporto di ottobre “Torture Roads, mappatura delle violazioni subite dalle persone in movimento in Tunisia”, l‘Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) ha constatato “l’emergere di una serie di nuove pratiche allarmanti”. “Nel periodo novembre 2023-aprile 2024 si è registrato un aumento preoccupante dei casi di violenza sessuale subiti da persone in movimento in Tunisia, commessi con la complicità di agenti delle forze di sicurezza tunisine, o direttamente indotti dalla politica di sfollamento forzato e di deportazione delle persone vulnerabili”.
Come si legge in una articolata denuncia, presentata all’inizio di ottobre da 63 organizzazioni non govrnative,”la Tunisia non è un luogo sicuro per le persone soccorse in difficoltà, compresi i cittadini tunisini.“….”Nonostante abbia aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951, la Tunisia non ha una legge o un sistema di asilo nazionale. Le persone che entrano, soggiornano o escono dal Paese in modo irregolare sono criminalizzate dalla legge. In seguito ad intercettazioni in mare o ad arresti arbitrari in territorio tunisino, le autorità tunisine hanno ripetutamente abbandonato rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel deserto tunisino o nelle remote regioni al confine con la Libia e l’Algeria”.
Mentre continua il supporto europeo ed italiano alla Guardia costiera tunisina, rafforzato dal Memorandum UE-Tunisia concluso nel 2023 sotto gli auspici della Meloni, malgrado i recenti dubbi espressi da parte del Mediatore europeo sul rispetto dei diritti umani, tra gli aspetti meno percepibili in Europa delle politiche di deterrenza delle migrazioni si inserisce il sistema dei “rimpatri volontari assistiti“, gestiti anche in Tunisia dall’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) facente capo alle Nazioni Unite.
Come ha dichiarato un portavoce dell’OIM, “Tra il 1° gennaio e il 25 giugno 2024, l’OIM ha facilitato il ritorno volontario di circa 3.500 persone dalla Tunisia al loro Paese di origine”, Secondo Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), i rimpatri “volontari” sarebbero un risultato della “politica anti-migranti, che li vede come una minaccia”. Intanto la crisi sudanese ed i conflitti nel vicino Oriente hanno fatto aumentare la presenza di profughi sudanesi e siriani che cercano di fuggire anche dalla Tunisia, dove sono oggetto di deportazioni collettive e di sistematiche violazioni dei diritti umani. Ma cercano la fuga attraverso il Mediterraneo anche molti giovani tunisini, mentre il premier Saied mantiene il paese in una grave crisi economica, aizzando la popolazione contro gli immigrati, dopo avere cancellato i diritti umani e le garanzie dello Stato democratico.
Molti giornalisti e avvocati, come Sonia Dhamani, che difendevano i diritti delle persone migranti contro le politiche suprematiste di Saied sono stati arrestati e condannati a pesanti pene detentive da una magistratura che, dopo la riforma costituzionale del 2022, è alle dipendenze del governo. E già basterebbe soltanto questa circostanza, ben nota ai governi occidentali, per escludere la Tunisia dall’elenco dei paesi terzi o dei paesi di origine “sicuri”. Ma anche in Italia sembra prevalere una destra che minaccia riforme costituzionali perchè vorrebbe una magistratura piegata agli indirizzi del governo. In entrambi i casi, per i naufraghi soccorsi in mare, sembra sempre più difficile accertare responsabilità per l’omissione sistematica di soccorso di cui sono vittime.
Dieci anni fa il governo Renzi lannciava in Europa il Processo di Khartoum, che anticipava il più recente “Piano Mattei per l’Africa”, saldando, come già aveva fatto Belusconi nel 2008 in accordo con Gheddafi, il supporto economico, la collaborazione di polizia e il contrasto delle migrazioni, incluse quelle dei potenziali richiedenti asilo. Nel 2016, adirittura, l’Italia arrivava a conciudere un Protocollo d’intesa e collaborazione di polizia con il Sudan, e nel 2017 era il governo Gentiloni a concludere un Memorandum Italia-Libia con il governo provvisorio di Tripoli, che neppure rappresenta ancora oggi l’intera Libia. Queste politiche di esternalizzazione e di deterrenza degli arrivi in Italia, oltre a contribuire a tensioni crescenti nei paesi di origine e transito, hanno prodotto migliaia di vittime in mare, ma anche nei territori di transito in Africa, con una persecuzione crescente contro le persone migranti che ormai ha assunto i contorni di crimini contro l’umanità, anche per i mancati soccorsi in mare e per la collaborazione sistematica con forze di polizia che non rispettano i diritti umani.
L’asse principale di intervento dei governi europei verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo, e più recentemente nei Balcani “occidentali”, punta sempre di più sul contrasto dell’immigrazione “illegale”, sulla deterrenza a qualsiasi costo, con la delega a paesi terzi ritenuti “sicuri” delle attività di intercettazione e respingimento. Perchè non si può parlare di “soccorsi in mare” senza sbarco in un porto sicuro, o di vera assistenza dei richiedenti asilo a terra. Nel caso dell’Italia un recente rapporto del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa avverte tutti i rischi che potrebbero derivare dai processi di esternalizzazione dei controlli di frontiera, ulteriormente accelerati dal governo Meloni, e le conseguenze negative della guerra ai soccorsi operati da navi umanitarie nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Dietro i festeggiamenti per i presunti successi nella lotta all’immigrazone “illegale” e per le conseguenti vittorie elettorali, di fronte al nostro paese si addensa un futuro di gravi incognite sulla tenuta economica e sociale dell’Italia, oltre che sulla sua collocazione internazionale.
Al di là del rispetto dei doveri di soccorso in mare, sarebbe tempo di una svolta nei rapporti con i paesi terzi, da orientare al rispetto dei diritti umani, se si vuole costruire una politica alternativa rispetto a quella dell’attuale governo italiano, con il coraggio di affrontare anche la questione centrale delle migrazioni, altrimenti appannaggio della propaganda di destra. Occorre basare la cooperazione con i paesi terzi, e soprattutto con i paesi di transiito, sul rispetto della inarrestabile mobilità delle persone migranti. A partire dalla riduzione delle aree di conflitto sui territori come la Libia e la Tunisia, e dal ripristino delle garanzie dei diritti fondamentali della persona, si dovrà avviare la bonifica ambientale, la pacificazione ed il superamento dei conflitti, con il rilancio delle economie locali. La mobilità umana va incanalata in vie legali di accesso, con il pieno rispetto del diritto di asilo oggi sotto attacco. Se invece si insisterà nelle politiche di deterrenza, in accordo con paesi che non rispettano i diritti umani, l’insicurezza complessiva, la disgregazione sociale, i conflitti armati e alla fine anche gli scontri sociali interni, non potrano che aumentare.
Ogni naufragio in mare è un naufragio del nostro Stato di diritto, perchè frutto del proibizonismo delle migrazioni, che svuota il diritto di asilo, e del mancato rispetto degli obblighi di soccorso e del diritto internazionale. Soprattutto quando avviene in zone di ricerca e salvataggio /SAR) che dovrebbero essere presidiate da più paesi costieri nel comune obiettivo di garantire alle persone un porto sicuro di sbarrco, non per riportarle in carcere o abbandonarle in un deserto. Per ogni cadavere che si raccoglie nel Mediterraneo, c’è un pezzo di umanità sconfitta, un frammento che scompare dell’Unione europea, un principio affermato nella Carta dei diritti fondamentali o nella Costituzione italiana, che vanno irrimediabilmente a fondo. E’ in gioco il futuro di tutti, in particolare delle generazioni più giovani, non solo il destino di alcune decine, centinaia o migliaia di persone che cercano la salvezza attraversando il Mediterraneo.
Fulvio Vassallo Paleologo - Pressenza, 29 ottobre 2024