BABELE: BENEDIZIONE E PROGETTO
Il testo
"Un tempo tutta l'umanità parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Emigrati dall'oriente, gli uomini trovarono una pianura nella regione di Sennaar e vi si stabilirono.
Si dissero l'un l'altro: "Forza! Prepariamoci mattoni e cuociamoli al fuoco! Pensarono di adoperare mattoni al posto delle pietre e bitume invece della calce. Poi dissero: "Forza! Costruiamoci una città! Faremo una torre alta fino al cielo! Così diventeremo famosi e non saremo dispersi in ogni parte del mondo!”. Il signore scese per osservare la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Disse: "Ecco, tutti quanti formano un sol popolo e parlano la stessa lingua. E questo non è che il principio delle loro imprese! D'ora in poi saranno in grado di fare tutto quel che vogliono! Andiamo a confondere la loro lingua: così non potranno più capirsi tra loro”. E il Signore li disperse di là in tutto il mondo; perciò furono costretti a interrompere la costruzione della città. La città fu chiamata Babele (Confusione) perché fu lì che il Signore confuse la lingua degli uomini e li disperse in tutto il mondo" (Gen. 11,1-9).
Proviamo ora a leggere queste righe con attenzione ai particolari. Esse sprigioneranno scintille...
Una punizione?
Questa notissima pagina biblica, che abbiamo conosciuto fin dalla nostra infanzia, ha registrato nel corso dei secoli molteplici interpretazioni. E' la felice sorte toccata a molte pagine della Bibbia: sono così ricche di significato che ogni generazione trova nuovi fiori in questo giardino. Le diverse interpretazioni, però, si raccolgono attorno a due principali. La prima, sostanzialmente, può essere così sintetizzata: gli uomini e le donne, nella loro tracotanza, vogliono scalare il cielo e diventare come Dio. Lanciano una sfida a Dio stesso, spinti dall'impulso di Prometeo ( la hybris). La loro opera non è poi così "alta" se Dio per vederla deve "scendere” (11,5). Ma Dio non si limita a dare un'occhiata minacciosa. Egli interviene e compie una vendetta: i costruttori di Babele vengono dispersi in tutto il mondo. Questa dispersione-disseminazione viene letta come una vera e propria condanna e maledizione che compromette l'unità del genere umano.
"Sovente la narrazione è stata interpretata come la storia di un tragico fallimento... I teologi scolastici durante il medioevo hanno interpretato questo racconto come se il pluralismo etnico fosse in gran parte il tragico risultato scontato del peccato dell'uomo. In modi diversi questa visione pessimistica è durata negli ambienti cristiani fino ai nostri tempi" (B. Anderson). Conosciamo tutti/e questa interpretazione che, secondo alcuni studiosi, poteva addirittura costituire il racconto originario. Del resto, è innegabile che il testo, anche se non documenta l'intenzione di sfidare Dio, lascia intendere che "certamente erano presi da una mania di grandezza, da un raptus megalomane che fa loro porre il proprio nome al di sopra di quello divino" (A. Mello). Ma, in quale direzione si orienta l'altra interpretazione? Come è possibile documentarla?
Dio pensa in grande
Il racconto della costruzione di Babele/Babilonia è importante per illuminare una teologia che considera tanto gli uomini come creature, quanto la varietà ed il pluralismo del progetto di Dio. “La storia rappresenta l'urto tra la volontà di Dio e quella dell'uomo, un conflitto di forze centripete e centrifughe. Sorprende il fatto che sia l'uomo a battersi per conservare l'unità originaria, fondata su una sola lingua, uno spazio vitale centralizzato e un'unica finalità. E' Dio, invece, che oppone a questo movimento centripeto (=che va verso un centro) una forza centrifuga (= che si allontana dal centro) contraria che respinge nuovamente gli uomini verso l'esterno, disperdendoli in una diversità linguistica spaziale ed etnica" (E. Anderson). Si noti: il testo è collocato subito dopo il capitolo 10 in cui ci viene presentata, in una teologia fatta di nomi e di elenchi, la mappa dei popoli, la carta delle nazioni. C'è stato il diluvio, ma il progetto di Dio e la sua 'benedizione' vogliono ripopolare e riempire tutta la terra. I 70 nomi delle nazioni sono "i colori che l'Autore della Genesi ha utilizzato per dipingere la sua tavola, le tessere del suo mosaico" (A. Mello). Ma ancor più essi ci evidenziano come Dio pensa e ama in grande. Infatti, non solo è cancellata la dimensione dello sterminio presente nella leggenda del diluvio, ma si traccia un orizzonte di apertura universale; "Questi sono i figli di Sem secondo le loro famiglie, secondo le loro lingue, nelle loro terre, secondo le loro genti. Queste sono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro generazioni, nelle loro genti. E da queste si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio" (Gen.10,31-32). Questo spargersi è un 'fenomeno' voluto da Dio, è il frutto della Sua benedizione, l'adempimento del Suo progetto. Dio accompagna e sospinge gli uomini e le donne verso terre lontane...Dio vuole la ‘diaspora', la disseminazione, come ci lascia trasparire il verbo ebraico del versetto 32, poi tradotto in greco con ‘diaspeirò'. Spesso per noi questa parola è diventata sinonimo di divisione, di rottura della fraternità, di rivalità. Il capitolo 10 della Genesi concepisce, invece, la diaspora come un fatto positivo. "Diaspora non è sinonimo di disgregazione, di frantumazione, ma è riconoscimento di tutte quelle differenze che sono necessarie per edificare il mondo"” (A. Mello). Dio è felice quando gli uomini e le donne conoscono ed esplorano tutto lo 'spazio' del mondo, quando fanno esplodere tutti i colori della pelle, quando sciolgono le loro lingue in mille accenti. Egli è un Dio che spinge a questa avventura di crescita, di sviluppo di tutte le potenzialità.
Ma compare la paura...
Il racconto di Babele è un capolavoro di arte narrativa. Notiamone la struttura: si tratta di due parti perfettamente simmetriche. Nella prima (versetti 2-4) sono protagonisti gli uomini. Con energia e spirito di iniziativa si accingono a costruire una città, il cui simbolo sia una torre altissima. Ma...che cosa succede a chi si muove in direzione del nuovo? Spesso subentra la paura ed allora, anziché rischiare strade diverse, si preferisce "fare mucchio", stare tutti insieme, parlare tutti la stessa lingua..."La vera molla del loro agire è proprio questa 'paura di disperdersi': l'ansietà dell'uorno davanti al nuovo, al diverso, all'originale; il suo istintivo rifugiarsi in ciò che è uguale, ripetitivo, rassicurante" (A. Mello). La paura dell'ignoto, l'incertezza del futuro e lo spiazzamento che deriva da un confronto con l'altro spesso inducono a scegliere l'immobilismo, la monotonia. La paura blocca il cammino verso la diversità e verso la ‘disseminazione' e così la vita resta paralizzata attorno ad una torre, nel perimetro '‘imprigionante' di una città.
Dio non sta a guardare...
Ma, se questo è l'agire degli uomini e delle donne, Dio non si limita ad osservare. Se nella prima parte gli uomini sono descritti come attivi costruttori della città e della torre e si organizzano allo scopo "di non essere dispersi in ogni parte del mondo" (versetto 4) nella seconda il protagonista è Dio. E si tratta di un Dio, ci dice la leggenda, che interviene in modo piuttosto pesante: "Andiamo a confondere la loro lingua: così non potranno più capirsi tra loro" (versetto 7). L'intervento dovette essere efficace se il versetto 8 registra seccamente: " Il Signore li disperse di là in tutto il mondo ed essi cessarono di costruire la città". Non c'è ombra di punizione, di condanna in questa azione di Dio. Egli interviene per ‘costringerli' a riprendere il cammino verso la molteplicità, per sospingerli ad andare oltre le loro paure. Il loro rischio poteva essere quello di confidare in una città ed in una torre (in una istituzione, opera delle loro mani!) e Dio li rimette sulla strada del Suo progetto. Se vi amate, le diverse ‘lingue' non vi separano, sembra dirci il racconto.
Un messaggio
E' davvero affascinante questo Dio che ci invita a vincere la paura delle nostre diversità, la paura dell'ignoto. Qui non abbiamo soltanto una significativa pagina di teologia delle nazioni che propone come progetto di Dio il pluralismo etnico (per ben tre volte si parla di ‘dispersione' in questo breve racconto), ma uno stimolo a riflettere a quel Dio che ama tutta l'umanità e le va incontro su strade diverse. Le varie e diverse religioni non possono ‘ritrovarsi' in questa pagina che incoraggia la molteplicità? Queste nostre chiese cristiane, così preoccupate di tracciare i perimetri e di costruire torri di richiamo per tutti e di includere tutti i popoli (e conquistarli!) dentro i loro confini, come possono leggere questo messaggio di conversione all'universalismo? E noi, dentro il nostro percorso quotidiano nel mondo e nelle comunità, come possiamo imparare ad accogliere questa 'espansione' e 'diversità, dei soggetti? Dietro questo Giubileo di ricompattazione non si nasconde una grande paura di novità evangeliche sostanziali?
Una preghiera
O Dio, allarga i nostri cuori, affinché accolgano la Babele che Tu hai voluto come un dono, come l'opportu- nità di riconoscere che il Tuo amore e le Tue vie sono più grandi del "piccolo villaggio" in cui abitiamo.
don Franco Barbero, 1978