Se a preoccuparsi per le difficoltà abitative dei lavoratori è Confindustria
E anche Confindustria si accorse della crisi dell’abitare, della povertà abitativa e delle difficoltà di tante famiglie (e di tanti lavoratori e studenti) ad assicurarsi un tetto sulla testa. Nel focus 4 del Report “I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e PNRR. Rapporto di previsione- Autunno 2024” si legge: “L’importanza del costo dell’alloggio, sia in termini di affitto che di acquisto, è un fattore chiave nella decisione di una persona o di una famiglia di trasferirsi per lavoro in un’altra area geografica. Quando i costi di alloggio in una determinata zona non riflettono adeguatamente le differenze di produttività e di salari offerti in quella regione, questo può ostacolare la mobilità territoriale. In un mercato ideale, infatti, i costi di affitto o di acquisto dovrebbero essere proporzionati al livello di produttività della regione e quindi ai salari medi. Prezzi delle case troppo alti rispetto alla produttività, anche in zone dove vi è alta domanda di lavoro e opportunità di occupazione, creano una barriera per i lavoratori che potrebbero essere disposti a trasferirsi in tali aree. Quando il costo dell’alloggio è disallineato rispetto ai livelli salariali, molte persone restano quindi “bloccate” in aree che offrono poche opportunità di lavoro e/o a bassa produttività, poiché trasferirsi in zone più “ricche” diventa proibitivo.”
Confindustria punta il dito sul paradosso che alcune aree geografiche che hanno un’alta domanda di lavoro sperimentano carenze di personale, mentre altre aree con produttività più bassa e minori opportunità lavorative soffrono di alti tassi di disoccupazione. E qui Confindustria è costretta a scoprire che la resistenza delle persone a spostarsi laddove ci sono maggiori opportunità lavorative dipende sostanzialmente dal problema dei costi dell’alloggio. “Il Nord e Centro Italia, e in particolare le grandi città, hanno un mercato immobiliare molto costoso, spesso non proporzionato ai salari medi, soprattutto per i giovani lavoratori. Questo crea una difficoltà oggettiva per chi vuole trasferirsi in tali aree per ragioni di lavoro. Al contempo, le regioni del Mezzogiorno sono caratterizzate da costi di alloggio significativamente inferiori, ma offrono scarse opportunità lavorative e hanno tassi di disoccupazione più elevati.” Una situazione che Confindustria chiama la “trappola della mobilità”: i lavoratori, pur volendo, non possono permettersi di trasferirsi, contribuendo così a un immobilismo economico che tiene alta la disoccupazione “strutturale”.
Il disallineamento tra il mercato immobiliare e la performance economica territoriale in Italia è particolarmente evidente quando si confrontano i canoni di locazione con la produttività del lavoro. A Milano, ad esempio, il canone di affitto mensile standardizzato per un’abitazione di 60 mq supera la media nazionale del 70%, mentre la produttività del lavoro è più alta solo del 40%. Questo significa che le differenze nei costi di alloggio sono sproporzionate rispetto alle differenze di produttività e, poiché salari e produttività tendono ad allinearsi, il risultato è un costo abitativo proibitivo che scoraggia la mobilità dei lavoratori. Il problema si manifesta anche in altre province come Como, Venezia, Bologna, Firenze e Roma, oltre che in generale nel Nord-Ovest e nel Centro Italia. Allo stesso modo, città a bassa produttività presentano squilibri simili ma di segno opposto, specialmente nel Mezzogiorno, ma non solo. A Prato, per esempio, i costi di alloggio sono inferiori alla media nazionale del 13%, ma la produttività è più bassa del 36%. Confindustria conclude auspicando interventi di politica abitativa mirati, “che possano allineare meglio i costi di affitto e acquisto alle condizioni economiche locali. Misure di sostegno per i canoni di locazione e un piano composito, volto a favorire la costruzione o riqualificazione di immobili a prezzi calmierati, potrebbero aiutare a ridurre gli squilibri attuali, andando ad attenuare anche la disoccupazione in alcuni territori e la carenza di personale in altri.”
Stupisce che in tutta l’analisi di Confindustria non vi sia alcun riferimento alla necessità di aumentare da parte degli imprenditori gli stipendi dei lavoratori per portarli ad un valore commisurato al costo della vita delle zone in cui risiedono. La soluzione più ovvia e immediata sarebbe infatti quella di alzare gli stipendi, già tra i più bassi d’Europa, ma i nostri imprenditori hanno scoperto la “povertà abitativa” ma fanno ancora troppa fatica a scoprire il “lavoro povero”.
Nella manovra finanziaria 2025 hanno fatto la loro comparsa i “fringe benefit”, con importi maggiorati che potrebbero arrivare fino a 5mila euro, per i nuovi assunti che accettano di trasferire la residenza di oltre 100 chilometri. Tutto bene, ovviamente, soprattutto per le imprese (e per la gioia di Confindustria, che ha non poco sponsorizzato la misura), poiché ancora una volta saranno i soldi di tutti i cittadini a cercare di far fronte al problema del “caro affitto”.
Giovanni Caprio - Pressenza, 7 novembre 2024