giovedì 13 febbraio 2025

 L’importanza della serietà interpretativa

ALCUNE CONFUSIONI DA EVITARE

Franco Barbero 1977 - 1980 – 1982

 

Figlio di Dio

Spesso si pensa che “Figlio di Dio” significhi Dio o divinità.

“Per l'Antico Testamento figlio di Dio significa avere ricevuto una missione da Dio e averla portata a termine in un atteggiamento di obbedienza. Questo significato passa nel Nuovo Testamento, cosicché quando Gesù viene indicato come figlio di Dio, si fa riferimento alla missione che il Padre gli conferisce, all'obbedienza con cui Gesù assolve questa missione e alla reciproca confidenza e fiducia che si stabiliscono tra Padre e figlio. Essere il figlio di Dio richiede che si assuma un atteggiamento senza riserve di risposta  alla chiamata di un Dio che convoca l’uomo a un'impresa di liberazione” J.R. Guerrero, L’altro Gesù, Borla, Roma 1977).

“Il Figlio di Dio rende Dio udibile e visibile più di chiunque altro o di qualunque altra cosa e pertanto è il primogenito di tutta la creazione (Col. 1,15). Così egli è superiore a qualsiasi altra creatura. Ma resta inferiore a Dio. Quando Paolo in I Corinti 15,27 applica al Figlio di Dio le parole “tutto ha posto sotto i piedi di lui" (Salmo 8,7), egli eccettua Dio espressamente, concludendo: “quando avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora il Figlio stesso farà atto di  sottomissione a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa. affinché Dio sia tutto in tutti"” (Bas Van Iersel, Concilium 3, 1982).  “Già nell'Antico Testamento il popolo di Dio veniva detto “figlio di Dio”, ma era chiamato così soprattuito il re di Israele, che all’atto dell'intronizzazione veniva proclamato « figlio di Jahvè ». Ora questo epiteto viene applicato a Gesù: mediante la risurrezione e la glorificazione egli, Gesù di Nazareth, viene “costituito Figlio di Dio”, secondo l'espressione desunta da un salmo. Qui indubbiamente non si allude alla generazione, ma soltanto alla posizione giuridica di prestigio di Gesù, non quindi a una figliazione fisica, come nel caso  dei figli degli dèi e degli eroi pagani, ma ad una elezione ed investitura da parte di Dio. Più di altri nomi, quello di “Figlio di Dio” doveva chiarire agli uomini di quel tempo quanto strettamente l’uomo Gesù appartenesse a Dio, quale rilievo avesse la sua posizione al fianco di Dio: non più nella comunità, nel mondo, ma ora di fronte alla comunità e al mondo, subordinato soltanto al Padre e a nessun altro” (H. Kung, 24 Tesi sul problema di Dio, pag. 133).

“In questo riferimento a Dio e completa dimenticanza di sé, a quel Dio che Gesù chiamava suo Creatore e Padre, sta la definizione, cioè l’autentico significato di Gesù” (Ed. Schillebeeckx, La questione cristologica. Un bilanicio. Queriniana, Brescia 1960, pag. 161).

"La preesistenza di Gesù come eterno Figlio di Dio è un modo  ebraico ed ellenistico di esprimere il significato salvifico di Gesù" (Brian McDermott, Gesù Cristo nella fede e nella  teologia, Concilium 3/1982, pag. 28).

“L'identità di Gesù come Figlio è un'identità rispondente e ricettiva di fronte al Padre, e sottolinea il fatto che Gesù è il primo a ricevere l’offerta di salvezza di Dio, prima di diventare colui che offre la salvezza agli altri” (Brian MceDermoti, Gesù Cristo nella fede e nella teologia, Concilium 3/1982, pag. 25).

“L’antropomorfismo che ci può fuorviare considerando “Dio” come un nome proprio ha portato i cristiani a pensare che, se Gesù è veramente figlio di Dio. allora non può essere, per esempio, figlio di Giuseppe. Ma si tratta di un errore. Dire  che Gesù è il figlio di Dio nion comporta la negazione che era figlio di un altro.” ((Nicholas Lash, Riflessioni su di una  metafora, Concilium 3/1982, pag. 39).

“Si noti bene che “Figlio di Dio” non significa altro se non l'uomo Gesù in quanto morto e resuscitato, in quanto avente peso salvifico per tutti gli uomini, in quanto centro del progetto di Dio. Quindi anche il famoso schema della preesisienza, che ci sembra così lontano dal Gesù di Nazareth, in fondo non è altro che un mezzo linguistico per poter sottolineare, in una determinata cultura, quella  ellenistica, che in Gesù Dio si è espresso al massimo” (G.  Barbaglio, Gesù di Nazareth dalla storia alla fede, Arsenale  Cooperativa Editrice, Venezia 1980).

 

Incarnazione don Franco Barbero 1979 – 1980

“L'incarnazione di Dio in Gesù significa che in tutti i discorsi di Gesù, in tutta la sua predicazione, nell'intero suo comportamento e destino, hanno preso figura umana la Parola e la Volontà di Dio: in tutto il suo parlare ed agire, patire e morire, insomma in tutta la sua persona, Gesù ha  annunciato, manifestato, rivelato la Parola e la Volontà di Dio. Egli, nel quale parola e volonià, insegnamento e vila, essere e agire coincidono perfettamente, è corporalmente,  in figura umana, Parola, Volontà, Figlio di Dio”" (H. Kung. 24 Tesi sul problema di Dio, Mondadori, 1980, pag. 1347).

“E' legittima la tradizione cristiana della mistica di Cristo, che a Nicea e Calcedonia ha trovato un’espressione adatta, benché entro le categorie concettuali della tarda antichità” (Ed. Schillebeeckx, La questione cristologica. Un bilancio. Queriniana, pag. 163).

Bisogna sempre rifarci al Gesù storico. Nella nostra storia abbiamo trovato due scappatoie per nullificare la laicità di Gesù. Lo abbiamo “sacralizzato” fino a farne un Dio o lo abbiamo sacerdotalizzato.

Ma egli, tutto “incentrato sul regno di Dio, lo è anche su Dio stesso....

Il “regnocentrismo” e il “teocentrismo “ coincidono. Gesù non ha parlato primariamente di se stesso, ma è venuto per annunciare Dio e la venuta del Suo regno e per mettersi al Suo servizio. Dio è al centro, non il messaggero (Jacques  Dupuis, 10 parole chiave su Gesù di Nazareth, Cittadella, pag. 387).

Anzi “il nazareno non ha mai proclamato di essere il messia e come Gesù giunse ad essere chiamato messia, resta uno dei più grandi enigmi delle origini cristiane.” (Giuseppe Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, Dehoniane. pag. 604).

Anche se il processo di divinizzazione di Gesù compare molto  presto nelle origini cristiane “la fede in Gesù dei primi cristiani non ha preso il posto della fede in Dio; essi non hanno per nulla abiurato il monoteismo ebraico, la confessione cioè dell'unico Dio esistente. Hanno esaltato oltre ogni dire Gesù,...ma non si sono mai spinti a fare di lui un secondo dio" (Idem, op. cit., pag. 618).

Gesù “si distingueva per il suo ruolo di mediatore storico della definitiva regalità divina di Dio Padre e per uno specifico rapporto funzionale con lui. Comunque è certo che non ha mai detto di essere il figlio di Dio trascendente; è la chiesa delle origini che ha tematizzato e sviluppato tale titolo glorioso fino ad arricchirlo di contenuti sorprendenti” (Idem, op. cit., pag. 605).

Né ha mai fatto di sé un sacerdote. Questo profeta della Galilea che per noi cristiani è l’icona di Dio, la sua epifania nella nostra carne, tanto che lo chiamiamo “figlio di Dio” per designare la sua intimità con Dio e la missione particolare che il Signore gli ha affidato, ha chiaramente distinto tra apparato religioso e fede.

Quest’uomo, che ha fatto sua la causa di Dio con tutto il cuore, che ha cercato ogni giorno di convertirsi alla volontà del Padre, che ha pregato per non indietreggiare di fronte alle prove della vita, è stato un laicò: “Gesù nacque come ebreo laico, condusse il suo ministero come ebreo laico e morì come ebreo laico...Egli era un laico religiosamente impegnato che sembrava minacciare il potere di un gruppo ristretto di sacerdoti. Questo contribuì allo scontro finale in Gerusalemme...Ho intenzionalmente sottolineato la condizione laicale di Gesù perché i cristiani sono molto assuefatti all'immagine di Gesù sacerdote o grande sommo sacerdote” (J.P.Meier, Un ebreo marginale, Queriniana. Brescia, volumne I, pag. 345).

Sarebbe bene che non lo dimenticassimo mai.