L’Eco del Chisone, 8 gennaio 2025
LE PAROLE PER DIRLO
FIGLI DEL PROGRESSO O DEL CASO?
di DERIO OLIVERO, Vescovo di Pinerolo
Auguri! Quante volte abbiamo ripetuto questa parola. Abbiamo augurato Buon Natale, Buone Feste, Buon Anno. “Auguri” è una parola antica. Deriva dai Romani e dagli Etruschi. Gli “àuguri" erano sacerdoti che interpretavano il volere degli dei scrutando il volo degli uccelli o altri fenomeni. Mi piace immaginare questi sacerdoti intenti ad osservare il volo degli uccelli per trarne buoni auspici. Mi piace associare la parola “augiri” a persone che guardano il cielo, che cercano di interpretare il futuro con l'aiuto di un dio. Perché il fiuturo è sempre oscuro. Non abbiamo strumenti sufficienti per "saperlo in anticipo”. Non abbiamo telescopi per vederlo “in anteprima”.
Così, un tempo, le persone si rivolgevano ai divini. Poi il cielo si è “svuotato”.
Oggi ci affidiamo alla ‘fortuna”. Non potendo affidarci ai "divini” ci aggrappiamo alla “fortuna”. L'augurio diventa sinonimo di “buona fortuna”: “Ti auguro che ti capitino cose belle", “Ti auguro che ti sorrida la sorte”. I nostri auguri odorano di “impotenza”. Ci sentiamo piccoli, non abbiamo un cielo a cul aggrapparci, ci sentiatmo totalmente passivi. Sul futuro non possiamo farci nulla, “speriamo in bene”, speriamo arrivino “cose belle". Che tristezza! Ci crediamo figli del progresso e siamo diventati figli del caso. Fragili naviganti in mano alla bizzarria del mare. In balia di un capriccioso destino, dal volto ambiguo. Un destino insensibile ai nostri desideri, ai nostri dolori, ai nostri affetti. Una fortuna “bendata”, che sparge a “casaccio” i suoi regali. Dentro l'inesorabile scorrere del tempo che rosicchia ogni cosa e sommerge i suoi “figli” con crudele indifferenza. Siamo in balia del nulla. In mezzo a tutti che fanno sobbalzare la nostra barchetta di carta. Impauriti e fragili ci facciamo gli auguri. Di che? Di sopravvivere. E, magari, che dal cielo “piovano” cose belle. Ma siccome il clelo è vuto, non crediamo neppure tanto alle “cose belle”. Dopo l'indigestione di auguri del tempo natalizio, torniamo a parlare di problemi e paure. Guardando con sospetto al futuro, che ci appare sempre più minaccioso.
Eppiure molti di noi hanno festeggiato il Natale. Una festa, oggi, rivoluzionaria. Ci dice che il cielo è abitato da un Dio che è Padre. Non indifferente, non distante, non capriccioso. È un Padre innamorato che segue il nostro cammmino nel tempo e lo sogna con noi. Lui ci guarda come ci sogna. E garantisce un compimento felice del tempo. Ci affida il futuro e crede nelle nostre possibilità. Continua a credere in noi, nonostante le mille delusioni che gli abbiamo dato, anche nello scorso anno.
Lui non è “il destino”, non è “la fortuna bendata”. Non è un “Bimbo capriccioso”. È un Padre adulto, buono, creatore, creativo. Che non si spaventa del male. Con Lui possiamo vincere il senso di impotenza. Possiamo credere ai naostri desideri buoni. Con Lui possiamo “desiderare” il futuro. Possiamo augurarci di costruirlo migliore. Possiamo essere attivi nel fare gli auguri.
Auguriamo cose belle e mpegniamoci a crearle! Che bello riscoprire, anche negli auguri, che oggi il cristianesimo è tornato felicemente rivoluzionario! Perché felicemente umano.