Tre sfide alla Chiesa del Vaticano II: desacerdotalizzazione, deromanizzazione e deantropologizzazione
Jorge Costadoat
Nel 2025 ricorrono i sessant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Vale la pena chiedersi, allora, se la Chiesa cattolica si stia muovendo nella direzione che lei stessa si è data. Sapere cosa c’è stato in gioco tra il 1962 e il 1965 diventa indispensabile perché, altrimenti, è molto probabile un ritorno indietro. Ci sarà già chi quest’anno studierà la questione in prospettiva, confrontando il pre e il post-concilio. Non lo faremo qui. Diremo invece qualche breve parola su quelle che in questi ultimi sei decenni sono emerse come le sfide più grandi per una Chiesa che vuole essere fedele alla sua tradizione.
Nel corso degli anni vediamo tre sfide, tra le altre, diventare estremamente importanti. Queste sono: la desacerdotalizzazione del cristianesimo cattolico; la deromanizzazione delle chiese regionali; e la deantropologizzazione della spiritualità.
Rispetto alla prima, la Chiesa cattolica, soprattutto nella sua versione latina, da secoli ha offerto la «salvezza» attraverso la persona e l’azione di un ministro chiamato sacerdote. Il problema è che questo ministro, appositamente formato per celebrare i sacramenti, amministra la separazione e il rapporto tra il sacro e il profano, controlla l’accesso alla comunione eucaristica e, in modo molto problematico oggi, è riconosciuto o chiede di essere riconosciuto come un uomo sacro. Questo modo di intendere il ministero è oggi fortemente dibattuto sia dalla teologia sia dalla cultura, poiché costituisce quella versione penitenziale del cristianesimo del secondo millennio che il Vaticano II ha voluto superare.
Il Concilio ha orientato la Chiesa nella direzione opposta: ha dichiarato che il sacramento del battesimo deve avere la precedenza sul sacramento dell’ordine presbiterale; ha ricordato che la Chiesa è soprattutto il Popolo di Dio, nel quale i battezzati camminano insieme verso la patria eterna, come fratelli e sorelle («Lumen gentium», II); e ha auspicato che i ministri, come tutti i battezzati, si concentrassero soprattutto sull’annuncio del Vangelo. Il Vaticano II ha voluto che questi ministri fossero chiamati «presbiteri» e, se possibile, non più «sacerdoti». La valutazione dell’accettazione di queste innovazioni è rimandata ad altro momento. La nostra opinione è che questa sorta di «desacerdotalizzazione» del ministero ordinato promossa dal Concilio debba continuare.
Altro tema di grande attualità è la necessità di andare verso una deromanizzazione della Chiesa a favore dello sviluppo di Chiese regionali e locali. Anticamente, nel bacino del Mediterraneo sono esistiti cinque patriarcati, uno dei quali è stato quello di Roma, con la particolare responsabilità di preservare l’unità. Tuttavia, questa unità non implicava uniformità. Gli altri patriarcati – Gerusalemme, Antiochia, Costantinopoli e Alessandria – mantennero identità particolari.
Nel periodo post-conciliare Karl Rahner ha intuito che nell’evento conciliare c’era stata, in forma embrionale, una «Chiesa mondiale» analoga a quella dei primi secoli. Oggi è il decentramento a generare le maggiori tensioni all’interno della Chiesa cattolica. Lo stesso papa Francesco spinge verso la sinodalità o, detto in altre parole, verso la «democratizzazione». In futuro potrebbero emergere chiese prevalentemente africane, asiatiche, latinoamericane ed europee, dotate di autonomia per configurarsi secondo le proprie storie e culture. Chiese con liturgie proprie, accenti etici, diritto canonico, comunione con specie diverse da quelle del pane e del vino? Sarà possibile, allora, porre fine al cattolicesimo di esportazione e colonizzatore? Non lo sappiamo, ma la richiesta è sempre più forte.
Una terza sfida nasce dall’attenzione ai segni dei tempi. Se, come credono i cristiani, lo Spirito agisce nella storia e se Dio si manifesta attraverso di lui, la consapevolezza dell’urgente necessità di una svolta ecologica e ambientale esige una radicale contestazione dell’essere umano come colpevole della catastrofe imminente. Si dice che siamo entrati nell’Antropocene, cioè nell’era in cui è chiaro che l’essere umano non può più considerarsi come dominatore assoluto del pianeta. Invece di sfruttare le risorse e l’ambiente, deve diventare responsabile della Terra.
Tuttavia, il cristianesimo propone la salvezza del creato attraverso un uomo: Gesù Cristo. Nella modernità la cristologia ha approfondito il mistero dell’umanità di Cristo, favorendo una maggiore umanizzazione e una liberazione degli oppressi. Questa concentrazione antropologica, così benefica per un aspetto, ha allontanato i cristiani dall’antica convinzione di Cristo come mediatore della creazione (Gv 1,3; Col 1, 15-17; Ap 3,14). Oggi i cristiani e le cristiane dovrebbero sperimentare Dio attraverso una creazione creata e realizzata in Cristo. Hanno il titolo: il Cristo cosmico, ma manca loro quasi tutto il resto.
Questo 2025 dovrebbe essere un’occasione per importanti dibattiti teologici nella Chiesa cattolica. Questi tre temi stanno sfidando la fedeltà al Vaticano II.
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Articolo pubblicato il 21.01.2025 nel Blog dell’Autore nel sito Religión Digital (www.religiondigital.org)
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli