Camminanti, un popolo dimenticato
Il 15 dicembre scorso sono ricorsi i 25 anni dalla promulgazione della legge n. 482/1999 “Norme in materia delle minoranze linguistiche storiche”. Il provvedimento coronava un iter lunghissimo che partiva dalle disposizioni della nostra Costituzione (art. 6) e che aveva occupato lunghe discussioni in più legislatura prima di avere il via libera. In essa dodici lingue minoritarie storiche (albanese, catalana, croato, francese, francoprovenzale, friulano, germanico, greco, ladino, occitano, sardo, sloveno), parlate da oltre 2.400.000 cittadini distribuiti in 1.171 Comuni di 14 regioni, hanno avuto l’equiparazione alla lingua nazionale. Con tutti i conseguenti diritti a essere esercitate, nell’insegnamento, nelle sedi pubbliche, nel servizio pubblico radiotelevisivo…
Inutile dire che, come accade per molte normative nazionali, la legge è del tutto disapplicata nelle parti sopra riprese se non nelle Regioni a Statuto speciale dove già vigevano. Questo disinteresse generale della politica è confermato dal fatto che a a 26 anni dalla sua entrata in vigore (marzo 1998) il nostro Paese non ha ancora ratificato la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie” del Consiglio d’Europa che impegna gli Stati firmatari (e lo siamo) a tutelare i diritti delle minoranze etniche mantenendone viva la cultura attraverso misure antidiscriminatorie e di promozione della diversità culturale che si esprime a cominciare dalla lingue madri. In compenso, ironia della sorte, è appena comparso il francobollo commemorativo della legge forse per fiancheggiare la sgangherata proposta sulle autonomie…
Si fa la celebrazione di una legge, tanto pregna di principi quanto disattesa nelle sue conseguenze. E senza cenno alcuno su un tema rispetto al quale ci preme qui puntare il dito per il grave vulnus che è rimasto nel momento in cui si è compiuta un’omissione grave che riguarda la lingua del popolo dei “camminanti”.
Nella discussione parlamentare, pur prendendo atto della sua esistenza, si ritenne di escludere la lingua dei Sinti e dei Rom, il romanes o romanì. A giustificazione il fatto che il criterio adottato per le altre lingue minorizzate, la territorialità, non poteva essere applicato a un popolo che si definisce nomade. I “figli del vento”, dunque, sarebbero stati il soggetto di un successivo specifico provvedimento legislativo, Consapevoli di necessità di non escludere la tredicesima lingua dal riconoscimento, il Parlamento assunse l’impegno di tornarci al piò presto. Impegno scritto a verbale nei lavori della Commissione parlamentare che licenziò la legge n. 482/1999, e che non è mai stato onorato. Da allora – e sono trascorsi 25 anni – quelli che vengono volgarmente chiamati “zingari” attendono il riconoscimento anche per il loro antico idioma indoeruopeo affine al sanscrito.
Anche questa “dimenticanza” rientra, a buon diritto, tra le discriminazioni cui l’Europa ha recentemente richiamato il nostro Paese. Nonostante gli articoli 3 e 6 della nostra Costituzione, Rom e Sinti sono l’unica minoranza non tutelata e continuano a essere discriminati rinnovando stereotipi oggi in gran parte superati, pur in permanenza di comportamenti che per il nostro stato di diritto costituiscono reato e che vanno, certamente, corretti. Si tratta di una integrazione di doveri oggi comune e condivisa in uno Stato di diritto verso la quale vanno accompagnati anche coloro che, tuttavia, mantengono il diritto a una identità non in conflitto con la società di oggi e le regole di convivenza che si è data.
Non ci sarà mica di mezzo qualche lontano rumore di razzismo? La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI, che non è una ONG né una organizzazione militante, ma un soggetto istituzionale emanazione del Consiglio d’Europa) ha recentemente richiamato l’Italia per una serie di situazioni non in linea con diritti che dovrebbero essere universalmente tutelati (https://volerelaluna.it/materiali/2024/10/24/rapporto-sul-razzismo-e-lintolleranza-in-italia/). Apriti cielo! Noi, che amiamo darci le pagelle da soli e pertanto siamo sempre “Italiani brava gente” ci siamo scandalizzati e con sdegno abbiamo respinto al mittente i rilievi anziché avviare su di essi una seria riflessione. Tant’è che passato qualche giorno di ingiustificata irritazione a cominciare da quella del Presidente Mattarella, repentinamente è calata la sera, il buio e il silenzio. Gli occhi servono se sanno guardare e non solo vedere. Quelli dei nostri governanti o si sono presto girati dall’altra parte per neppure vedere oppure non vogliono guardare la realtà delle cose che, viste da lontano, segnala le nostre contraddizioni e omissioni.
Recita la raccomandazione dell’ECRI: «Le autorità dovrebbero adoperarsi per affrontare la difficile situazione abitativa dei Rom, tra l’altro assicurando che i Rom che potrebbero essere sfrattati dalle loro case (a causa delle condizioni al di sotto degli standard o della loro ubicazione in insediamenti irregolari) godano di tutte le garanzie previste dalle norme internazionali, in particolare che siano avvisati con largo anticipo dello sgombero previsto, che beneficino di un’adeguata protezione giuridica e che non siano sfrattati senza la possibilità di essere ricollocati in un alloggio dignitoso; cooperando più strettamente con gli enti locali competenti e sostenendoli finanziariamente per fornire alloggi sociali sufficienti ai membri vulnerabili della comunità. Rom. Le autorità dovrebbero tempestivamente commissionare uno studio completo e indipendente con l’obiettivo di individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine che riguardi in particolare i Rom e le persone di origine africana, alla luce della Raccomandazione di Politica Generale n. 11 dell’ECRI sulla lotta al razzismo e alla discriminazione razziale nell’ambito delle attività di polizia e della Raccomandazione generale n. 36 del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine».
Per il recente passato la “profilazione” da parte delle Forze dell’ordine nei confronti di Sinti e Rom è conclamata e documentata a partire dalla cosiddetta “Emergenza nomadi” del Governo Berlusconi (2008) che con Decreto autorizzava il censimento delle popolazioni nomadi nei campi, compreso il rilievo delle impronte digitali anche sui minori. Per fortuna fu dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato. Che ci sia discriminazione lo si evince anche dalla legge istitutiva della Giornata della memoria che escluse il Porajemos, lo sterminio programmato dai nazifascisti che coinvolse oltre 500 mila “zingari”. Si sono semplicemente dimenticati che il folle progetto sulla questione razziale si intitolava “Soluzione finale degli ebrei e degli zingari”.
Dopo 25 anni, adottare il promesso riconoscimento della loro lingua, non potrebbe essere forse un forte richiamo per favorire percorsi di cittadinanza per Sinti e Rom, quelli che sono abitualmente denominati “zingari”? Per provare ad andare oltre a stereotipi in gran parte superati?
Valter Giuliano - Volerelaluna, 8 gennaio 2025