INCAPACITÀ EUROPEA
Si può gonfiare il petto mentre si fa la danza del ventre?
Sul piano artistico è sconsigliato: la rigidità del busto nuoce alla flessibilità del bacino; ne emerge un movimento sgraziato che rende ridicolo il suo esecutore. Sul piano diplomatico il risultato non è migliore. I leader europei, che hanno accolto l'elezione di Donald Trump con un misto di ostentazione e obbedienza, non tarderanno a rendersene conto.
La vittoria del candidato repubblicano ha seminato il panico nelle cancellerie del Vecchio Continente, dove tutti temono che egli applichi il suo programma: cessazione delle forniture di armi all'Ucraina, fine dell'ombrello difensivo statunitense, messa in discussione delle alleanze tradizionali, protezionismo aggressivo... Misure che sconvolgerebbero l'ordine internazionale instaurato all'indomani della seconda guerra mondiale e per le quali l'Unione europea non è preparata.
Nondimeno, da Parigi a Bruxelles i governanti europei si pavoneggiano. «Abbiamo dimostrato che l'Europa può prendere in mano il proprio destino quando è unita», ostenta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, mentre Emmanuel Macron annuncia «un'Europa più unita, forte e sovrana», dotata di «autonomia strategica». Belle parole alle quali non crede più nessuno.
Da una parte perché la promessa è già stata fatta molte volte - alla caduta del muro di Berlino, dopo l'intervento statunitense in Iraq, durante la crisi finanziaria del 2008, all'inizio del primo mandato di Trump...-, eppure da parte degli europei il rapporto vassallatico non è mai venuto meno. Anche i presidenti amici alla Casa bianca non hanno mai smesso di infierire. Per esempio, Joseph Biden ha accelerato il ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, costringendo francesi e britannici a un'evacuazione caotica. Ha negoziato alle spalle dei primi un accordo militare con i secondi e con gli australiani, strappando a Parigi un contratto di 56 miliardi di euro per la consegna di sottomarini a Canberra. E non si è preoccupato delle ripercussioni del suo piano di sviluppo dell'industria verde sull'economia del Vecchio Continente. Il Canada ha ricevuto maggiore considerazione.
L'altra ragione è che gli europei non hanno i mezzi per realizzare le proprie ambizioni. Se Washington cessasse, o anche solo diminuisse l'aiuto militare a Kiev, sarebbero incapaci di prendere il comando. Non si esce così facilmente da decenni di dipendenza dal complesso militare statunitense, dai suoi brevetti, conoscenze, componenti, infrastrutture logistiche, sistemi di intelligence, capacità produttive. All'Ucraina non rimarrebbe che accettare le condizioni di pace negoziate tra gli Stati Uniti e la Russia, con probabili perdite territoriali.
Per i governanti europei, che hanno investito tanto denaro e credito politico nella vittoria ucraina presentandola come l'unico esito possibile, lo smacco sarebbe notevole. Dunque, cercano disperatamente di dissuadere Trump dal mettere in pratica le sue minacce, offrendogli ciò che desidera. Un giorno, von der Leyen suggerisce di aumentare gli acquisti di gas statunitense; un altro, la ministra tedesca Annalena Baerbock propone di aumentare i bilanci militari per arrivare al 3% del prodotto interno lordo (Pil); il terzo, la futura Alta rappresentante del'Unione europea per gli affari esteri, Kaja Kallas, definisce la Cina un «rivale sistemico», imitando la retorica degli Stati uniti.
E non si potrà contare su alcuna unità. Gli europei si sono mostrati incapaci di esprimere una posizione decisa dopo l'incriminazione da parte della Corte penale internazionale (Cpi) del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità». Austria, Ungheria e Repubblica ceca respingono la decisione. Belgio, Irlanda e Spagna sono a favore. Francia e Germania sono imbarazzate, dichiarano di prenderne atto senza impegnarsi ulteriormente. Piacere agli Stati uniti o rispettare la giustizia internazionale: un terribile dilemma...
Benoït Bréville - Le Monde diplomatique - Il Manifesto